Corte di Cassazione, Sez. U, Sentenza n. 21287 del 2005, dep. il 03/11/2005

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I Germani […] hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza in data 21/02/2001 della Corte di appello di Catanzaro, confermativa della statuizione di primo grado, con la quale era stata accolta – nei confronti di essi ricorrenti, figli del fratello di […] – la domanda di accertamento di paternità naturale nei confronti di quest’ultimo proposta – con ricorso del settembre 1973 – da […] (nato […]) … coltivata, dopo il suo decesso ([…]) dai di lui discendenti, che ora resistono con controricorso.

In relazione al primo dei sei motivi della odierna impugnazione – con il quale i […] denunciano violazione dell’art. 276 c.c., sull’assunto che i giudici del merito abbiano errato nel ritenere che la legittimazione passiva, rispetto all’azione di accertamento della paternità naturale, da detta norma disciplinata, sia riferibile anche agli “eredi degli eredi” del preteso padre, come essi ricorrenti, (nipoti ex fratre) – la Sezione 1^, con ordinanza del 21/11/2003, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha quindi assegnato la causa a Sezioni unite, in relazione al ravvisato contrasto di giurisprudenza relativo, appunto, alla interpretazione del citato art. 276, per il profilo qui ancora in discussione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il problema di contrasto, che queste Sezioni unite sono chiamate a risolvere, attiene – come detto – alla retta esegesi dell’art. 276 del codice civile, per il profilo individuativo dei soggetti nei cui confronti va proposta la domanda per la dichiarazione giudiziale della paternità (e della maternità) naturale, di cui al precedente art. 269, nel caso di morte del preteso genitore.

2. Preliminarmente all’esame di detta questione va, per altro, delibata l’eccezione, sul punto pregiudiziale, formulata dai resistenti sull’assunto che – in relazione al non impugnato precedente decreto della Corte d’Appello di Catanzaro, confermativo della ammissibilità, ex art. 274 c.c., dell’azione di riconoscimento di paternità proposta dal […] nei confronti dei germani […] – si sarebbe formato un giudicato esterno in ordine alla legittimazione passiva, appunto, di questi ultimi. La quale non potrebbe, per ciò, essere più rimessa in discussione.

L’eccezione è infondata.

E, ben vero, il decreto su menzionato, lungi dall’avere – come preteso dai resistenti – pronunciato implicitamente sulla legittimazione passiva dei […], ha viceversa esplicitamente escluso di averlo fatto, chiarendo che rimaneva “impregiudicata”, perché “preclusa” in quella sede, “ogni altra indagine circa la proponibilità o l’ammissibilità dell’azioni, limitandosi quel decreto ad una sommaria verifica del “fumus boni iuris” dell’azione instauranda nella successiva fase ex art. 269 c.c..

Può quindi passarsi all’esame della questione oggetto di contrasto.

3. L’art. 276 – che (come emerge dalla Relazione del Guardasigilli al Progetto definitivo del codice civile) è stato introdotto proprio “per risolvere, con la determinazione dei contraddittori necessari, i dubbi sorti (nella vigenza del vecchio codice) per il caso in cui l’azione venga promossa dopo la morte del presunto genitore” – testualmente dispone, appunto, nel suo comma primo, che “in mancanza del genitore la domanda deve essere proposta nei confronti dei suoi eredi”. Ed aggiunge, al suo comma secondo, che “alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse”.

4. In relazione alla suddetta norma si è però poi posto in sede interpretativa l’ulteriore quesito, che qui viene propriamente in rilievo, se, in caso di già intervenuta morte, anche degli eredi del presunto genitore, la dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità) naturale possa, o non, essere ancora richiesta nei confronti degli “eredi degli eredi” o ad altri parenti o aventi causa del preteso padre (o dalla pretesa madre).

5. In linea con la dottrina dominante, questa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1693 del 17/02/1987, ha optato per la soluzione negativa del quesito, ritenendo estensibile la legittimazione passiva, in ordine all’azione in esame, unicamente agli eredi, diretti ed immediati, del preteso genitore; e riconoscibile agli aventi causa da questi – ed agli altri soggetti comunque portatori di un interesse contrario all’accoglimento della domanda – soltanto la facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei detto interesse. Ciò in ragione:
– della chiarezza del termine tecnico (“i suoi eredi”) usato dal legislatore;
– della omessa indicazione, fra i legittimati, degli “aventi causa”, espressione adottata sovente dal legislatore, accanto alla parola “eredi”, ogni volta che sia inteso estendere a detti soggetti determinati effetti (v. artt. 2908 e 2909 cod. civ.);
– della espressa previsione, appunto, fra i legittimati a contraddire, di “chiunque vi abbia interesse”.

