[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
[…], con ricorso del 27 luglio 1988, chiedeva al Tribunale per i minorenni di Firenze di ammetterla all’esercizio dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità del proprio figlio minore […] nei confronti di […]. Con provvedimento in data 23 settembre 1988 il giudice adito dichiarava la propria incompetenza per territorio per essere competente il Tribunale per i minorenni di Trento, quale giudice del luogo di residenza del minore.
La causa veniva riassunta innanzi al giudice indicato come competente, ma il Tribunale per i minorenni di Trento, con ordinanza 5 luglio 1989, ritenendo che erroneamente fosse stata declinata la competenza da parte del giudice di Firenze proponeva conflitto di competenza ai sensi dell’art. 45 c.p.c. A sostegno dell’ordinanza il Tribunale per i minorenni di Trento ha rilevato che, atteso il carattere contenzioso del procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità, lo stesso deve svolgersi con rito ordinario, anche nell’ipotesi che la competenza appartenga al tribunale per i minorenni, con la conseguenza che la competenza per territorio di tale giudice deve essere individuata sulla base del domicilio del convenuto […] e quindi deve essere affermata la competenza del tribunale per i minorenni di Firenze, dove il […] risiede.
Alle stesse conclusioni, secondo il Tribunale remittente deve giungersi nell’ipotesi che si acceda alla tesi per la quale il procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità debba svolgersi con procedimento in camera di consiglio, in quanto, trattandosi di procedimento che si svolge nei confronti di più parti, non può prescindersi dal carattere contenzioso del procedimento, con tutta una serie di conseguenze, ivi compresa l’applicabilità in via analogica dell’art. 18 c.p.c.. Le parti private non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il conflitto di competenza, inizialmente assegnato alla I sezione civile di questa Corte è stato rimesso a queste S.U. per la composizione del contrasto di giurisprudenza verificatosi sull’individuazione del giudice competente per territorio a conoscere dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Va, preliminarmente, affermata la legittimità della trattazione del ricorso in camera di consiglio, sulla base del principio recentemente affermato e per il quale il regolamento di competenza, assegnato alle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, perché relativo a questioni decise in senso difforme dalle sezioni semplici va deciso con sentenza in camera di consiglio, perché le disposizioni di carattere generale circa il rito da applicare per la decisione del regolamento di competenza (art. 49, comma 1, e 375, comma 1, c.p.c.) non subiscono deroga nell’ipotesi, in cui, per la sussistenza di una delle ipotesi di cui all’art. 374, comma 2, stesso codice, la decisione dell’istanza di regolamento venga assegnato alle sezioni unite (Cass. 16 gennaio 1991 n. 381). 2. – Il ricorso è fondato.
A seguito dell’attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza a conoscere dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, in caso di minori (art. 68 l. n.184 del 1983 che modificato l’art. 38 disp. att. c.c.), la I sezione
civile di questa Corte ha emesso pronunce fra loro contrastanti sui criteri per individuare il giudice territorialmente competente a pronunciare su tale domanda, nonché sul giudizio preliminare di ammissibilità dell’azione, in ordine al quale ultimo giudizio è pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la competenza deve essere individuata sulla base degli stessi criteri che per quello di merito. Secondo alcune sentenze la competenza per territorio spetta al tribunale per i minorenni del luogo di residenza del convenuto, avente una portata generale, non derogata espressamente dall’art. 68 l. cit. (Cass. 18 novembre 1988 n. 6232; Cass. 29 marzo 1989 n. 1505;
Cass. 9 giugno 1989 n. 2796). Per altra successiva decisione, invece, il giudice
territorialmente competente, a conoscere delle anzidette azioni, è quello del luogo di residenza del minore (Cass. 6 ottobre 1989 n. 3999). A sostegno della prima tesi è stato osservato:
– che il novellato art. 38 disp. att. c.c. nell’attribuire alla competenza del tribunale per i minorenni la competenza in tema di azione ex art. 269 c.c. non ha apportato alcuna modifica alla disciplina sostanziale e processuale di tale azione;
– che, anche ad ammettere la validità del terzo comma dell’art. 38 cit., secondo cui il tribunale per i minorenni decide in camera di consiglio, ciò non importa l’applicabilità degli artt. 737 ss. c.p.c., occorrendo distinguere i procedimenti in materia di volontaria giurisdizione da quelli contenziosi;
