[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 10 marzo 1999, il sig. […] conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Verona, l’Amministrazione comunale […], in persona del Sindaco pro tempore, nonché i sigg. […] e […] al fine di sentir dichiarare la nullità dell’atto di compravendita, rogato in data […] ottobre 1998 dal notaio […], di un immobile di proprietà del suddetto Comune, sito in località “[…]”, già adibito ad edificio scolastico e censito […].
A fondamento della proposta domanda l’attore esponeva che il suddetto Comune […], con Delib. Consiliare […] 1996, n. […] aveva deciso di alienare l’indicato immobile per riequilibrare la gestione economica dell’ente e che, successivamente, in data […] aprile 1997, con provvedimento della Giunta municipale n. […], era stato deliberato di procedere alla vendita dello stesso immobile mediante asta pubblica a mezzo di offerta segreta ai sensi del R.D. n. 827 del 1924, art. 73, lett. c, per il prezzo a base d’asta di L. 100.000.000, asta, però, rimasta deserta; pertanto, a seguito di approvazione di avviso pubblico, con ulteriore Delib. n. […] del 1998 della Giunta municipale, si provvide a disporre la vendita del predetto immobile a mezzo trattativa privata. Il bene in discorso venne aggiudicato, in data […] luglio 1998, al sig. […], che rivestiva la carica di consigliere comunale dello stesso ente aggiudicante, in quanto unica persona ad aver presentato un’offerta al valore di L. 67.900.000, valore ritenuto congruo dall’ufficio tecnico comunale, a cui faceva seguito, previa delibera della stessa Giunta municipale, la stipula dell’atto di trasferimento, con il riportato atto notarile del […] ottobre 1998, in favore del […], con cointestazione del medesimo bene anche in capo alla consorte […], siccome in regime di comunione dei beni. Rilevava l’attore che, alla luce del riferito svolgimento dei fatti, la vendita era da considerarsi nulla poiché il sig. […], nella predetta qualità di consigliere comunale, aveva partecipato all’approvazione della Delib. n. […] del 1996 adottata dal Consiglio comunale, con la quale era stato deciso di alienare l’immobile, che lo stesso aveva acquistato, in tal modo risultando violato il divieto previsto dall’art. 1471 c.c.. Pertanto, lo […] concludeva invocando, da parte del Tribunale adito, la dichiarazione di nullità dell’impugnato atto di vendita.
Si costituivano in giudizio tutte le parti convenute e, in particolare, il Comune […], che instava per il rigetto della domanda (sul presupposto dell’ininfluenza della partecipazione del […] alla Delib. C.C. n. […] del 1996), il […] (che eccepiva la carenza di legittimazione ad agire dell’attore e, comunque, l’insussistenza del preteso divieto assoluto dedotto in giudizio, unitamente all’insussistenza dell’asserito danno), nonché la […] (che, oltre a reiterare le difese addotte dal coniuge, eccepiva l’inestensibilità della eventuale nullità del contratto alla quota parte dalla stessa acquistata).
All’esito dell’istruzione probatoria, il Tribunale adito, con sentenza n. 3014 del 2002, accoglieva la domanda attrice e, per l’effetto, dichiarava la nullità dell’atto di compravendita dedotto in controversia, ordinando al convenuto […]o di far rientrare il Comune convenuto nella piena disponibilità e possesso del bene che ne aveva costituito oggetto, con la conseguente condanna di tutti i convenuti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese giudiziali.
Interposto appello da parte della […] e nella costituzione del Comune […] e del […] (che, a volta, proponeva appello incidentale), la Corte di appello di Venezia, nella contumacia dell’altro appellato […], con sentenza n. 1157 del 2007 (depositata il 12 settembre 2007), rigettava entrambi i gravami e, pertanto, confermava l’impugnata sentenza, condannando la […] ed il […] al pagamento delle spese del grado sopportate dall’appellato Comune.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta riteneva l’infondatezza di tutte le censure formulate dai due appellanti (principale ed incidentale) riguardanti la supposta nullità insanabile della sentenza di primo grado (fondata sulla circostanza che la stessa sarebbe stata emessa da un giudice diverso da quello dinanzi al quale erano state precisate le conclusioni), la dedotta mancanza di legittimazione attiva dello […], la carenza di motivazione in ordine alla qualifica di “amministratore” dello stesso […] (con errata applicazione delle norme di cui al T.U. n. 267 del 2000, “ratione temporis” inapplicabile nella specie) e l’illegittimità dell’estensione della pronunciata nullità dell’acquisto anche nei confronti della […].