Sulla base, altresì, della considerazione che non sia sostenibile una finalità esclusivamente successoria nella dichiarazione giudiziale richiesta in caso di morte del presunto genitore, dalla quale passa derivare un ampliamento della categoria dei legittimati passivi in funzione della loro qualità di soggetti aventi interessi patrimoniali contrari all’accertamento della filiazione, atteso che la legittimazione attiva all’azione è riconosciuta, oltre che al figlio, in caso di sua morte, anche ai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti dallo stesso, indipendentemente dalla loro qualità di eredi, con la conseguenza che detta azione prescinda da qualunque contenuto successorio quando sia proposta da discendenti non eredi.

Ed alla luce, infine, anche della ratio della disposizione in esame, ricondotta alla intenzione del legislatore di consentire all’attore una agevole individuazione dei soggetti contro i quali proporre l’azione, evitando nel contempo il pericolo di un litisconsorzio difficilmente integro, quale si sarebbe viceversa prospettato in ipotesi di estensione della legittimazione passiva ai parenti, anche non eredi, del defunto, spesso indifferenti all’accoglimento o alla reiezione della domanda.

6. Nello stesso anno, a distanza di pochi mesi, con la sentenza n. 3920 del 23/04/1987, la medesima Sezione 1^ sembrava andare in contrario avviso, affermando che l’accertamento giudiziale della paternità naturale “integra una questione attinente ad uno status (con le conseguenti implicazioni di carattere personale e patrimoniale) , rispetto alla quale il coinvolgimento sostanziale di tutti i soggetti, la cui sfera giuridica risulta sensibile alla formazioni di uno status diverso dall’originario o alla conservazione di quest’ultimo, non consente la valida pronuncia di una sentenza, che tale status riguardi, se non con rilievo e nei confronti di tutte le posizioni soggettive interessate”.

Ma il principio, così in astratto enunciato, conduceva, in concreto, a cassare, nella fattispecie, la sentenza d’appello (favorevole all’istante) per rilevato difetto di integrità del contraddittorio nei confronti di altro erede del preteso genitore, e non già di eredi degli eredi od altri aventi causa dal medesimo.

7. Nel decennio successivo – con le sentenze n. 9829 del 0/10/1990; n. 8915 del 24/08/1993; n. 10171 del 1993; n. 3143 del 30/04/1994 e n. 12187 dell’01/12/1997 – la giurisprudenza di legittimità, si attestava poi, con continuità sulla linea interpretativa, limitativa della legittimazione passiva ai soli eredi del preteso genitore, facendo proprie le argomentazioni della su menzionata sentenza n. 1693 del 1987. E pervenendo così, nei vari casi, a respingere le impugnazioni per denunciato difetto del contraddittorio (nei confronti di ulteriori parenti del presunto genitore) formulate avverso sentenze di merito dichiarative della reclamata paternità. 8. Rispetto a tale indirizzo erroneamente viene tralaticiamente richiamata come contraria la sentenza n. 3111 del 03/04/1996.

Atteso che, in realtà, detta sentenza nell’accertare, nella fattispecie, la mancata integrazione del contraddittorio – ciò ha fatto sul presupposto di un litisconsorzio necessario riferito non già a tutti i parenti, anche non diretti eredi, del preteso genitore ma (in coerenza proprio all’indirizzo dominante) a “tutti gli eredi del genitore naturale”. E solo questi ultimi ha considerato “portatori di un interesse, immediato e diretto, a non veder pregiudicate le rispettive posizioni successorie””, giuridicamente rilevante agli effetti della integrità del contraddittorio rispetto all’azione in esame.

9. Con l’orientamento interpretativo come sopra prevalso effettivamente si è però poi posta in contraddizione la successiva pronunzia n. 9033 del 12/09/1997.

Nel criticare quell’orientamento – che a distanza di pochi mesi sarebbe stato, invece, ribadito, dalla già citata Cass. n. 12187 del 01/12/1993 – la sentenza n. 9033 ha osservato che l’equiparazione dell'”erede dell’erede” agli “interessati” di cui al capoverso dell’art. 276, risalente a Cass. n. 1693 del 1987, “svilisce la posizione di chi ha, o potrebbe avere, rilevantissime ragioni per essere reso edotto dell’azione esercitata per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità”. Ha escluso poi che possano rilevare in contrario le asserite difficoltà d’individuare i legittimati passivi “e per la dubbia consistenza giuridica di siffatta difficoltà e considerando che il sistema processuale appresta gli strumenti idonei superare effettivi ostacoli determinati dalla mancata conoscenza della residenza o del domicilio dei legittimati passivi”.

