Corte di Cassazione, Sez. Un., Sentenza n. 15 del 1996


[…]

OSSERVA IN FATTO E DIRITTO

1 . Con sentenza in data 12 giugno 1991, il Pretore di Trani – Sez. dist. di Andria – riconosceva […] responsabile del reato di cui all’art.20 lett. “b” L. 28 febbraio 1985 n.47, per aver costruito un manufatto in assenza di concessione edilizia, e, per l’effetto, condannava la predetta alla pena di giustizia, nonché ordinava la demolizione dell’opera priva di concessione, ai sensi dell’art.7 ult. comma l. c.

Divenuta esecutiva la sentenza, il pubblico ministero promuoveva l’esecuzione dell’ordine di demolizione dell’opera edilizia, delegando il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Andria e l’esercito.
Avverso il suddetto provvedimento la […] ha proposto incidente di esecuzione, deducendo il difetto di giurisdizione; l’impossibilità per il p.m. di porre in esecuzione il provvedimento stesso per mancato compimento dello speciale procedimento amministrativo di spettanza del comune. Chiedeva, infine, la sospensione del procedimento.

Il Pretore di Trani, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 21 gennaio 1994, dichiarava il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in ordine all’esecuzione della demolizione.

Il predetto Pretore premesso che l’ordine di demolizione aveva natura di sanzione amministrativa “a chiusura del sistema sanzionatorio” in materia edilizia; che il giudice era tenuto a revocare l’ordine di demolizione in caso di incompatibilità rispetto a determinazioni in merito da parte del sindaco; che la normativa della legge n. 47 del 1985, in materia sanzionatoria, si articolava riconoscendo all’autorità amministrativa il potere decisionale sulla destinazione dell’opera abusiva (demolizione o conservazione); che la legge in esame non conteneva disposizione alcuna quanto a disciplina dell’esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal giudice, limitandosi a dettare norma relativa all’esecuzione della demolizione da parte dell’autorità amministrativa (art. 27) -: tutto ciò premesso, il Pretore concludeva affermando la spettanza in via esclusiva del potere sanzionatorio in materia urbanistica all’autorità amministrativa, e, conseguentemente, che, non potendo l’ordine di demolizione essere ricompreso tra i provvedimenti giurisdizionale soggetti ad esecuzione ad opera dell’autorità giudiziaria, l’esecuzione doveva, perciò, essere demandata all’autorità amministrativa, analogicamente a quanto disposto dall’art.664 comma 4 c.p.p..

Ha proposto ricorso per cassazione il pubblico ministero, deducendo l’erronea applicazione di norme giuridiche: a) poiché non era ravvisabile interferenza alcuna nella sfera dei poteri attribuiti alla pubblica amministrazione a seguito dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, non potendosi assumere allo stato della legislazione vigente un potere esclusivo in materia di tutela del territorio in capo al comune; b) in quanto, trattandosi di provvedimento ripristinatorio emesso dal giudice in virtù di specifica attribuzione normativa, l’esecuzione non era demandabile all’autorità amministrativa, in assenza di diversa e speciale previsione: c) poiché, infine, l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali, secondo la disciplina vigente, era di spettanza dell’autorità giudiziaria ordinaria.

2 . La terza sezione penale di questa Corte, alla quale era stato assegnato il ricorso, rimetteva, con ordinanza del 9 marzo 1995, il ricorso stesso alle Sezioni Unite ravvisando un contrasto giurisprudenziale sulla questione dedotta.

Nell’ordinanza veniva rilevato, difatti, che la questione di diritto sottoposta all’esame della Corte – concernente la sussistenza della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in materia di esecuzione dell’ordine di demolizione di manufatto abusivo, emesso con la sentenza di condanna ai sensi dell’ult. comma dell’art.7 L. n. 47 del 1985 – aveva dato luogo ad un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

Il Primo Presidente Aggiunto di questa Corte Suprema assegnava il ricorso alle Sezioni Unite, e fissava l’odierna udienza per la trattazione del ricorso in camera di consiglio.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, a seguito dell’avvenuta rimessione, depositava requisitoria. sostenendo la configurabilità nella specie della giurisdizione ordinaria, anche in virtù del recente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, rilevando altresì che, trattandosi di manufatto abusivo ammesso alla procedura del condono edilizio di cui all’art.39 L. 23 dicembre 1994 n. 724, il procedimento in oggetto poteva ritenersi sospeso ai sensi dell’art.38 L. n. 47 del 1985, al quale rinviava l’art. 39 comma 1 cit. fino all’esito della definizione della relativa procedura amministrativa.