Quanto alla prima doglianza, la Corte lagunare evidenziava che l’eccezione non era stata supportata dall’idonea allegazione dei fatti specifici e dei documenti necessari che ne potessero avvalorare la fondatezza. Con riferimento alla dedotta carenza di interesse dello […] si osservava che il diritto di far valere la nullità avrebbe potuto essere chiesto da chiunque vi aveva interesse (alla stregua dell’art. 1421 c.c.). In ordine alla terza censura, il giudice di appello riconfermava la statuizione di primo grado sulla ritenuta operatività, nel caso di specie, del divieto di cui all’art. 1471 c.c., da considerarsi estensibile a tutti gli organi muniti di poteri di disposizione o di gestione dei beni e, perciò, anche ai consiglieri comunali che – sotto questo profilo – avrebbero dovuto essere ritenuti “amministratori”, Con riguardo all’ultimo motivo prospettato, la Corte di seconde cure osservava che, attraverso l’operazione economico-giuridica realizzata, l’intervento nell’acquisto anche della consorte del […]aveva, comunque, consentito (favorendo l’afflusso del bene, oggetto della vendita, al patrimonio comune coniugale) di concretare la situazione a cui era applicabile il divieto previsto dal citato art. 1471 c.c.. Avverso la predetta sentenza (notificata il 1 febbraio 2008) hanno proposto distinti ricorsi (notificati il 28 marzo 2008) il […] (iscritto al N.R.G. 9369/08), articolato in 15 complessi motivi (a loro volta sviluppati in ulteriori suddistinzioni), e la […] (iscritto al N.R.G. 9370/08), riferito a 17 complessi motivi (alcuni dei quali variamente sviluppati in ulteriori suddistinzioni). Il Comune […] si è costituto in questa fase con separati controricorsi nei confronti di entrambi i ricorrenti, mentre l’intimato […] – malgrado la ritualità della notificazione di entrambi i ricorsi proposti (per come comprovato dai rispettivi avvisi di ricevimento ritualmente allegati agli atti) – non ha svolto attività difensiva in questa fase processuale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In primo luogo deve essere disposta la riunione dei due ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., stante l’evidente connessione soggettiva ed oggettiva tra gli stessi ed essendo stati essi rivolti nei riguardi della stessa sentenza.
RICORSO ISCRITTO AL N.R.G. 9369/08 nell’interesse di […].
2. Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente […] ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ed avuto riguardo al rigetto del primo motivo di appello proposto dalla […] – la supposta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 12 settembre 2007), il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che viola il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. in punto corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la decisione del giudice di appello laddove – anziché limitarsi alla valutazione d’ufficio della regolarità formale della sentenza portata in gravame – pur a fronte dell’intenzionale non riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni di un originario motivo di appello in punto di ipotizzata nullità insanabile della sentenza, pronunci il rigetto del motivo non riproposto, dichiarando soccombente la parte appellante sul motivo pur già rinunciato”.
3. Con il secondo motivo del suo ricorso il […] ha dedotto – quanto al rigetto del secondo motivo di appello della […] (e primo punto dell’appello incidentale di esso […]) in ordine al difetto di legittimazione attiva e titolarità dell’azione in capo al sig. […] – il vizio omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonché il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1421 c.c. e dell’art. 100 c.p.c., art. 1471 c.c., art. 81 c.p.c., della L. n. 142 del 1990, art. 7. art. 1 c.p.c, artt. 24, 103 e 113 Cost. prospettando, a quest’ultimo proposito, il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c. nei seguenti termini: “dica la S.C. essere vero che, non potendo l’azione ex art. 1421 c.c. essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge da quivis de populo ed essendo legittimati all’azione ex art. 1421 c.c. soltanto le parti del contratto per le quali il contratto medesimo ha forza di legge o comunque i soggetti che dal contratto ricevono una lesione diretta ed attuale ad un loro diritto, non sussiste interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. e, dunque, legittimazione ad agire ex art. 1421 c.c. in relazione ad un contratto di compravendita immobiliare concluso iure privatorum dalla Pubblica Amministrazione con soggetto privato, da parte di un soggetto che non abbia preso parte al contratto e che i agisca in nome e conto proprio lamentando una lesione ad un generico interesse uti cives all’utilizzo dei beni pubblicì.”
