Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 7065 del 2018, dep. il 21/03/2018

[…]

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 4 maggio 2015) così dispone: 1) respinge l’appello principale di […] avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari n. 419/2013; 2) accoglie per quanto di ragione l’appello incidentale proposto dall'[…] avverso la suindicata sentenza e, in parziale riforma di tale sentenza, condanna l'[…] a corrispondere alla […], a titolo di risarcimento del danno, l’importo di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione, dal 16 luglio 2001 al saldo.
La Corte d’appello di Cagliari, per quel che qui interessa, precisa che:
a) la lavoratrice dopo aver subito due infortuni sul lavoro, ne 1996 e nel 1998, al rientro è stata adibita a mansioni di pulizia dei fabbricati di servizio e delle gabbie delle lepri, cui dava anche da mangiare;
b) dopo un periodo di aspettativa per motivi di salute è stata sospesa dal lavoro a novembre 2000 e da allora non è stata più retribuita, pur essendo guarita ed avendo offerto la propria prestazione all'[…] datore di lavoro;
c) nel mese di marzo 2001, su iniziativa dell'[…] medesimo, è stata sottoposta ad una visita medica di idoneità alle mansioni, senza che successivamente venisse adottato alcun provvedimento nei suoi confronti;
d) nel giugno 2001, perdurando il mancato pagamento delle retribuzioni, ha chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo al riguardo;
e) dopo pochi giorni dalla relativa notifica all'[…], le è stato comunicato il licenziamento in tronco per “inidoneità fisica all’attività lavorativa propria del livello di appartenenza”; f) in seguito a CTU disposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è stato accertato che la […] era idonea a svolgere le mansioni di pulizia dei locali che le erano state assegnate;
g) nel presente giudizio l'[…] ha sostenuto di non avere interesse a tali mansioni che peraltro erano state svolte prima del licenziamento in via del tutto provvisoria e senza alcuna formale accettazione da parte dell'[…];
h) detto questo, va accolta la censura dell'[…] di essere tenuto al risarcimento, per il licenziamento illegittimo subito dalla […], soltanto nella misura minima delle cinque mensilità della retribuzione globale di fatto alla data del licenziamento, per avere irrogato il licenziamento per una causa a sé non imputabile essendo obbligato ad adeguarsi al giudizio di inidoneità totale al lavoro espresso dal Collegio medico presso il Servizio di Igiene e Sanità pubblica della ASL n. 8;
i) deve essere respinta la censura della lavoratrice circa la mancata condanna dell'[…] a corrispondere anche le retribuzioni maturate dopo il compimento dei sessantacinque anni di età in quanto il compimento di tale età all’epoca dei fatti determinava l’automatica risoluzione del rapporto a prescindere dall’avvenuta maturazione, o meno, del diritto a pensione, diversamente da quanto affermato dalla richiamata Cass. 2 dicembre 2012, n. 1462, peraltro isolata e priva di specifica motivazione sul punto; m) quanto alla facoltà di rimanere in servizio per un biennio, non risulta che la […] abbia presentato specifica domanda al riguardo;
n) per le retribuzioni perse prima dell’impugnazione giudiziale va osservato che è un fatto obiettivo che la lavoratrice ha contribuito ad aggravare il danno ex art. 1227 cod. civ. per avere impugnato in sede giudiziale il licenziamento dopo quasi cinque anni dal recesso datoriale., né può avere alcuna rilevanza in contrario la circostanza che il danno è stato aggravato dall'[…] stesso che avrebbe potuto revocare il licenziamento fin dal 2002, quando la citata CTU aveva accertato la compatibilità delle condizioni di salute della dipendente con lo svolgimento di alcune mansioni;
o) va confermata, nel resto, la sentenza di primo grado che ha correttamente accertato il carattere del tutto ingiustificato del licenziamento.

2. Il ricorso di […] domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; l’intimato […] non svolge attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in sette motivi.