– che, nella volontaria giurisdizione, l’art. 18 c.p.c. è inapplicabile perché non vi è un soggetto che assume la veste di convenuto, ma che nei procedimenti camerali contenziosi in cui si decide una lite in ordine all’accertamento di uno status o all’attribuzione di un bene della vita fra due soggetti, questi si contrappongono nel processo come attore e come convenuto, sicché risulta applicabile – ove non sia diversamente disposto – il criterio generale del foro del convenuto;
– che il giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale ha carattere contenzioso sia nella fase di merito che in quella di ammissibilità della relativa azione;
– che la natura dell’azione non cambia allorché l’accertamento riguarda un minore, ne’ per effetto dell’attribuzione alla competenza del tribunale per i minorenni può ammettersi che il processo deve svolgersi nelle forme dei procedimenti di volontaria giurisdizione, osservando tutte le disposizioni degli art. 737 ss. c.p.c.. La decisione, che ha motivatamente disatteso le precedenti conclusioni ed ha affermato che l’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni comporta anche la parallela individuazione, come giudice territorialmente competente, di quello nel cui territorio il minore ha la sua residenza – pur non contestando il carattere contenzioso del procedimento ex art. 269 c.c. – ha ritenuto di giustificare tali conclusioni osservando:
– che il legame inscindibile tra competenza per materia e competenza per territorio si giustifica per il criterio della ragionevolezza, in quanto solo la vicinanza fisica del giudice rispetto al minore pone il giudice stesso nelle giuste condizioni per assolvere in maniera adeguata ai propri compiti e dare così risposta alle esigenze particolari del minore per soddisfare le quali, esso giudice specializzato è stato istituito;
– che non avrebbe senso attribuire al tribunale per i minorenni la cognizione tanto in sede di volontaria giurisdizione quanto in sede di contenziosa di questioni che coinvolgono minori e poi affermare che in taluni casi “la competenza territoriale non viene determinata in ragione della residenza del minore perché la natura di un dato procedimento è contenziosa con la implicazione che altri interessi vanno considerati prevalenti rispetto a quelli del minore ed esigono il recupero del criterio generale di competenza per territorio rappresentato dal foro del convenuto”;
– che l’omessa previsione della determinazione della competenza per territorio per ciascuno dei provvedimenti attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni si collega al rilievo che il criterio di competenza non può essere che unico e va individuato nel luogo di residenza del minore, in quanto solo in questo modo è possibile dare una risposta appropriata ai problemi ed alle esigenze del minore stesso;
– che la scelta interpretativa compiuta si riallaccia alla costante giurisprudenza della Corte di cassazione che, in tema di provvedimenti relativi alla decadenza della potestà, ha sempre indicato come competente il tribunale del luogo di residenza del minore;
– che l’inscindibilità del rapporto fra il carattere funzionale della competenza del tribunale per i minorenni e l’individuazione del criterio di competenza territoriale trova riscontro nella giurisprudenza in tema di competenza delle sezioni specializzate agrarie, la cui competenza è non solo funzionalmente, ma anche territorialmente inderogabile e si radica presso il giudice loci rei sitae;
– che esistono una serie di competenze complementari, che il tribunale per i minorenni è tenuto ad esercitare – verifica della validità della prestazione del consenso del minore ultrasedicenne (art. 273, comma 2, c.c.); adozione di una serie di provvedimenti relativi al minore (art. 277, comma 2, c.c.); rapporti del giudizio di dichiarazione giudiziale, con quello di adozione, ai sensi dell’art. 11 l. n. 184 del 1983 – in ordine alle quali non è discutibile la competenza del tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore e che confermano come l’unico criterio di collegamento utilizzabile ai fini della competenza per l’azione ex art. 269 c.c. non possa essere altro che quello del luogo di residenza del minore;
– che proprio sulla base delle richiamate “competenze complementari” la Corte costituzionale ha dichiarato la infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 68 l. n. 184 del 1983 (sentenza n. 193 del 1987) che attribuisce al tribunale per i minorenni la competenza a conoscere dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità relativa a minori, sicché tali competenze – rispetto al cui esercizio è indiscutibile la rilevanza del criterio di collegamento territoriale costituito dal luogo di residenza del minore – sono tali da giustificare la devoluzione della controversia al giudice specializzato e concorrono a dimostrare che giudice territorialmente competente è soltanto quello del luogo di residenza del minore, con la conseguenza che “negare questa proposizione sarebbe infatti lo stesso che disconoscere i presupposti logico-giuridici sulla base dei quali la Corte costituzionale ha emesso la sua pronuncia”.
