Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 267 del 2019, dep. il 09/01/2019

[…]

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4976 pubblicata il 24.12.16, in parziale accoglimento dell’appello proposto da […] e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il predetto e le società […] e […]; ha dichiarato inefficace il licenziamento intimato al lavoratore il 13.10.11 ordinando alle predette società di reintegrarlo nel posto di lavoro e condannando le stesse, in solido, al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal recesso alla reintegra, oltre accessori di legge, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Ha confermato la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda di superiore inquadramento e condanna alle differenze retributive.
2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha interpretato la domanda del […], formalmente dipendente della controllata […], con la qualifica di quadro A3 e le mansioni di I…, come tale da prospettare sia la diretta riferibilità del rapporto di lavoro in capo alla società controllante, sia l’esistenza di una codatorialità.
3. Ha ritenuto, sulla base delle allegazioni delle parti e dei documenti prodotti, come il […] avesse lavorato “in modo del tutto indistinto per le esigenze del gruppo e della società formalmente datrice di lavoro essendo sottoposto ai poteri di direzione della capofila”.
4. Ha sottolineato come la fase di assunzione del predetto fosse stata gestita dalla […] che, nella persona di […]i, aveva redatto la proposta contrattuale contenente l’indicazione della sede di lavoro, delle mansioni, della paga base, degli incentivi e benefits, quindi determinato gli aspetti normativi ed economici del rapporto.
5. Ha evidenziato come nello svolgimento del rapporto di lavoro il predetto fosse stato coinvolto nell’attività del Gruppo attraverso incarichi rilevanti sia per qualità che per quantità; il […] aveva un contatto diretto e costante con il sig. …i, alto dirigente del Gruppo, che lo aveva nominato Project Manager nella gestione del progetto di … (stabilimento della formale datrice di lavoro); … interveniva continuamente sui progetti affidati al […], elencava gli obiettivi da raggiungere, disponeva le trasferte, impartiva direttive, verificava il lavoro, dava il benestare per le ferie del predetto. Gli incentivi per il […] erano stabiliti in base ai risultati di performance di gruppo.
6. La Corte di merito ha ritenuto il rapporto di lavoro in esame imputabile al Gruppo societario e, di conseguenza, ha accertato l’illegittimità del recesso nei confronti del […], disposto nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, sul rilievo che la “individuazione delle esigenze tecnico produttive della procedura collettiva indicate nella comunicazione preventiva ex L. n. 223/91 (riconversione industriale) e l’individuazione dei criteri di scelta (erano) stati limitati alla sola realtà aziendale della […], senza alcun riferimento alle altre società del Gruppo, dove pur continuavano ad essere svolte le funzioni di IT”.
7. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, in separati procedimenti, poi riuniti, la […] e la […], ciascuno affidato a tre motivi; ad ognuno di essi ha resistito con controricorso, illustrato da successive memorie, il lavoratore.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti dalle due società sono perfettamente sovrapponibili e possono essere esaminati congiuntamente.
2. Col primo motivo di ricorso le società hanno dedotto la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 2359 c.c. sul rilievo che società controllante del datore di lavoro formale del […] fosse la […] e non, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello, la […]. Hanno sottolineato come la stessa domanda del lavoratore fosse stata formulata nei confronti del Gruppo e non della sola […].
3. Col secondo motivo le società ricorrenti hanno censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 1344, 1414, 2094 e 2697 c.c. e della norma di diritto vivente sull’unico centro di imputazione di rapporti giuridici.
4. Hanno ribadito come la Corte di merito abbia considerato il lavoratore dipendente di due società del Gruppo, la formale datrice di lavoro e la […], omettendo incomprensibilmente di considerare la controllante […], ed hanno censurato la sentenza per contrarietà all’indirizzo giurisprudenziale (Cass. 26346 del 2016) che individua un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro solo ove il frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico funzionale sia frutto di simulazione o preordinazione in frode alla legge.
5. Le società hanno criticato la sentenza d’appello per aver ravvisato il vincolo di subordinazione senza adeguati riferimenti alla soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare della […], non potendo considerarsi sufficiente a tal fine la comunicazione a firma … ed avendo anzi la sentenza valorizzato il ruolo dell’ing. …, dipendente della […].
6. Col terzo motivo le società ricorrenti hanno ripetuto le medesime censure oggetto del secondo motivo di ricorso, sotto il profilo della nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per motivazione contraddittoria e/o perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
7. Il primo motivo di ricorso, con cui le società hanno dedotto la violazione dell’art. 2359 c.c. sul rilievo che l’individuazione della società controllante fosse stata compiuta dalla Corte d’appello in difformità dai criteri dettati dalla citata disposizione, dovendo considerarsi capogruppo la […]. anziché la […], è riconducibile al vizio di violazione di legge (nonostante l’erroneo riferimento al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.), ed è inammissibile, e comunque, infondato.
8. La sentenza d’appello ha accertato essere la […] “società controllante e capogruppo”. Le ricorrenti pretendono di desumere l’erronea applicazione dei criteri di cui all’art. 2359 c.c. dalle allegazioni contenute nelle rispettive memorie costitutive in appello. Tali allegazioni, anzitutto, sono trascritte in maniera parziale, limitatamente ad un estratto di pag. 4; le stesse peraltro non smentiscono il ruolo di controllante della […] in quanto si limitano a riconoscere che “[…] è società sottoposta a controllo e al coordinamento di […]che è la holding di settore. […] oltre ad essere controllante delle società del gruppo, eroga servizi…”. Il dato, emergente dalle suddette allegazioni (che non sono neanche definite come non contestate), non esclude logicamente che la […] fosse a sua volta controllante della […] e quindi capogruppo, come peraltro riportato nelle memorie di costituzione in appello di queste due ultime società, trascritte dal controricorrente.