1.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello – riformando sul punto la sentenza di primo grado – limitato il risarcimento per il licenziamento illegittimo subito dalla […] alla misura minima delle cinque mensilità della retribuzione globale di fatto alla data del licenziamento, prevista dall’art. 18, quarto comma, della legge n. 300 del 1970 (nel testo applicabile, ratione temporis), in accoglimento di un’eccezione dell'[…], il quale si era costituito tardivamente in primo grado all’udienza di cui all’art. 420 cod. proc. civ., così incorrendo nelle decadenze e preclusioni di cui all’art. 416 cod. proc. civ. Tale eccezione — con la quale l'[…] ha sostenuto di avere irrogato il licenziamento per causa a sé non imputabile essendo tenuto ad adeguarsi al giudizio di inidoneità totale al lavoro espresso dal Collegio medico presso il Servizio di Igiene e Sanità pubblica della .ASL n. 8 — è una eccezione di merito che comporta che l’interessato sia tenuto a provare il fatto impeditivo per andare esente da responsabilità contrattuale nei termini di cui all’art. 416 cod. proc. civ.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, quarto comma, della legge n. 300 del 1970 (nel testo applicabile, ratione temporis), perché la Corte territoriale, dopo aver confermato la statuizione di illegittimità del licenziamento, non ha condannato l'[…] datore di lavoro a pagare, a titolo di risarcimento, tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento (13 luglio 2001) fino alla data dell’effettiva reintegrazione nel posto di lavoro e nella retribuzione.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello escluso il suddetto integrale risarcimento sull’assunto secondo cui la lavoratrice avrebbe contribuito ad aggravare il danno ex art. 1227 cod. civ. per avere impugnato in sede giudiziale il licenziamento dopo quasi cinque anni dal recesso datoriale. Si aggiunge che la Corte territoriale ha anche illegittimamente escluso il diritto alle retribuzioni perse nel periodo intercorrente tra la richiesta (all’epoca obbligatoria) del tentativo di conciliazione (22 maggio 2006) e il deposito del ricorso (7 settembre 2006).

1.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa fatti decisivi per la controversia che sono stati oggetto di discussione fra le parti, rappresentati sia dal giudizio del Collegio medico presso il Servizio di Igiene e Sanità pubblica della ASL n. 8 — che non era di inidoneità totale a tutte le mansioni di operaia […], ma soltanto a quelle di operaia generica indicate dall'[…], con la previsione della idoneità ad altre mansioni che l'[…] avrebbe dovuto sottoporre al giudizio del Collegio stesso, fra le quali rientravano quelle di pulizia dei locali, le quali infatti erano state pacificamente assegnate alla […] dopo i due infortuni sul lavoro subiti – sia dalla relazione del CTU nominato in sede giudiziale, nella quale la ricorrente era stata considerata “perennemente idonea” a svolgere i lavori di pulizia dei locali anche alla data del licenziamento (13 luglio 2001), sicché il licenziamento è stato annullato ma l'[…] non aveva comunque riammesso in servizio la dipendente.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, quarto comma, della legge n. 300 del 1970 (nel testo applicabile, ratione temporis), per avere la Corte territoriale, dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età da parte della lavoratrice, escluso il diritto della stessa al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate fino all’effettiva reintegrazione e/o all’effettivo pensionamento, sul presupposto che il compimento della suddetta età determinasse l’automatica risoluzione del rapporto a prescindere dall’avvenuta maturazione, o meno, del diritto a pensione.

1.6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, primo comma, della legge n. 604 del 1966, per avere la Corte d’appello ritenuto che il compimento della suddetta età determinasse l’automatica risoluzione del rapporto, senza necessità di un nuovo atto di recesso in forma scritta. Nella specie tale atto di recesso non è stato mai intimato e il licenziamento è stato annullato, quindi il risarcimento non poteva essere limitato al compimento del sessantacinquesimo anno di età da parte della […] ma doveva essere esteso a tutte le retribuzioni maturate fino all’effettiva reintegrazione con il versamento di tutti i contributi assicurativi e previdenziali.

1.7. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 2012, n. 503, che nella versione all’epoca vigente aveva previsto la possibilità per i dipendenti pubblici di manifestare la volontà di proseguire il rapporto di lavoro fino a sessantasette anni di età. La ricorrente aveva manifestato la volontà di proseguire il proprio rapporto di lavoro dichiarandosi reiteratamente disponibile a riprendere la propria attività con varie diffide e poi con il ricorso introduttivo del giudizio e nelle fasi del giudizio, quindi avrebbe avuto diritto all’applicazione della suddetta norma (con prosecuzione del rapporto fino al 14 dicembre 2008), che la Corte d’appello ha escluso per la mancanza di una specifica domanda.

II – Esame delle censure

2. Per le ragioni di seguito esposte, l’esame delle censure porta all’accoglimento dei primi tre motivi di censura, all’assorbimento del quarto 4 motivo, al rigetto del quinto e del sesto motivo e alla dichiarazione di inammissibilità del settimo motivo.