Sotto il profilo dei vizi motivazionali dedotti il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sia per omissione e contraddittorietà delle argomentazioni spese dalla Corte veneta in ordine alla qualità per cui aveva agito lo […] (ritenuto agente in proprio con la sentenza di prime cure e quale rappresentante di comitati di cittadini, con la sentenza di appello) sia per carenza del ragionamento logico con riferimento alla ravvisata legittimazione dello […] come “quivis de populo” ad impugnare, per mere ragioni di interesse legittimo e non quale titolare di un diritto soggettivo, un atto di tipo privatistico concluso dalla P.A. anche al di fuori dei limiti dell’azione popolare.
4. Con il terzo motivo il […] ha inteso far valere la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., formulando, al riguardo, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che, laddove non sia ne’ allegata da parte attrice – che dichiara di agire in nome e per conto proprio – ne’ adeguatamente dimostrata nel corso del processo la sussistenza di una specifica ipotesi di sostituzione processuale espressamente prevista per legge, non può essere riconosciuta la legittimazione ad agire in capo a soggetto che agisca in nome proprio lamentando una violazione di interessi collettivi o generalì.”
5. Con il quarto motivo lo stesso ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 142 del 1990, art. 7 indicando, a suo corredo, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – disciplinando la L. n. 142 del 1990, art. 7 il diritto dell’elettore di agire a titolo di c.d. azione popolare unicamente d’innanzi alle giurisdizioni amministrative esercitando in nome proprio un’azione spettante al Comune, in ipotesi di inerzia del Comune medesimo – non può ravvisarsi un’azione popolare, in relazione ad una iniziativa giudiziaria promossa il 9 marzo 1999 dinnanzi all’autorità giurisdizionale ordinaria da soggetto che dichiari di agire esercitando i propri diritti di cittadino e convenendo il Comune, il quale ultimo costituitosi in giudizio ha chiesto il rigetto delle domande dell’attore”.
6. Con il quinto motivo il ricorrente […] ha prospettato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 c.p.c. in correlato disposto degli artt. 24, 103 e 113 Cost., formulando il quesito di diritto nei seguenti sensi: “dica la S.C. essere vero che deve essere rigettata, non sussistendo giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, l’azione di nullità ex ari. 1421 c.c. promossa anche contro la P.A. parte dell’atto da soggetto che, estraneo al rapporto contrattuale, agisca uti cives deducendo la lesione ad un mero interesse legittimo e, comunque, un suo interesse legittimo a far verificare la validità giuridica del negozio posto in essere dalla P.A”.
7. Con il sesto motivo il […] ha denunciato – quanto al rigetto del 3 motivo di appello della […] (fatto proprio con il suo appello incidentale) in punto di pretesa applicabilità delle norme di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000 a fattispecie realizzatasi nel 1998 – il vizio di insufficiente motivazione e quello di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1471 c.c. e della L. n. 142 del 1990, art. 31 esponendo, al riguardo, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – dovendo l’art. 1471 c.c., quale norma di diritto privato e quale norma statuente una incapacità giuridica speciale, essere applicato non oltre i casi e i tempi espressamente previsti, con esclusione della possibilità di interpretazioni estensive e/o analogiche, ed interpretato nel senso fatto proprio dalle parole con l’accezione e significato che esse hanno in ambito civil-privatistico – nella vigenza della L. n. 142 del 1990 non poteva qualificarsi amministratore nel senso di cui all’art. 1471 c.c. rispetto ai beni del Comune, il consigliere comunale in quanto privo di concreti poteri diretti di gestione del bene”.
8. Con il settimo motivo il […] ha dedotto una ulteriore violazione e/o falsa applicazione della predetta L. n. 142 del 1990, art. 31 (quale norma “ratione temporis” applicabile ed in virtù del tenore della stessa), ponendo al vaglio di questa Corte il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che, nelle more della vigenza della L. n. 142 del 1990 – essendo il consiglio comunale qualificato quale organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo – non competeva al consiglio comunale la cura dei beni locali e l’amministrazione degli stessi nel senso civilistico di cui all’art. 1741 c.c.”.