Ed ha ritenuto, infine, comunque decisiva ed assorbente la considerazione che “la domanda di dichiarazione di paternità naturale, implicando questioni attinenti allo stato delle persone, rende indispensabile la partecipazione di tutti i soggetti la cui sfera giuridica, tanto per l’aspetto personale che patrimoniale, è suscettibile di effetti in seguito alla formazione di uno status diverso da quello originario”.

10. Da qui, appunto, il contrasto che viene in rilievo ai fini della decisione dell’odierno ricorso.

E che, in corretta applicazione dei canoni di ermeneutica della legge letterale, sistematico, teleologico – va risolto con la riaffermazione della interpretazione (consapevolmente, come si è visto, contraddetta dalla sola sentenza n. 9033/1997) che identifica unicamente negli eredi del preteso genitore i soggetti passivamente legittimati rispetto alla domanda di riconoscimento di cui all’art. 269 c.c., in caso di morte del genitore medesimo.

10.1. Insuperabili in tal senso sono, infatti, innanzitutto le indicazioni fornite dal dato testuale (“la domanda deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi”) nel contesto del quale il verbo “deve”, riferito all’azione in esame, sottolinea l’obbligatorietà di indirizzarla esclusivamente nei confronti dei soggetti all’uopo indicati (con l’implicita impossibilità di proporla nei confronti di soggetti da questi diversi), e l’aggettivo “suoi”, riferito agli eredi, identifica, senza alcun margine di dubbio, nei soli eredi, diretti ed immediati, del preteso genitore (appunto i “suoi eredi”) i legittimati passivi all’azione stessa, nel caso di “mancanza di lui”.

10.2. La lettura sistematica dell’art. 276 conferma ulteriormente l’impossibilità di ampliamento dell’area della legittimazione passiva nell’azione in questione, atteso che la facoltà di “contraddire”, riconosciuta dal capoverso della stessa norma a “chiunque abbia interesse” all’esito della lite, inevitabilmente comporta che detti altri soggetti – eredi degli eredi, aventi causa dal presunto genitore titolari di posizioni personali o patrimoniali comunque suscettibili di essere incise dal diverso “status” reclamato dall’attore – possono bensì intervenire nel giudizio ex artt. 269 ss., c.c., ma non assumono, appunto, in questo la veste di legittimati passivi: Nel duplice senso che, nei loro confronti, l’azione – diversamente da quanto presupposto dalle citata sentenza n. 9033/1997 – ne’ può essere proposta, ne’ deve esserlo ai fini della integrità del contraddittorio.

10.3. Ciò anche alla luce della ratio della norma in esame correttamente individuata dalla sentenza capofila n. 1693/1987 e dalle successive conformi – quale già esplicitata nei lavori preparatori (v. Relazione Guardasigilli al progetto definitivo n. 287) e tuttora attuale – volta ad evitare al presunto figlio naturale problemi di esatta identificazione dei destinataci dell’azione (soprattutto nel caso di sua proposizione e distanza di tempo dalla morte del presunto genitore) e conseguenti immanenti pericoli di irritualità del contraddittorio (stante la verificabilità dell’eventuale suo difetto di integrità in ogni stato e grado di giudizio), quali invece deriverebbero da un indiscriminato ampliamento della platea dei contraddittori necessari, che renderebbe ben più ardua la tutela del diritto del figlio naturale all’accertamento del proprio status; risolvendosi, specularmene, in un vulnus anche al diritto di difesa di quei soggetti che – potendo, in tesi, essere convenuti in giudizio in ragione di una loro anche lontana parentela con il preteso genitore (eventualmente da loro neppure conosciuto in vita) – non si troverebbero in condizione di contraddire alle pretese dell’attore.

11. La rilevata funzionalità della disposizione in esame – rispetto all’obiettivo, perseguito dal legislatore, di agevolare l’individuazione dei soggetti nei cui confronti proporre l’azione di status, in caso di morte del presunto genitore – già di per sè dimostra l’arbitrarietà anche della tesi interpretativa intermedia, o più riduttivamente estensiva, prospettata dai resistenti e secondo la quale contraddittori necessari, rispetto all’azione del figlio, in caso di morte del presunto genitore, non sarebbero gli aventi causa a titolo particolare mortis causa e quelli inter vivos del medesimo (cui sarebbe riservata la mera facoltà di intervento in causa, ai sensi del capoverso dell’art. 276 c.c.), ma lo sarebbero comunque tutti i successori a titolo universale, secondo la “catena generazionale”.

Anche in tale prospettiva, infatti, residuerebbe pur sempre per l’istante, la difficoltà di avere tranquillante cognizione, in tempo utile, di tutti gli anelli di quella catena.