9. Neanche il secondo motivo di ricorso merita accoglimento, dovendo darsi atto dell’evoluzione giurisprudenziale quanto alla costruzione del rapporto di lavoro in cui la parte datoriale sia rappresentata da una pluralità di imprese.
10. L’iniziale approccio della giurisprudenza ha valorizzato le frammentazioni fraudolente fra più società, finalizzate alla elusione delle norme imperative (ad esempio, in relazione al requisito occupazionale rilevante per la tutela c.d. reale o all’ampiezza dell’obbligo di repechage), ed ha dato rilievo all’impresa unica sottostante al gruppo.
11. In tal senso si è sostenuto che “Il collegamento economico – funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a fare capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le distinte e rispettive imprese; tale collegamento, pertanto, non è di per sè solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore e una di tali società, si estendano ad altre dello stesso gruppo, salva, peraltro, la possibilità di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro – anche ai fini della sussistenza o meno del requisito numerico necessario per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato – ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra vari soggetti e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle singole imprese, da parte del giudice del merito” (Cass. n. 6707 del 2004).
12. Il centro unitario di imputazione era individuato in presenza dei seguenti requisiti: a) unicità della struttura organizzativa e produttiva; b) integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; c) coordinamento tecnico e amministrativo – finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori” (Cass. n. 25763 del 2009; Cass. n. 11107 del 2006). 13. Un passo successivo nella sistemazione dogmatica del tema, nel senso della ammissione di una codatorialità in riferimento a gruppi genuini, è stato compiuto, sulla scia della nozione di “direzione e coordinamento” di società, introdotta nell’art. 2497 c.c., in coerenza col peso attribuito dall’ordinamento eurounitario alla nozione di gruppo di imprese.
14. Si è sostenuto (Cass. n. 25270 del 2011) che “la direzione ed il coordinamento che compete alla società capogruppo, e che qualifica, ora anche in sede normativa (art. 2497 ss cc), il fenomeno dell’integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici che possono riflettere una ingerenza talmente pervasiva da annullare l’autonomia organizzativa delle singole società operative (accreditando un uso puramente strumentale o, in altri termini, puramente “opportunistico” della struttura di gruppo), ovvero un rilevante, ma fisiologico, livello di integrazione”.
15. Si è aggiunto che in presenza di gruppi genuini, ma fortemente integrati, “è giuridicamente possibile concepire un’impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi, il che non comporta sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica, né di negare la pluralità di quei soggetti, ben potendo esistere un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un’unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l’obbligazione del datore di lavoro” (cfr. anche Cass. n. 4274 del 2003).
16. Come la dottrina ha puntualmente rilevato, i primi tre indici individuati quali sintomatici di una frode alla legge, sono divenuti tratti caratteristici della fattispecie della direzione e del coordinamento di società, con la conseguenza che, in presenza del quarto requisito, vale a dire della utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo, queste possono essere considerate codatrici del medesimo lavoratore, secondo lo schema della obbligazione soggettivamente complessa (cfr. ancora Cass. 17775 del 2016; Cass. n. 8809 del 2009).
17. La codatorialità nell’impresa di gruppo presuppone l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione economica complessiva a cui appartiene il datore di lavoro formale nonché la condivisione della prestazione del medesimo, al fine di soddisfare l’interesse di gruppo, da parte delle diverse società, che esercitano i tipici poteri datoriali e diventano datori sostanziali, secondo le regole generali di imputazione del rapporto all’effettivo utilizzatore della prestazione.
18. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato come il […] avesse “lavorato in modo del tutto indistinto per le esigenze del gruppo e della società formalmente datrice di lavoro ed essendo sottoposto ai poteri di eterodirezione della capofila”, così evidenziando l’esistenza di una stretta integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e di un coordinamento volto a far confluire le attività delle singole imprese verso un interesse comune, anche attraverso l’utilizzo promiscuo dei dipendenti.
19. Da tale accertamento in fatto, privo di vizi logici e giuridici e non suscettibile di censure in questa sede, la sentenza impugnata ha dedotto l’esistenza di una fattispecie di codatorialità, in coerenza con i principi di diritto sopra enunciati, il che porta ad escludere le violazioni di legge oggetto del motivo di ricorso in esame.
20. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
21. Come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis (sentenza d’appello del 2016), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi limitato al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
22. Si è ulteriormente puntualizzato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass., S.U., n. 22232 del 2016). Il che non ricorre nella specie in quanto è certamente percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale sia quanto all’accertamento in fatto e sia quanto ai principi di diritto applicati.
23. L’infondatezza dei ricorsi porta a ritenere superflua la mancata preventiva integrazione del contraddittorio; i ricorsi delle due società, […] e […], poi riuniti, sono stati notificati unicamente al lavoratore e non anche alle altre società del gruppo (oltre alle due sopra indicate, […]) che avevano preso parte ai giudizi di merito.
24. Come già statuito a riguardo da questa Corte (cfr. Cass. n. 8604 del 2017); Cass. n. 15106 del 2013; Cass. n. 6826 del 2010; Cass. n. 2723 del 2010), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cpc) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.
25. Si è ulteriormente precisato (Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 15106 del 2013) che nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia “prima facie” infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità.
26. Per le considerazioni svolte, i ricorsi devono essere respinti, […]