3. La questione, sottoposta alla decisione di queste Sezioni Unite, concerne se all’ordine di demolizione di un manufatto costruito in assenza di concessione edilizia – ordine emesso con la sentenza di condanna divenuta esecutiva – sia applicabile la normativa del codice di rito in materia di esecuzione di provvedimenti giurisdizionali, e quindi se la relativa esecuzione debba essere curata dagli organi da tale normativa indicati.

Tuttavia, preliminarmente questo Collegio è chiamato a decidere se la presentazione della domanda di sanatoria da parte della ricorrente di cui vi è prova in atti e che non risulta aver avuto definizione amministrativa in pendenza dei termini utili per il pagamento rateale dell’oblazione prescritta, e del necessario rilascio di parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale gravante sull’immobile, costituisca ragione ostativa alla pronuncia da parte di questa Corte, in forza dell’effetto sospensivo di tale domanda sul procedimento in corso.

Ad avviso di questa Corte, se è vero che la presentazione della domanda di sanatoria, di cui all’art.39 L. n. 724 del 1994, produce la sospensione dei procedimenti penali in corso, fino alla definizione amministrativa della relativa procedura a seguito del rilascio della concessione in sanatoria o del formarsi del silenzio assenso, -a condizione in quest’ultimo caso che l’oblazione dovuta sia stata interamente versata (art.39 comma 4 penult. periodo L.c.) -, tale effetto non è operativo relativamente alla decisione della questione di giurisdizione devoluta con il presente ricorso, trattandosi di questione preliminare alla trattazione del merito del procedimento.

Come è noto la caratteristica della preliminarità consiste essenzialmente nella sua autonomia rispetto al merito: cioè non attiene mai al merito ed esige l’immediata decisione al fine della regolare costituzione del rapporto processuale.

Invece, la sospensione, conseguente alla presentazione della domanda di sanatoria, incide sul giudizio di merito, in quanto la sanatoria, ovvero la corresponsione integrale dell’oblazione dovuta determina l’estinzione del reato, (trattasi di fattispecie estintiva complessa sottoposta a verifica da parte del giudice: Corte Cost. 31 marzo n. 369).

In conclusione, la declaratoria di sospensione presuppone la delibazione positiva della riferibilità del procedimento alla sfera delle attribuzioni dell’autorità che deve provvedere alla declaratoria stessa, costituendo di tale attribuzione esercizio. Poiché a questo Collegio è devoluta soltanto la decisione sulla giurisdizione, a seguito dell’impugnazione del provvedimento negativo del Pretore sarà cura dell’autorità, riconosciuta titolare del potere di provvedere all’esecuzione, prendere atto, ad esito della presente decisione, delle eventuali cause sospensive del procedimento di esecuzione.

4 . Venendo all’esame della questione di diritto, deve riconoscersi la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni e nell’ambito della stessa terza sezione sul tema in discussione originato dal disposto dell’ult. comma dell’art.7 L. n. 47 del 1985:

“Per le opere abusive, di cui al presente articolo (costruzioni eseguite in assenza di concessione edilizia in totale difformità, con variazioni essenziali a questa assimilate), il giudice, con la sentenza di condanna…. ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”.

Dall’esame degli opposti orientamenti risulta che i temi di fondo che hanno alimentato nel tempo il contrasto sono, da un lato, la natura dell’ordine di demolizione in stretto rapporto con il riparto delle attribuzioni (di carattere sanzionatorio) in materia di tutela del territorio tra pubblica amministrazione e giudice penale, e, dall’altro, la preservazione della sfera di poteri della pubblica amministrazione (come amministrazione attiva nella cura degli interessi pubblici) da interferenze da parte del giudice penale. In altre parole, il nodo di fondo è quello ormai da più lustri ricorrente, il rapporto cioè tra giurisdizione penale e discrezionalità amministrativa: da taluni assunto in termini di radicale contrapposizione in nome di una prevalenza del momento autoritativo – peraltro non più rispondente al disegno della Carta costituzionale basato sulla dialettica democratica tra collettività ed autorità -: da altri (la dottrina più autorevole, la prevalente giurisprudenza civile e penale di legittimità, e per finire le pronunce della stessa Corte Costituzionale) assunto (tale rapporto) in termini di funzionale autonomia, dovendo la discrezionalità amministrativa non più essere evocata come un privilegio autoritativo ma come un attributo fisiologico dell’attività amministrativa nella ponderazione dei concorrenti interessi da coinvolgere nelle scelte pubbliche.