3. Quanto ai primi tre motivi – da trattare insieme data la loro intima connessione – deve, in primo luogo essere ricordato che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, in base a consolidati orientamenti di questa Corte cui si intende dare continuità:
a) in materia di licenziamento per inabilità al lavoro, il giudizio della Struttura sanitaria pubblica, di cui all’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non ha valore vincolante né per il giudice – che può disporre consulenza tecnica d’ufficio per accertare la sussistenza delle condizioni di inabilità – né per il datore di lavoro, il quale, ai fini della risoluzione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, è tenuto altresì a provare di non poter in alcun modo destinare il lavoratore ad altre mansioni (anche inferiori) compatibili con lo stato di salute ed attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato a monte il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione;
b) conseguentemente, in caso di contrasto tra l’accertamento sanitario predetto e la consulenza disposta nel corso del processo, il giudice del merito è tenuto a porre a raffronto le diverse risultanze allo scopo di stabilire quale sia maggiormente attendibile e convincente, con un apprezzamento valutativo sottratto al sindacato di legittimità ove correttamente e logicamente motivato (Cass. 17 giugno 2015, n. 12489; Cass. SU 7 agosto 1998, n. 7755; Cass. 18 aprile 2011, n. 8832; Cass. 6 giugno 1998, n. 5600 ; Cass. 26 marzo 1984, n. 1971; del 26/03/1984);
c) inoltre, il giudizio della Struttura sanitaria pubblica – anche se, in ipotesi, di totale inabilità del lavoratore alle mansioni precedentemente svolte (evenienza che qui non si verifica) – come non impone il licenziamento così non integra un caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa tale da risolvere il rapporto, essendo pur sempre onere del datore di lavoro dimostrare l’inesistenza di altre mansioni (anche diverse ed eventualmente inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore e a lui attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato, a monte, il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione (Cass. 6 dicembre 2017, n. 29250).

3.1. Tali principi, con i necessari adattamenti, sono applicabili anche nella presente vicenda, svoltasi in epoca molto remota (il licenziamento è del 16 luglio 2001), nella quale il datore di lavoro è l'[…] – oggi soppresso […] – cui va riconosciuta natura di ente pubblico non economico (Cass. SU 29 luglio 1998, n. 7419; Cass. 27 maggio 2015, n. 10973).
È noto, infatti, che, ai sensi dell’art. 51, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, “la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti” (vedi, al riguardo: Cass. 9 giugno 2016, n. 11868).

3.2. Come ha riferito anche la Corte territoriale nella presente peculiare vicenda l'[…]:
1) dapprima ha pacificamente dimostrato di trarre utilità dalle – pur ridotte, rispetto a quello originarie – mansioni di pulizia assegnate alla lavoratrice quando è rientrata a lavorare dopo il secondo infortunio sul lavoro;
2) quindi – dopo avere sospeso dal lavoro la dipendente e smesso di corrisponderle le retribuzioni senza alcuna giustificazione e benché la […] avesse offerto la propria prestazione – ha preso l’iniziativa di farne controllare l’idoneità alle mansioni dal Collegio medico presso il Servizio di Igiene e Sanità pubblica della ASL n. 8;

3) non ha poi adottato alcun provvedimento, in attuazione del giudizio espresso dal suddetto Collegio medico, giudizio che pacificamente non era di assoluta inidoneità al lavoro, ma di non idoneità allo svolgimento delle mansioni di operaia generica, con la precisazione della compatibilità con lo stato di salute della lavoratrice di altre mansioni che l'[…] avrebbe dovuto sottoporre al giudizio del Collegio stesso, fra le quali rientravano quelle di pulizia dei locali, che infatti erano state assegnate alla […];

4) ha continuato a non pagare le retribuzioni e dopo essere stato obbligato a farlo in sede monitoria ha comunicato alla dipendente il licenziamento in tronco per “inidoneità fisica all’attività lavorativa propria del livello di appartenenza”;

5) anche dopo la conferma (avvenuta nel 2002) in sede giudiziale, per effetto di una CTU, della compatibilità delle condizioni di salute della lavoratrice con le mansioni di pulizia dei locali non ha revocato il licenziamento né ha dato esecuzione alla successiva sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento stesso.