3. – Il contrasto deve essere composto confermando l’indirizzo della giurisprudenza maggioritaria e quindi ritenendo che in materia di azione di dichiarazione giudiziale della paternità e maternità naturale, riguardante minori, nonché nel preliminare giudizio di ammissibilità ex art. 274 c.c. la competenza territoriale va determinata sulla base del foro del convenuto, sulla base delle considerazioni che seguono.
Come risulta dalla precedente esposizione sono pacifici – e su tali questioni non ritiene il Collegio di doversi soffermare, essendo sufficiente il rinvio alla costante giurisprudenza in argomento – il carattere contenzioso del giudizio ex art. 269 c.c. e di quello preliminare di cui all’art. 274 c.c.; nonché l’irrilevanza del rito applicato (contenzioso o camerale) al fine di determinare la competenza per territorio.
Il motivo di contrasto – e da ciò le differenti soluzioni adottate – verte sulle conseguenze derivanti dalla mancata esplicita enunciazione di una regola di competenza per territorio, che – per la giurisprudenza maggioritaria – giustifica la determinazione della stessa ex art. 18 c.p.c. e che – per la decisione più recente – comporta l’affermazione della competenza del giudice del luogo di residenza del minore.
Il nostro ordinamento demanda esclusivamente alla legge l’individuazione dei criteri di collegamento sulla cui base determinare il giudice competente a conoscere di una determinata controversia, riservando alla Corte costituzionale il controllo sulla costituzionalità della scelta operata dal legislatore. In tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, prima della modifica introdotta dall’art. 68 l. n. 184 del 1983, non si dubitava – in dottrina e giurisprudenza – che la
competenza per territorio andasse determinata sulla base del foro generale di cui all’art. 18 c.p.c. e, quindi, sulla base della residenza del convenuto.
La modifica conseguente all’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni per i provvedimenti contemplati, nel caso di minori, dall’art. 269, comma 1, c.c., ha cambiato – ragionevolmente, secondo la Corte costituzionale – la competenza per materia, senza nulla stabilire circa la competenza per territorio. In presenza di un procedimento contenzioso, nel quale sono individuabili un attore ed un convenuto, la competenza per territorio va determinata, normalmente, sulla base del criterio generale di cui all’art. 18 c.p.c., il quale consente di potere prescindere dalla residenza o dal domicilio del convenuto o in presenza di una espressa previsione di legge (salvo che la legge disponga altrimenti: art. 18, comma 1, c.p.c.) o per l’ipotesi che il convenuto non ha residenza, domicilio o dimora nella Repubblica o se la dimora è sconosciuta (art. 18, comma 2, c.p.c.). Pacificamente inapplicabile alla fattispecie l’ultima eccezione, si tratta di stabilire se – a prescindere dalla esistenza di una espressa disposizione derogativa – siano rinvenibili nell’ordinamento norme o principi che, sistematicamente interpretati, consentano di ritenere l’esistenza di quella deroga al criterio generale circa il foro della residenza o del domicilio del convenuto come criterio di collegamento della competenza per territorio.