9. L’ottavo motivo, attinente alla costituzione del Comune, mi sembra che introduca un tema nuovo, rispetto al quale il […] è verosimilmente anche carente di interesse. Il quesito proposto è il seguente: “dica la S.C. essere vero che – essendo applicabili alla P.A. parte di un processo dinanzi all’A.G.O. in punto di fattispecie negoziale conclusa iure privatorum, e quindi l’art. 75 c.p.c. – non possono intendersi autorizzati dal mutamento del legale rappresentante dell’Ente mutamenti di possibili processuali inammissibili secondo le norme ordinarie procedurali, onde sarà inammissibile una modifica della posizione processuale da resistenza alle domande attoree ad adesione alle stesse in danno di altre parti processuali.”
In altri termini, con tale censura, il ricorrente ha inteso far valere l’inammissibilità della posizione difensiva del Comune convenuto che, mentre in primo grado, aveva sostenuto la legittimità della procedura a seguito della quale il bene era stato venduto al […], invocando il rigetto della domanda principale dello […], nel giudizio di secondo grado ed anche in cassazione (verosimilmente a seguito della sopravvenuta modifica di indirizzo politico-amministrativo del Comune stesso), aveva modificato la propria strategia difensiva, adottando una posizione processuale contrapposta a quelle del […] e della […] ed adesiva a quella dello […] (anche se non formulando vere e proprie “domande nuove”, non avendo, peraltro, in primo avanzato eccezioni in senso proprio o domande riconvenzionali).
10. Con il nono motivo il […] ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., formulando il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – a fronte di pronuncia di soccombenza in primo grado in solido tra più parti convenute in giudizio ed in assenza di impugnazione da parte di una delle parti sul punto – non può essere considerata tale parte non appellante come appellata rispetto alle domande di appello in riforma della sentenza di primo grado proposta dagli altri convenuti, nei confronti dei quali in primo grado la parte non appellante non è risultata vittoriosa: non potrà dunque essere disposta a suo favore la liquidazione delle spese a carico degli appellati già soccombenti con essa in primo grado”.
11. Con il decimo motivo il […] ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., comma 2, indicando, a suo sostegno, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – costituendo l’intervento adesivo una ipotesi di partecipazione di una parte al processo con poteri limitati all’espletamento di un’attività accessoria e subordinata a quella svolta dalla parte adiuvata, potendo egli sviluppare le proprie deduzioni ed eccezioni nell’ambito unicamente delle domande e delle eccezioni proposte da detta parte – non può ravvisarsi intervento adesivo nella posizione del Comune che, originariamente convenuto con altri soggetti e costituitosi in resistenza alla pretese di un terzo, si costituisca in appello perorando le ragioni dell’originario attore rimasto contumace in gravame e rispetto al quale il Comune in primo grado era stato dichiarato soccombente: non potranno dunque essere considerate accoglibili le domande diverse da quelle di mero rigetto delle pretese del terzo originariamente proposte ne’ accolta la richiesta di rifusione delle spese di appello”.
12. Con l’undicesimo motivo il […] ha censurato la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 110 c.p.c. formulando il quesito di diritto nei seguenti termini: “dica la S.C. essere vero che – prevedendo l’art. 110 c.p.c. la prosecuzione del successore universale nel processo nello stato in cui il processo di trova e quindi con le preclusioni già verificatesi – anche nella denegata ipotesi in cui si volesse ravvisare una successione universale nella mutazione della compagine amministrativa dell’ente locale a seguito di elezioni politiche, non è comunque ammissibile una modifica della posizione processuale da convenuto resistente ad interveniente adesivo in favore dell’attore, non autorizzando a ciò l’art. 110 c.p.c.: non potranno dunque essere accolte domande nei confronti di soggetti originariamente convenuti insieme al Comune e nei confronti dei quali l’Ente costituendosi non ha svolto domande”.
13. Con il dodicesimo motivo il […] ha inteso far valere la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., esponendo il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – imponendo l’art. 167 c.p.c. al convenuto in sede di costituzione di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda formulando le relative conclusioni – è irrituale ed inammissibile la formulazione, da parte del convenuto, di una conclusione che rimetta al giudice la valutazione della fondatezza o meno della domanda attorea di nullità del contratto oggetto di causa, per non saper dire il convenuto se tale contratto è nullo o meno: non potrà dunque essere accolta tale conclusione ne’ su di essa essere disposta alcuna condanna alle spese processuali.”