E ciò a prescindere dalla considerazione che la figura dell'”erede dell’erede”, a tal fine evocata, ha valenza puramente descrittiva e non esiste come subcategoria che individui un nesso di relazione, giuridicamente rilevante, tra un soggetto e gli eredi degli eredi di lui e che, possa, come si pretende, ritenersi, per tale, implicitamente richiamata dal citato art. 276 attraverso il generico riferimento alla categoria degli “eredi” (del presunto genitore). Diretta o indiretta può essere, ben vero la vocazione ereditaria – la quale però appunto definirsi “indiretta” quando, come nei casi di cui agli artt. 467, 677 c.c., il destinatario o i destinatari siano, chiamati alla successione subordinatamente al fatto che altro chiamato prima di loro non possa o non voglia accettare l’eredità – ma la successione nella universalità o in quota dei beni del de cuius, dalla quale dipende l’acquisto della qualità di “erede” del medesimo (art. 588 c.c.), è sempre e soltanto diretta, da parte del soggetto che, per accettazione di quella (diretta o indiretta) vocatio, subentri nel patrimonio del suo dante causa (e non nel patrimonio di altri aventi causa dal quel medesimo soggetto).

12. L’individuazione dei contraddittori necessari nei soli eredi del presunto genitore, in caso di proposizione dell’azione dopo la morte di lui – quale operata dall’art. 276 c.c. per le finalità che si è detto e che, comunque, si inquadra nel contesto delle “norme e limiti alla ricerca della paternità” e dei “modi e limiti alla successione legittima” che al legislatore ordinario è demandato di stabilire dagli articoli, rispettivamente, 30, comma 4^, e 42, comma 4^, della Costituzione – neppure si pone poi in contraddizione con la imprescrittibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità (o maternità) naturale sancita dal novellato art. 270 cod. civ.. E ciò perché diversi, evidentemente, sono i piani di operatività ed i profili effettuali della imprescrittibilità e quelli della legittimazione passiva in ordine ad una data azione. Per cui dal coordinamento delle su richiamate disposizioni deriva che l’azione di cui all’art. 269 è imprescrittibile, ex art. 270, salvi gli effetti della sua improponibilità per l’inesistenza in vita di tutti i soggetti legittimati, ex art. 276 c.c., a contraddirvi; così come l’azione di petizione di eredità è, a sua volta, “imprescrittibile salvi gli effetti della usucapione dei singoli beni, ai sensi dell’art. 530, comma 2^, cod. civ.”.

13. Il fatto, per altro, che l’azione in esame si consumi, in concreto, nel caso di intervenuta morte del preteso genitore e di tutti i suoi eredi evidenzia, comunque, un punto di debolezza e di perfettibilità dell’attuale disciplina rispetto alle sempre più avvertite esigenze di tutela dell’interesse del figlio naturale all’accertamento della genitorialità, anche per il profilo del suo diritto alla identità personale.

In tale prospettiva potrebbe auspicarsi che quella disciplina sia integrata stabilendosi che, nel, caso appunto di morte del presunto genitore e in mancanza dei suoi eredi, l’azione possa proporsi, come anche suggerito in dottrina, nei confronti di un curatore nominato dal giudice, analogamente a quanto già previsto dall’ultimo comma dell’art. 247 c.c., ai fini della proponibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, nella parallela ipotesi di già intervenuta morte del presunto padre e di mancanza dei litisconsorti necessari indicati nel comma primo della norma stessa. Una integrazione siffatta, oltre che di un intervento legislativo, potrebbe formare eventualmente oggetto di una pronunzia additiva (in questi termini “a rima obbligata”) della Corte costituzionale. Ma, come correttamente osservato anche dalla difesa dei ricorrenti nella odierna udienza dibattimentale, la prospettazione di un quesito di costituzionalità, in tal senso, è in questa sede preclusa per difetto dell’ineludibile requisito della rilevanza della questione stessa, una volta che l’eventuale pronunzia additiva sarebbe nell’odierno giudizio “inutiliter data”, non essendo in esso parte in causa il curatore cui andrebbe in tesi estesa la legittimazione passiva.

14. Il contrasto esegetico che ne occupa va quindi risolto con la riaffermazione del principio per cui contraddittori necessari, passivamente legittimati, in ordine alla azione per dichiarazione giudiziale di paternità naturale sono, ex art. 276 c.c., in caso di morte dal genitore, esclusivamente i “suoi eredi”, e non anche gli eredi degli eredi di lui od altri soggetti, comunque portatori di un interesse contrario all’accoglimento della domanda, cui è invece riconosciuta la sola facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei rispettivi interessi.

15. Il ricorso va quindi accolto in relazione all’esaminato suo primo motivo, nel quale resta assorbita ogni altra, subordinata, sua censura; con la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382, comma 3^ c.p.c., perché la causa non poteva essere proposta per difetto di legittimazione passiva dei convenuti. […]