Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 20049 del 2016, dep. il 06/10/2016

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. […], […] e […], dipendenti del Comune […], temporaneamente distaccati presso i locali uffici giudiziari ([…] presso il […], il […] presso la […]) avevano convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenerne la condanna ai pagamento della cd. indennità giudiziaria di cui alla legge 221/1988, divenuta indennità di amministrazione dal 1.6.1995 in virtù dell’art. 34 dei CCNL 1994/1997 per il personale del comparto Ministeri ministeriale. Tanto sulla premessa di avere svolto compiti attinenti al funzionamento della giustizia, dal […] 1999 al […]1999, il […] ed il […], e dal […] al […] 2002, il […]. Avevano anche chiesto la condanna del Ministero al pagamento dei buoni pasto previsti dall’accordo del 30.4.1996 e successive integrazioni.
2. Il Tribunale di Torre Annunziata aveva respinto le domande e la Corte di Appello di Napoli, adita dai lavoratori, aveva accolto le domande sulla scorta delle seguenti ragioni: l’indennità giudiziaria, prevista dalla legge n. 221 del 1988 in favore del personale dirigente e delle qualifiche equiparate delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie e delle qualifiche funzionali dei ruoli di detti uffici, non ha natura stipendiale, mirando a compensare il delicato ed ininterrotto servizio necessario al buon funzionamento degli uffici giudiziari; la medesima indennità è stata disciplinata dall’art. 34 del CCNL campano Ministeri ed aveva assunto la denominazione di indennità di amministrazione detta indennità spettava anche ai ricorrenti, dipendenti del Comune distaccati o comandati presso gli uffici giudiziari, con onere a carico dell’Amministrazione di destinazione, non risultando contestato che essi avevano prestato servizio presso gli uffici giudiziari di […] e che non avevano fruito dell’ indennità di amministrazione a carico dell’ente di appartenenza la domanda relativa ai buoni pasto era fondata alla luce dell’Accordo del 30.4.1996 art. 5 n. 3, non essendo in contestazione il fatto che i lavoratori appellanti avevano svolto la loro attività secondo l’articolazione oraria prevista per la fruizione dei buoni pasto.
3. Avverso detta sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli originari appellanti.
I motivi di ricorso
4. Con il primo motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge 221/1988, 72 c. 3 del D. Lgs 29/1993, 71 c. 1 del D. Lgs 165/2001 con riferimento all’Allegato A punto 1 lett. p.) dell’art. 34 del CCNL 1994/1997 e dell’art. 28 del CCNL 1998/2001 per il personale Ministeriale.
5. Sostiene che, per effetto dell’art. 72 c. 3 del D. Lgs 29/1993, la legge 221/1998 doveva ritenersi abrogata dal 17.5.1995, data di entrata in vigore del primo contratto collettivo di comparto e che, pertanto, non era applicabile “ratione temporis” alla vicenda dedotta in giudizio, perché la pretesa azionata era relativa a periodi di tempo successivi alla abrogazione della legge.
6. Deduce che il CCNL del comparto Ministeri quadriennio 1994/1997, ridisciplinando la retribuzione dei dipendenti, ha istituito, con l’art. 34, l’indennità di amministrazione, che, divenuta componente fissa e continuativa del trattamento retributivo, prescinde dall’effettività del servizio e non è più correlata alla specialità delle mansioni svolte presso le cancellerie e le segreterie degli Uffici Giudiziari.
7. Con il secondo motivo, in via subordinata, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 c. 66 della legge 537/1993 in riferimento alle leggi 221/1988 e 51/1989.
8. Sostiene che, con l’art. 1 della legge 51/1989, l’indennità cd. giudiziaria, prevista dalla legge 221/1988, era stata attribuita, a decorrere dal 10.1.1989 al personale amministrativo del Consiglio di Stato, dei Tribunali Amministrativi, della Corte dei Conti, dell’Avvocatura dello Stato e dei Tribunali Militari ed era stata estesa al personale civile del Ministero della Difesa distaccato temporaneamente, in attesa della istituzione di appositi ruoli organici, a prestare servizio presso gli uffici giudiziari della giustizia militare, limitatamente ad un contingente di 129 unità e che con l’art. 3 comma 66 della legge 537/193 era stato stabilito che le disposizioni di cui alle leggi 221/1988 e 51/1989 si interpretavano nel senso che le medesime trovavano applicazione al personale in esse espressamente previsto, purché in servizio presso le amministrazioni contemplate dalle norme stesse.
9. Deduce che dalla norma di interpretazione autentica si evincerebbe che la categoria dei beneficiari dell’indennità giudiziaria doveva ritenersi circoscritta a coloro che, essendo dipendenti delle amministrazioni indicate nelle leggi 221/1988 e 51/1989, presentavano l’ulteriore requisito di trovarsi effettivamente in servizio presso dette amministrazioni. Invoca i principi affermati dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza n. 92 del 1993.