14. Con il tredicesimo motivo il […] ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., formulando il quesito di diritto nei sensi che seguono: “dica la S.C. essere vero che è da considerarsi inammissibile mutatio libelli nonché introduzione di domande nuove, come tali non consentite dall’art. 183 c.p.c. e quindi in violazione della predetta norma, la modifica della presa di posizione e delle conclusioni rassegnate da una parte che, dopo essersi costituita in resistenza alle domande dell’attore che dichiarava essere infondate, con la memoria concessa ex art. 183 c.p.c. chieda al giudice di verificare se la domanda dell’attore volta a far dichiarare la nullità di un contratto è fondata oppure infondata e, per il caso di fondatezza della domanda attorea, formuli per la prima volta in tale memoria domanda di restituzione dell’immobile ceduto con il contratto: non potrà dunque accogliersi tale domanda modificata, ne’ disporsi su di essa alcuna condanna alle spese nei confronti degli altri convenuti.”
15. Con il quattordicesimo motivo il […] ha sostenuto l’assunta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., corredando la doglianza con il seguente motivo: “dica la S.C. essere vero che deve essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c. la domanda di rigetto dell’appello medesimo, laddove svolta a sostegno delle domande dell’originario attore in primo grado da quella stessa parte che, originariamente convenuta nel primo grado di giudizio, si era costituita in primo grado contraddicendo le pretese attoree, costituendo la successiva domanda di rigetto dell’appello un radicale capovolgimento delle posizioni assunte originariamente nel processo e quindi la formulazione di domande non tempestivamente e ritualmente dedotte dalla attuale resistente in appello: non potranno essere pertanto esaminate le argomentazioni della resistente all’appello ne’ accolte le domande della stessa nemmeno in ordine alle spese”.
16. Con il quindicesimo ed ultimo motivo il […] ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100 e 91 c.p.c., con riferimento alla parte in cui la sentenza impugnata aveva riconosciuto la rifusione delle spese al Comune. Il quesito di diritto risulta così strutturato: “dica la S.C. essere che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 91 e 100 c.p.c., alla parte carente di interesse a costituirsi in resistenza nel giudizio di appello, per essere risultata soccombente in primo grado unitamente all’appellante, non possa essere riconosciuta la rifusione delle spese di lite a carico dell’appellante già con essa soccombente in primo grado, non essendo raffigurabile una soccombenza in gravame dell’appellante nei confronti di chi non aveva interesse a resistere all’appello”.
RICORSO (ISCRITTO AL N.R.G. 9370/08) nell’interesse di […].
17. Il primo motivo del ricorso formulato nell’interesse della […] è speculare alla prima censura proposta nell’interesse del […], ragion per cui deve intendersi qui per integralmente richiamato.
18. Anche il secondo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso della […] sono uguali a quelli omologhi avanzati dal ricorrente […], onde anch’essi devono ritenersi per richiamati in questa sede.
19. Anche per i motivi quinto, sesto e settimo del ricorso proposto per la […] riproducono i corrispondenti motivi del ricorso del […] e vanno, perciò, ritenuti per integralmente richiamati.
20. L’ottavo motivo formulato nell’interesse della […] è, invece, riferibile alla specifica posizione di tale ricorrente. Con esso risulta dedotta la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 112 c.p.c., all’art. 177 c.c. e all’art. 1471 c.c., nonché l’omissione, contraddittorietà ed insufficienza della motivazione della sentenza impugnata avuto riguardo al rigetto del quarto motivo di appello in ordine all’impossibilità di estendere alla compravendita della stessa […] eventuali motivi di nullità dell’acquisto fatto dal coniuge […] dal Comune […] (invalidità, peraltro, nemmeno dedotta in giudizio dall’originario attore).
A corredo di questa doglianza la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – qualora venga dedotta in giudizio una domanda di accertamento della nullità di un contratto di compravendita per essere stato concluso da un soggetto sul quale incombeva un divieto di acquisto con mera contestazione per effetto del regime di comunione legale al coniuge dell’acquirente – viola il divieto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.c. la sentenza che – pur risultando aver in realtà entrambi i coniugi partecipato alla conclusione del contratto di compravendita in qualità entrambi di acquirenti – pur in assenza di domanda di parte in tal senso, passi all’esame ed all’accertamento della validità o meno del rapporto negoziale concluso direttamente anche dal coniuge non in situazione di incapacità”.