3.3. È questo il contesto in cui l'[…] – dopo aver tenuto per molti anni un comportamento contrario ai criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), nel pubblico impiego contrattualizzato applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (Cass. 1 dicembre 2017, n. 28879) – è arrivato addirittura a sostenere in giudizio che il licenziamento è stato irrogato per una causa a sé non imputabile, rappresentata dall’obbligo di adeguarsi al giudizio di “inidoneità totale al lavoro” espresso dal Collegio medico. Ebbene tale assunto condiviso dalla Corte territoriale, per quanto si è detto, non solo si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in materia – che esclude una simile “vincolatività” – ma, in considerazione del pacifico svolgimento dei fatti, risulta del tutto contraddittorio rispetto al comportamento tenuto dall'[…], visto che, come riferisce anche la Corte d’appello, l'[…] medesimo non ha assunto alcun provvedimento dopo il giudizio del Collegio medico, che peraltro non era totale inidoneità al lavoro e quindi non lo ha considerato affatto “vincolante”.

3.4. Né va omesso di considerare che in base all’art. 10 CCNL per il Personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 14 settembre 2000 (da applicare nella specie: Cass. 27 maggio 2015, n. 10973 e per il quale vige l’esenzione dall’onere del deposito) “nel caso che il dipendente sia riconosciuto idoneo a proficuo lavoro ma non allo svolgimento delle mansioni del proprio profilo professionale, l’ente, compatibilmente con la sua struttura organizzativa e con le disponibilità organiche, può utilizzarlo in mansioni equivalenti a quelle del profilo rivestito, nell’ambito della stessa categoria oppure, ove ciò non sia possibile e con il consenso dell’interessato, anche in mansioni proprie di profilo professionale ascritto a categoria inferiore”, con applicazione, in tal caso, dell’art.4, comma 4, della legge n.68 del 1999 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili). E, per il successivo art. 10-bis, nei confronti dei lavoratori che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro eventuali disabilità trova applicazione l’art.1, comma 7, della stessa legge n.68 del 1999.

3.5. D’altra parte, per quanto riguarda la determinazione dell’entità del risarcimento del danno dovuto in caso di licenziamento illegittimo, devono essere ricordati i consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte secondo cui, con riguardo all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nel testo applicabile ratione temporis:
a) l’indennità prevista dall’art. 18, quarto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione “juris et de jure” del danno causato dal recesso, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa, mentre la corresponsione dell’indennità commisurata alla retribuzione effettivamenite non percepita costituisce una presunzione jiuris tantum” di lucro cessante fondata sulla difficoltà del licenziato di ricostituire un altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed è onere del datore provare che il danno ulteriore non sussiste nella specie (Cass. 11 novembre 2011, n. 23666; Cass. 28 agosto 2007, n. 18146);
b) la questione relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria del datore di lavoro deve ritenersi regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori elementi distintivi, sicché è applicabile l’art. 1218 cod. civ., secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova ‘che l’inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile (Cass. 18 settembre 2012, n. 15651 e giurisprudenza ivi richiamata nonché Cass. 9 maggio 2014, n. 10120);
c) l’obbligo del creditore (lavoratore) di cooperazione e di attivazione volto ad evitare l’aggravarsi del danno, secondo l’ordinaria diligenza ex art. 1227, secondo comma, cod. civ., riguarda solo le attività non gravose, né eccezionali, o tali da non comportare notevoli rischi o sacrifici, sicché non sono imputabili al lavoratore le conseguenze dannose derivanti dal tempo da questi impiegato per la tutela giurisdizionale, sia che si tratti di inerzia endo che preprocessuale, tutte le volte che le norme attribuiscano poteri paritetici al datore di lavoro per la tutela dei propri diritti e la riduzione del danno (vedi, per tutte: Cass. 11 marzo 2016, n. 4865).

3.6. Nella specie, la contestata statuizione della Corte territoriale secondo cui, dopo la conferma del carattere del tutto ingiustificato del licenziamento, non ha condannato l'[…] datore di lavoro a corrispondere alla lavoratrice, a titolo risarcitorio, l’importo di tutte le retribuzioni globali di fatto a decorrere dalla data del licenziamento, oltre agli accessori di legge, risulta del tutto in contrasto con l’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nella formulazione ratione temporis applicabile.
Tale contrasto si rinviene sotto molteplici profili:
a) la limitazione del risarcimento a sole cinque mensilità in assenza di elementi idonei a superare la suindicata presunzione legale juris tantum circa l’entità del danno subito dalla lavoratrice e, in particolare, sulla base dell’erroneo assunto della derivazione del licenziamento da causa non imputabile all'[…] datore di lavoro;
b) l’esclusione dal risarcimento delle retribuzioni perse dalla lavoratrice prima dell’impugnazione giudiziale, effettuata sull’erronea premessa secondo cui la […] avrebbe contribuito ad aggravare il danno ex art. 1227 cod. civ. per avere impugnato in sede giudiziale il licenziamento dopo quasi cinque anni dal recesso datoriale, aggiungendosi di non poter attribuire alcuna rilevanza in contrario alla circostanza che il danno è stato aggravato dall'[…] stesso che avrebbe potuto revocare il licenziamento fin dal 2002, quando la citata CTU aveva accertato la compatibilità delle condizioni di salute della dipendente con Io svolgimento di alcune mansioni. Il che si pone in frontale contrasto con il su riportato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, tanto più che sul punto la Corte d’appello non solo non esprime alcuna valutazione sulle conseguenze del menzionato aggravamento del danno da parte dell'[…] ma neppure afferma che l'[…] medesimo abbia dato dimostrazione della riconducibilità del ritardo preprocessuale a dolo o colpa della lavoratrice.