Nessuno dei rilievi e degli argomenti addotti da Cass. n. 3999 del 1989 consentono di rinvenire l’esistenza di una siffatta deroga. È infatti sufficiente osservare:
– che l’attribuzione della competenza funzionale al giudice minorile non comporta altresì l’introduzione di un principio generale per il quale la competenza territoriale di tale giudice vada in queste ipotesi determinata sulla base della residenza del minore. Ciò è tanto vero che la dottrina e la giurisprudenza, sia sulla base del testo originario dell’art. 38 disp. att. c.c., che a seguito della sostituzione operata con l’art. 221 l. 19 maggio 1975 n. 151 (riforma del diritto di famiglia) non hanno mai dubitato che la predetta norma fosse solo attributiva di competenza per materia, ma non anche di competenza per territorio, con la conseguenza che quest’ultima andava determinata sulla base dei principi generali ed in funzione della natura dei provvedimenti richiesti;
– che la pretesa ragionevolezza della individuazione di un criterio di collegamento per la determinazione della competenza per territorio del giudice minorile, sulla base della residenza del minore, può giustificare, de iure condendo, una modifica della disciplina vigente, ma non può indurre a ritenere, de iure condito, l’esistenza di siffatto criterio di collegamento;
– che non è affatto irragionevole – in presenza dell’attribuzione al tribunale per i minorenni di una somma di competenze per materia – diversificare la competenza per territorio sulla base dei principi generali.
La circostanza che il giudice minorile sia, normalmente, il giudice dell’interesse del minore, non può indurre a ritenere che in ogni caso in cui tale interesse sia coinvolto, ivi si debba affermare la competenza per territorio del giudice della residenza del minore, ben potendo il legislatore ordinario ritenere – con il non dettare norme in deroga – sufficiente per la tutela di tale interesse la devoluzione della controversia al giudice specializzato, lasciando operare, secondo i principi generali, i criteri attributivi della competenza per territorio.
– che nulla può arguirsi dalla giurisprudenza prevalente e per la quale competente a pronunciare la decadenza del genitore dalla potestà genitoriale è il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.
Tale indirizzo, infatti, è coerente con la più recente giurisprudenza per la quale i provvedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potestà dei genitori si configurano come espressione di giurisdizione volontaria, non contenziosa, perché non risolvono conflitti fra diritti posti su piano paritario, ma sono preordinati all’esigenza prioritaria della tutela dell’interesse dei figli, sicché gli stessi – ancorché adottati dalla corte d’appello in esito a reclamo – non sono idonei ad acquistare autorità di giudicato, nemmeno rebus sic stantibus e non sono impugnabili con ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 cost. (Cass.20 maggio 1987 n. 4607; Cass. 9 giugno 1987 n. 5022; Cass. 27 novembre 1987 n. 8825 e 8827; Cass. 23 dicembre 1987 n. 9640 e successive conformi).
Ciò conferma quanto si è venuto esponendo e cioè che il rilievo della residenza del minore, quale criterio di collegamento per l’affermazione della competenza per territorio del giudice minorile, opera quando si è in presenza di provvedimenti di volontaria giurisdizione, ma non anche quando si è in presenza di provvedimenti di natura contenziosa;
– che l’affermazione giurisprudenziale secondo cui la competenza attribuita alle sezioni specializzate agrarie non soltanto ha carattere funzionale ratione materiae, ma è anche territorialmente inderogabile e si identifica con il giudice loci rei sitae, seppure indiscutibile ed applicato soprattutto per individuare il giudice del rinvio, non costituisce enunciazione di un principio generale, tanto vero che, proprio in materia di controversie attribuite alla competenza funzionale del giudice minorile, questa Corte è costante – in caso di accoglimento del ricorso – nel rinviare ad un giudice diverso da quello della residenza del minore (cfr., in proposito, tutte le più recenti sentenze di questa Corte di cassazione con rinvio in materia di adozione);
– che nulla può ricavarsi dall’attribuzione di una serie di competenze complementari al giudice minorile.
Tali competenze – e soprattutto quelle di cui agli art. 273, comma 2, e 277, comma 2, c.c. – non appartengono, autonomamente, al giudice minorile del luogo di residenza del minore (arg. a contrario ex art.38 disp. att. cc.) ma la giudice competente a conoscere della domanda per la dichiarazione giudiziale.