21. Anche il nono motivo proposto nell’interesse della […] è da considerarsi autonomo e consiste nella supposta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 177 c.c., con l’indicazione del seguente quesito di diritto: “dica la S.C. essere vero che – comportando il regime di comunione legale tra i coniugi di cui all’art. 177 c.c. la sola conseguenza oggettiva della caduta in comunione tra i coniugi degli acquisti risultanti dall’attività negoziale posta in essere dai coniugi congiuntamente o disgiuntamente, ma non produce effetti modificativi della soggettiva capacità negoziale all’acquisto del singolo coniuge, in relazione ad eventuali peculiari incapacità speciali di acquisto dell’altro coniuge, in quanto un tale effetto di risolverebbe in una ingiustificata ed incostituzionale (in relazione all’art. 3 Cost.) differenza di capacità giuridica del coniuge non in condizione di incapacità speciale all’acquisto, a seconda del regime patrimoniale assunto al momento del matrimonio – non può essere dichiarata la nullità dell’acquisto operato dal coniuge di soggetto in situazione di incapacità speciale ex art. 1471 c.c.”.
22. Anche il decimo motivo avanzato per conto della […] è da ritenersi autonomo e consiste nella prospettazione della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1471 c.c., con l’indicazione del quesito di diritto strutturato nei seguenti termini: “dica la S.C. essere vero che, non potendo essere riconducibile il regime degli acquisti in comunione legale ad una fattispecie di interposizione reale di persona, è valido ed esente da vizi di nullità l’acquisto operato dal coniuge di soggetto in condizione di incapacità all’acquisto ex ari. 1471 c.c., non potendosi considerare interposto ai sensi dell’art. 1471 c.c. il coniuge acquirente rispetto all’altro coniuge in posizione di incapacità”.
23. Gli ultimi sette motivi del ricorso proposto nell’interesse della […] riproducono le censure dall’ottava all’ultima del ricorso avanzato per conto del […] e devono, pertanto, aversi per integralmente richiamati in questa sede.
ESAME DEI MOTIVI COMUNI AD ENTRAMBI I RICORSI.
24. Il primo identico motivo comune ad entrambi i ricorsi è da ritenersi inammissibile e, segnatamente, nei confronti del […] per carenza di interesse (poiché con esso quest’ultimo ricorrente ha inteso far valere una ipotetica pronuncia pregiudizievole per la […] ma non per la sua sfera giuridica) e nei riguardi di entrambi sia per la essenziale, genericità del quesito di diritto proposto che per il suo difetto di specificità non risultando in esso nemmeno precisato quale fosse il puntuale contenuto del motivo non riproposto.
25. Gli omologhi motivi dal secondo al quarto di ambedue i ricorsi risultano obiettivamente connessi tra loro perché investono essenzialmente – sotto i plurimi e distinti profili denunciati (come precedentemente riportati) – la stessa questione del prospettato difetto di legittimazione (“ad causam”) del sig. […], nel caso di specie, a far valere la nullità ex art. 1471 c.c., siccome portatore di un mero interesse e non di un diritto soggettivo che sarebbe stato necessario per dedurre la nullità del contratto di compravendita intervenuto tra il […] ed il Comune […] (con cointestazione dell’acquisto anche alla consorte […]) avente ad oggetto, all’esito della procedura a trattativa privata realizzata, l’edificio pubblico già destinato ad istituto scolastico di cui in narrativa.
Ritiene il collegio che le tre censure siano fondate per le complessive ragion che seguono.
Occorre, innanzitutto, evidenziare che la Corte di appello di Venezia – con la sentenza impugnata – ha ritenuto sussistente la legittimazione ad agire dello […] ai sensi dell’art. 1421 c.c. sul presupposto che egli si era fatto portatore di un interesse collettivo (quale promotore di una raccolta di firme, accolta dalla quasi totalità degli abitanti della frazione comunale contraria all’alienazione del bene, precedentemente adibito ad edifico scolastico) e, quindi, con lo scopo di impedire la verificazione di un pregiudizio concreto ed attuale di una istanza – appunto collettiva – con sua conseguente eventuale rimozione, aggiungendo che, in virtù della rilevazione della nullità ex art. 1471 c.c., la comunità avrebbe potuto confidare su un diverso
sistema di individuazione dell’acquirente e su differenti opportunità di realizzare un corrispettivo più adeguato alle necessità pubbliche del suo impiego.