10. Con il terzo motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 c. 11 della legge 550/1995, degli artt. 1 c. 1 e 4 dell’Accordo Sindacale del 30.4.1996 e dell’art. 3 DPCM n. 593 del 130.12.1993, sostenendo che il richiamato accordo sindacale non trova applicazione nei confronti dei dipendenti comunali distaccati presso gli Uffici giudiziari.
Esame dei motivi
11. 11 primo motivo è fondato.
12. Con la L. 22 giugno 1988, n. 221, e successive modificazioni, è stata prevista l’indennità denominata “giudiziaria”, finalizzata a compensare il personale amministrativo delle cancellerie e segreterie giudiziarie del particolarmente -intenso, delicato ed ininterrotto servizio prestato per l’esatto e ordinato funzionamento degli uffici giudiziari. è poi intervenuta la norma di interpretazione autentica dettata dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 59 che ha previsto che ” Le disposizioni di cui alla L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 168 e alla L. 22 giugno 1988, n. 221, e L. 15 febbràio 1989, n. 51, si interpretano nel senso che si applicano al personale in esse espressamente previsto purché in servizio presso le amministrazioni contemplate dalle norme stesse”.
13. A seguito della contrattualizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 72, comma 3, stabilì l’abrogazione delle disposizioni relative agli automatismi ed ai trattamenti economici accessori a favore dei dipendenti pubblici, contestualmente alla sottoscrizione dei primi contratti collettivi di settore, affidando a questi ultimi la salvezza dei trattamenti corrisposti con carattere di generalità e continuità per ciascuna amministrazione o ente. Analoga previsione è contenuta nell’art. 69 del D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165.
14. Conseguentemente, con l’art. 34 del primo C.C.N.L. del comparto Ministeri, stipulato il 16 maggio 1995, l’indennità giudiziaria è confluita nella cd. indennità di amministrazione, facente parte integrante del trattamento economico complessivo del personale amministrativo della giustizia (art. 34 e All. B, Tabella 1, CCNL), ed erogata con carattere di generalità e continuità. Il successivo contratto CCNL, stipulato il 16.2.1999, all’art. 28 ha mantenuto l’indennità di amministrazione nell’ambito del trattamento economico accessorio, prevedendo, nell’ambito del processo di perequazione delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del comparto, il suo incremento, a decorrere dal 31.12.1999, nelle misure previste nell’allegata Tabella G.
15. Alle disposizioni della contrattazione collettiva sopra richiamate deve, pertanto, farsi riferimento per stabilire se ai dipendenti di enti diversi dal Ministero della Giustizia, distaccati o comandanti presso gli uffici giudiziari spetti, o meno i la ‘nuova” indennità di amministrazione, diversa e distinta per struttura e finalità dalla indennità giudiziaria prevista dalla legge ormai abrogata.
16. Occorre premettere che questa Corte ha già affermato che, in caso di distacco del lavoratore presso altro datore di lavoro, mentre quest’ultimo, beneficiario delle prestazioni lavorative, dispone dei poteri funzionali all’inserimento del lavoratore distaccato nella propria struttura aziendale, persistono fra distaccante e lavoratore i vincoli obbligatori e di potere- soggezione, mantenendo il distaccante, fra l’altro, il potere di licenziare (Cass. 7049/2007, 10771/2001).
17. E’ stato anche osservato che il “comando” o “distacco” di un lavoratore disposto dal datore di lavoro presso altro soggetto, destinatario delle prestazioni lavorative, è configurabile quando sussista oltre all’interesse del datore di lavoro, a che il lavoratore presti la propria opera presso il soggetto distaccatario, anche la temporaneità del distacco, che non richiede una predeterminazione della durata, più o meno lunga, ma solo la coincidenza della durata stessa con l’interesse del datore di lavoro allo svolgimento da parte del proprio dipendente della sua opera a favore di un terzo, e che permanga in capo al datore di lavoro distaccante, il potere direttivo e quello di determinare la cessazione del distacco (Cass. 23933/2010, 17748/2009).
18. In questa prospettiva ricostruttiva, alla quale il Collegio ritiene di dare continuità, è evidente che il trattamento economico dei lavoratori distaccati, che, come sopra rilevato, prima l’art. 72 del D. Lgs 29/93, ed oggi l’art. 71 del D. Igs 165/2001, hanno riservato alla negoziazione collettiva, non potrà che essere individuato alla luce della contrattazione collettiva di settore applicabile al rapporto di lavoro propria dell’ente distaccante.
19. Il dipendente comandato o distaccato non viene, infatti, inquadrato nell’amministrazione di destinazione e il suo rapporto di lavoro con l’ente distaccato non viene meno, né tampoco muta per effetto del distacco o del comando la sua regolamentazione a livello legale e/o contrattuale.