4. Di qui l’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, che comporta l’assorbimento del quarto motivo.

5. Il quinto e il sesto motivo, da esaminare insieme perché collegati, sono da respingere, mentre il settimo motivo è inammissibile.

5.1. In ordine logico va esaminato per primo il settimo motivo, con il quale si sostiene l’erroneità dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata relativa all’esclusione della facoltà della lavoratrice di rimanere in servizio per un biennio oltre all’età pensionabile (sessantacinque anni), data l’assenza della presentazione di una specifica domanda al riguardo.
Com’è noto l’art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, aveva previsto il diritto potestativo dei pubblici dipendenti di essere trattenuti in servizio per un biennio oltre l’età normalmente prevista per il collocamento a riposo, stabilendo che tale diritto poteva essere esercitato dall’interessato in ogni tempo antecedente alla risoluzione automatica del rapporto per il compimento dell’età massima di servizio, assolvendo il solo onere del preventivo invio della comunicazione dell’opzione al datore di lavoro, onde impedire l’estinzione del rapporto (Cass. 24 gennaio 2006, n. 1297; Cass. 21 agosto 2007, n. 17776).
Nella specie la ricorrente sostiene di aver manifestato la volontà di proseguire il proprio rapporto di lavoro dichiarandosi reiteratamente disponibile a riprendere la propria attività con varie diffide e poi con il ricorso introduttivo del giudizio e nelle fasi del giudizio, ma non prospetta tale censura dimostrando che le suddette manifestazioni di volontà potessero valere in modo inequivoco come comunicazione dell’opzione di avvalersi del suddetto diritto potestativo.
Infatti, la ricorrente propone la censura senza osservare il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione (c.d. autosufficienza) , in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere previsto dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (a pena di improcedibilità del ricorso), dovendo cioè indicare nel ricorso specificamente il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice del merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, al fine di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569). 5

.2. Ciò comporta l’inammissibilità del settimo motivo alla quale consegue l’infondatezza del quinto e del sesto motivo.
Infatti, nel lavoro pubblico contrattualizzato – diversamente da quanto si verifica nel lavoro privato (cui si riferiscono le richiamate Cass. 29 marzo 1995, n. 3754 e Cass. 2 febbraio 2012, n. 1462 nonché Cass. 17 aprile 2015, n. 7899) – l’art. 97 Cost. impone che sia prevista, sulla base di disposizioni di legge non derogabili dalla contrattazione collettiva, l’estinzione del rapporto al compimento di un’età massima, salve le ipotesi di protrazione per periodi definiti a domanda del dipendente e, eventualmente, con il consenso dell’Amministrazione (vedi, per tutte: Cass. 2 marzo 2005, n. 4355).
Poiché, nella specie, come si è detto non è stato dimostrato l’avvenuto corretto esercizio, da parte della […], del diritto potestativo di essere trattenuta in servizio per un biennio oltre l’età prevista per il collocamento a riposo, deve considerarsi corretta la statuizione – contestata nel quinte, e nel sesto motivo – con la quale la Corte territoriale ha escluso la condanna dell'[…] a corrispondere anche le retribuzioni maturate dopo il compimento dei sessantacinque anni di età, sull’esatto assunto secondo cui nel settore di appartenenza (Regioni e Autonomie locali) il compimento di tale età all’epoca dei fatti determinava l’automatica risoluzione del rapporto a prescindere dall’avvenuta maturazione, o meno, del diritto a pensione.

III – Conclusioni

6. In sintesi, i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, il quarto motivo va dichiarato assorbito, il quinto e il sesto motivo vanno rigettati e il settimo motivo va dichiarato inammissibile. […]