Orbene, osserva il collegio che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass., S.U., n. 264 del 1996 e Cass. n. 1619 del 2000), l’azione di mero accertamento (quale è quella di nullità) è proponibile soltanto quando esiste una situazione attuale di obiettiva incertezza di diritto che determina l’interesse ad agire per accertare la sussistenza di un diritto già sorto e che possa competere all’attore ed evitare, così, il pregiudizio concreto (e non meramente potenziale) che può derivargli dalla descritta incertezza. In altri termini, la legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d’ufficio del giudice, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge (cfr., anche, Cass. n. 1553 del 1981; Cass. n. 7717 del 1991 e Cass. n. 338 del 2001), quale potrebbe essere proprio quello relativo alla salvaguardia della trasparenza dell’attività della P.A. anche con riguardo all’esercizio delle procedure riguardanti la dismissione degli immobili di proprietà pubblica o con destinazione pubblica, alle quali si applichi il divieto speciale di acquistare previsto dall’art. 1471 c.c. (con particolare riferimento, avuto riguardo al caso di specie, ai soggetti individuati al n. 1) del comma 1, identificantisi con “gli amministratori dei beni dello Stato, dei Comuni, delle Province o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura”, e, quindi, con i componenti degli organi esecutivi di tali enti ma, verosimilmente, non con quelli degli organi deliberanti), che – secondo le posizioni teoriche predominanti – individua una ipotesi di “incapacità giuridica relativa” all’acquisto, tutelata dalla sanzione della nullità, disposta a tutela di un interesse pubblico. Proprio in virtù di tali presupposti, è stato chiarito (v. Cass. n. 5420 del 2002 e Cass. n. 15603 del 2007) – in ordine alla specifica doglianza sollevata con il secondo motivo dei due ricorsi – che la legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, per cui l’azione stessa non è proponibile in mancanza della prova, da parte dell’attore, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica. E, nella fattispecie, lo […] non aveva – per quanto messo in risalto nella stessa sentenza d’appello (per quanto appena poc’anzi ricordato) – dimostrato (ma, ancor prima, nemmeno specificamente dedotto) di essere titolare di un diritto soggettivo diretto, personale ed attuale leso dall’intervenuta conclusione (e dagli effetti) del contratto tra il […] ed il Comune […] (al quale, invece, era certamente riconoscibile una specifica e concreta legittimazione ad agire per far valere la nullità in discorso: cfr., per meri riferimenti, Cass. n. 2961 del 1981), avendo agito a tutela di un interesse asseritamente collettivo (rimanendo, peraltro, possibile – come rilevato da una parte della giurisprudenza dei T.A.R., richiamata dal P.G. d’udienza, anche con riferimento all’applicazione del recente D.Lgs. n. 85 del 2010 – l’eventuale tutelabilità, in sede giurisdizionale amministrativa, dell’interesse legittimo riconducibile alla ipotetica illegittimità dell’attività amministrativa presupposta della dismissione dei beni di proprietà comunale, così come – ove del caso -la segnalazione dell’attività stessa e di quella conseguente al competente Procuratore regionale della Corte dei conti per l’accertamento di eventuali illeciti contabili od ancora la proposizione della denuncia al competente P.M. di fatti rilevanti ai fini dell’eventuale accertamento di ipotesi di reato configurabili nella realizzazione delle suddette condotte). Peraltro, è altrettanto univoco (in ciò ravvisandosi anche la fondatezza della terza censura comune ai due ricorsi) che la “legitimatio ad causam” si ricollega al principio dettato dall’art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (e tale eccezione non ricorre nel caso di specie), e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza “inutiliter data” – la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione) e in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta (cfr. Cass. n. 7337 del 1998;