20. Deve, pertanto, escludersi la possibilità di contaminazione tra i trattamenti economici previsti da eventuali diverse discipline negoziali di settore, come è desumibile anche dal fatto che l’art. 73 commi 1, 3, 4, 5 e 6-bis del D.Lgs. n. 29 del 1993, come successivamente modificato, ed oggi corrispondente per contenuto all’art. 70 del D. Lgs. 165/2001, pone, al comma 12, a carico dell’ente che utilizza il personale di altre pubbliche amministrazioni, in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione, l’onere relativo al solo trattamento economico fondamentale.
21. E’ irrilevante la natura delle mansioni e dei compiti svolti dai lavoratori dipendenti di enti diversi dal Ministero della Giustizia ed ivi distaccati, o comandati, ai fini del riconoscimento della indennità di amministrazione, prevista dall’art. 34 del CCNL computo ministeri per i lavoratori dipendenti del Ministero della Giustizia e, successivamente, dall’art. 28 del CCNL DEL 16.2.1999.
22. L’indennità è, infatti, correlata alla specifica posizione ordinamentale dei dipendenti del Ministero della Giustizia, diversa e distinta, per effetto della disciplina legale e contrattuale, da quella del personale Proveniente da enti diversi (nella specie il Comune […]), che ha uno stato giuridico ed economico totalmente diverso, in ragione della fonte della sua regolazione, legale e/o contrattuale (Corte Cost. 92/93; Cass. SSUU 12543/1998 e 49/1999; Cass. 7724/2012, 27885/2009).
23. Sulla scorta delle considerazioni svolte va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, proposto in va subordinata.
24. E’ infondato il terzo motivo di ricorso.
25. Il diritto alla percezione del buono pasto deriva, per quanto rileva nella fattispecie in esame, dall’ Accordo per fa concessione di buoni pasto al personale civile in data 30.4.2006, che, all’art. 4, stabilisce che ” 1.Hanno titolo all’ attribuzione del buono pasto i dipendenti di cui all’ art. 1, 1° comma, aventi un orario di lavoro settimanale articolato su cinque giorni o su turnazioni di almeno otto ore continuative, a condizione che non possano fruire a titolo gratuito di servizio mensa od altro servizio sostitutivo presso la sede di lavoro.2. Il buono pasto viene attribuito per la singola giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa prevista dalli art. 19, comma 4, del CCNL, alli interno della quale va consumato il pasto.3. Il buono pasto viene attribuito anche per la giornata lavorativa nella quale il dipendente effettua, immediatamente dopo l’orario ordinario, almeno tre ore di lavoro straordinario, nei rispetto della pausa prevista dall’art. 19, comma 4, del CCNL, alli interno della quale va consumato il pasto”.
26. L’art. 5 dell’Accordo citato prevede che “I dipendenti in posizione di comando, distacco o fuori ruolo, che si trovano nelle condizioni di cui al precedente art. 4, anche se appartenenti ad amministrazioni pubbliche esterne al comparto, ricevono i buoni pasto clan! Amministrazione, Ente od ufficio ove prestano servizio. I dipendenti ministeriali che prestano servizio presso amministrazioni pubbliche esterne ai comparto non possono fruire dei buoni pasto disciplinati dal presente accordo”.
27. Tanto premesso, va ribadita la giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dal Collegio, secondo cui il valore dei pasti, di cui il lavoratore può fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituisce elemento integrativo della retribuzione, allorché il servizio mensa rappresenti un’agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l’utilizzazione della mensa ed il lavoro prestato, sostituendosi ad esso un nesso meramente occasionale con il rapporto (Cass. n. 12168/98, 11212/03, 14047/05, 20087/2008, 18852/2014;Ord. 14290/2012).
28. Questa Corte ha anche precisato che il valore dei pasti o il c.d. buono pasto, salva diversa disposizione, non è elemento della retribuzione, concretandosi lo stesso in una agevolazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale e che, escluso che il valore di cui trattasi possa rientrare ontologicamente nella nozione di retribuzione “normale”, nondimeno il buono pasto spetta nella ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 4 dell’Accordo sopra menzionato(Cass.20087/2008).
29. In applicazione dei principi sopra richiamati, condivisi dal Collegio, il terzo motivo di ricorso va rigettato perché il Ministero ricorrente non ha posto in discussione la sussistenza dei presupposti previsti dal comma 2 dell’art. 4 dell’Accordo del 30.4.2006 e perché l’art. 5 del richiamato Accordo, con formulazione chiara ed inequivoca, prevede l’attribuzione dei buoni pasto anche in favore dei dipendenti in posizione di comando, distacco o fuori ruolo, anche se appartenenti ad amministrazioni pubbliche esterne al comparto.
30. Sulla scorta delle considerazioni svolte il terzo motivo di ricorso va rigettato.
31. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con riferimento al primo motivo di ricorso e, ai sensi dell’art. 384 c. 2 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va rigettata la domanda degli odierni controricorrenti in relazione all’indennità di amministrazione, già indennità giudiziaria.
32. Il difforme esito dei giudizio di merito e l’accoglimento parziale del presente ricorso suggeriscono la compensazione delle spese dell’intero processo […]