Tanto è vero che, per il passato, quando la competenza a provvedere sull’azione di cui all’art. 269 c.c. apparteneva al giudice ordinario era pacifico che tali competenze spettavano al giudice della causa principale.
Attribuita la competenza a conoscere di quest’ultima al giudice minorile, allo stesso è stata devoluta la competenza per i provvedimenti di cui ai richiamati art. 273 e 277 c.c. È quindi arbitrario pretendere di fondare la competenza per territorio per l’azione ex art. 269 c.c. su una competenza – pretesamente attribuita al giudice del luogo di residenza del minore – per provvedimenti in ordine ai quali il legislatore non solo non detta una disciplina della competenza per territorio, ma neppure della competenza funzionale, risultando quest’ultima dalla competenza a conoscere della causa principale, in relazione alla quale gli anzidetti provvedimenti sono adottati;
– che parimenti irrilevante è il richiamo all’art. 11, ultimo comma, l. n. 184 del 1983, nella parte in cui disciplina i rapporti
fra il procedimento di adottabilità e l’azione per la dichiarazione giudiziale.
La norma da ultimo richiamata, nel prevedere la sospensione di quest’ultimo giudizio, evidenzia – ove ce ne fosse bisogno – la possibilità che la competenza per territorio per il procedimento di adottabilità – radicata nel luogo di residenza del minore, per espressa disposizione di legge (art. 8, comma 1, l. n. 184 del 1983) – ben può essere diversa da quella fissata per la dichiarazione giudiziale;
– che parimenti è irrilevante la sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 1987, che ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 68 l. n. 184 del 1983. Questa sentenza si è limitata a dichiarare la ragionevolezza e non arbitrarietà della scelta del legislatore ordinario nel demandare al tribunale per i minorenni la competenza in ordine al procedimento di cui all’art. 269 c.c., in caso di minori, ma dalla stessa non emerge in alcun modo che tale ragionevolezza si giustifica solo qualora si affermi parimenti la competenza per territorio del giudice specializzato del luogo di residenza del minore, dal momento che – per quanto in precedenza osservato – le c.d. “competenze complementari”, dalla Corte valorizzate per sostenere l’infondatezza della questione sollevata, dimostrano solamente l’opportunità della devoluzione delle stesse al giudice della dichiarazione giudiziale, ma non anche che tale giudice, per potere svolgere la sua funzione, deve essere individuato in quello della residenza del minore. Nè a diversa conclusione si può giungere sulla base della più recente sentenza della Corte Costituzionale n. 341 del 1990 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. nella parte in cui non prevede che il giudice del giudizio di ammissibilità dell’azione valuti l’interesse del minore. Con tale pronuncia additiva si è in realtà aggiunta una ulteriore “competenza complementare” che rafforza la tesi dell’opportunità della scelta del giudice minorile come giudice della controversia in tema di dichiarazione giudiziale, ma nulla si dice in tema di competenza per territorio di tale giudice essendo puramente assiomatico e non dimostrato che il giudice specializzato non possa svolgere appieno la sua funzione di tutela degli interessi del minore se non nell’ipotesi di coincidenza con il giudice del luogo di residenza del minore stesso.
Concludendo, quindi, si deve ritenere che anche in seguito dell’attribuzione al tribunale per i minorenni della competenza a conoscere del procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, nonché del preliminare giudizio per l’ammissibilità dell’azione di cui all’art. 274 c.c., in caso di minori, la competenza per territorio va determinata, in considerazione del carattere contenzioso di tali procedimenti, secondo i principi generali di cui all’art. 18 c.p.c., non derogati nè espressamente, ne’ implicitamente dalla nuova normativa.
4. – Nel caso di specie il convenuto è residente a Firenze e, pertanto, in accoglimento del ricorso, va dichiarata la competenza del Tribunale per i minorenni di Firenze. Nulla per le spese, non avendo le parti private svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte di cassazione, a sezioni unite, accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara la competenza del Tribunale per i minorenni di Firenze. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione il giorno 22 novembre 1991.