Cass., S.U., n. 1912 del 2012 e Cass. n. 14243 del 2012). Inoltre, nella specie, non risulta nemmeno sostenibile che la domanda sia stata esperita sotto forma di azione popolare, la quale non è stata neppure qualificata come tale dalla Corte di appello di Venezia e, del resto, essa è riferibile, “ratione temporis”, ad una modificazione legislativa (quella introdotta dalla L. 3 agosto 1999, n. 265), incidente sul testo della L. n. 142 del 1990, art. 7 entrata in vigore successivamente alla instaurazione della controversia in questione, iniziata con notificazione dell’atto di citazione avvenuta nel marzo 1999. Per completezza si pone in risalto che proprio la citata L. n. 142 del 1990, art. 7, comma 1 nel testo sostituito dalla L. 3 agosto 1999, n. 265, art. 4, comma 1, (poi trasfuso nel D.Lgs. 8 agosto 2000, n. 267, art. 9), nel conferire a ciascun elettore la facoltà di far valere in giudizio le azioni ed i ricorsi che spettano al Comune, ha introdotto una nuova forma di azione popolare di natura suppletiva o sostitutiva, poiché l’iniziativa dell’elettore presuppone l’inerzia dell’ente comunale, il quale resta titolare della situazione sostanziale che l’azione è diretta a tutelare (cfr. Cass. n. 15830 del 2000). Pertanto, occorre sottolineare che, in ogni caso, la proposizione di un’azione di tal genere avrebbe presupposto che lo […] avesse agito per conto del Comune (e, quindi, non per un interesse proprio o, comunque, meramente riferibile ad un comitato di cittadini) – invece convenuto in giudizio, insieme al […] e alla […] -, non al fine di sopperire ad una sua inerzia, bensì per contrastare una sua iniziale diversa posizione (adesiva a quella degli odierni ricorrenti). Infatti, avuto riguardo allo svolgimento della complessiva vicenda processuale, va notato che il Comune di […] non era rimasto inerte, essendosi anzi costituito in giudizio, avversando (almeno in prima battuta, nella fase introduttiva del giudizio di primo grado) la domanda avanzata dallo […] (sostenendo la legittimità della procedura a trattativa privata e la validità della conseguente vendita in favore del […]), salvo, poi, nel prosieguo della causa, a modificare la propria posizione, intraprendendo separatamente un’azione per far valere, in via autonoma, la nullità del contratto conseguente all’aggiudicazione del bene immobile intervenuta in favore del […], che ha seguito un corso autonomo (e che non risulta che sia stata riunita, in sede di merito, alla causa poi sfociata nella sentenza di appello della Corte veneta, impugnata in questa sede).
Pertanto, in virtù di tali complessive argomentazioni che si riferiscono, in modo unitario, alle tre comuni censure (dalla seconda alla quarta) dei due ricorsi, le stesse vanno accolte, con il conseguente assorbimento (al di fuori della prima, respinta) di tutte le altre (ivi compresa quella elencata come quinta, siccome attinente ad una questione di giurisdizione risultante non dedotta ne’ rilevata d’ufficio nei precedenti gradi e, quindi, preclusa in questa fase secondo la ormai uniforme giurisprudenza di questa Corte – cfr. Cass., S.U., n. 24883 del 2008; Cass. n. 2067 del 2011, ord., e Cass. n. 6966 del 2013 – oltre ad essere, in ogni caso, recessiva nei riguardi del pregiudiziale accoglimento di una questione implicante l’improponibilità o l’inammissibilità di una domanda “ad origine”: cfr. Cass., S.U., n. 22776 del 2012). 25. In definitiva, previo rigetto del primo motivo dei due ricorsi, deve pervenirsi – in virtù del rilevato difetto di “legittimatio ad causam” dello […] a far valere la (eventuale) nullità dell’atto di vendita in favore del […] dedotto in controversia – all’accoglimento, in senso congiunto, del secondo, del terzo e del quarto motivo comuni ad entrambi i ricorsi a cui, dichiarate assorbite tutte le restanti doglianze, consegue la cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza, potendo adottarsi direttamente in questa sede – ricorrendo i presupposti di cui all’art. 382 c.p.c., comma 3, seconda parte, (cfr. Cass. n. 706 del 1982; Cass. n. 2351 del 1983 e, da ultimo, Cass., S.U., n. 6994 del 2010) – una pronuncia dichiarativa dell’improponibilità “ab initio” dell’azione da parte dello […].
In virtù della peculiarità della fattispecie dedotta in giudizio, della condotta processuale adottata dalle parti e della obiettiva controvertibilità delle questioni trattate, ritiene il collegio – in relazione all’art. 385 c.p.c., comma 2 – che ricorrono giusti motivi che legittimano la dichiarazione di compensazione, con riferimento a tutti i rapporti processuali instauratisi tra le parti, delle spese dell’intero giudizio (ivi comprese, perciò, quella della presente fase di legittimità) […]