Esaminando i due orientamenti giurisprudenziali a confronto: quello volto a negare la giurisdizione ordinaria si fonda sulla natura amministrativa dell’ordine di demolizione impartito dal giudice penale, in via suppletiva, sempreché la demolizione non sia stata altrimenti eseguita, riconoscendo di esclusiva spettanza dell’autorità amministrativa il potere di intervento sul territorio (Sez. 3, 19 dicembre 1992, p.m. in proc. Vanello, Rv. 192602). Sicché il potere conferito al giudice è diretto – come si legge nella sentenza citata – ad “ovviare all’inerzia della pubblica amministrazione”. D’altra parte, la sanzione demolitoria “disposta dal giudice penale è riesaminabile in sede di esecuzione; in tale sede può subire modificazione definitive per incompatibilità con provvedimenti adottati dalla competente autorità amministrativa successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna o (per modificazioni) temporanee, come nel caso in cui al sindaco sia interdetto dal giudice amministrativo di procedere alla demolizione sia pure con provvedimento sospensivo. (In tale caso) l’ordine del supplente (giudice penale) non ha possibilità di attuarsi in quanto l’esercizio del potere del titolare (pubblica amministrazione) … è sospeso ….; è (cioè) la potestà stessa della pubblica amministrazione, che dovrebbe eseguirlo, ad essere … paralizzata nel suo esercizio…” (Cass. Sez. 3, 19 dicembre 1992, p.m. in proc. Vanello, cit.; in senso analogo: Id., 19 marzo 1992, p.m. in proc. Conti, Rv. 189977; in termini sostanzialmente analoghi: Id., 7 maggio 1994, Acquafredda, Rv. 197617).

5 . L’orientamento favorevole alla giurisdizione ordinaria prende l’avvio ponendo in discussione la natura sostitutiva (o di supplenza) del potere demolitorio del giudice penale e riconoscendo, a seguito di una disanima del complessivo ruolo sanzionatorio conferito dalla legge n. 47 del 1985 al giudice penale, che la sanzione specifica della demolizione ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, e quindi si riconnette all’interesse sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale: con la conseguenza che la clausola normativa “se non altrimenti eseguita” (la demolizione) “non attiene ad un limite intrinseco al potere del giudice … tale da influenzarne la natura, ma si riconnette ad un’eventualità fisiologica e pratica del suo esercizio, che ……. può renderlo inutiliter datum” (Cass. Sez. 6, 21 dicembre 1990, De Stefani, Rv. 185835; Id., 20 gennaio 1992, Palmucci, Rv.88939; Sez. 3, 28 gennaio 1993, p.m. in proc. Crignano: ove viene afferrata, la natura giurisdizionale dell’ordine di demolizione, assegnabile alla categoria della volontaria giurisdizione.

Il suddetto positivo orientamento ha trovato ulteriore conforto (Sez. 3, 14 aprile 1995, Francavilla, Rv 200924; Id., 16 novembre 1995, p.m. in proc. Cristoforo, Rv. 202794; Id., 28 novembre 1995, Granato, Rv. 203016; Id., 16 gennaio 1996, p.m. in proc. Agoglia, Rv. 203364), affermandosi: la natura del tutto autonoma dell’ordine di demolizione l’assenza di norme specifiche che riconducano all’autorità amministrativa l’esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal giudice penale; l’assoggettamento della demolizione alla disciplina dell’esecuzione prevista dal codice di procedura penale; l’individuazione nel pubblico ministero dell’organo dell’esecuzione, ferme le attribuzioni del giudice dell’esecuzione; il richiamo per analogia della disciplina prevista dall’art. 83 norme di att. C.P.P. in materia di cose sequestrate.

6 . Queste Sezioni Unite ritengono aderente al vigente sistema normativo il secondo orientamento giurisprudenziale, riconoscendo la natura di provvedimento giurisdizionale all’ordine di demolizione, con la conseguenza che ne è demandata l’esecuzione al pubblico ministero ed al giudice dell’esecuzione, secondo i rispettivi ruoli (artt. 655 ss. e 666 ss. c.p.p.).

Ai fini della suddetta conclusione non può essere pretermesso un richiamo, seppur sintetico al quadro normativo introdotto in materia sanzionatoria dalla legge n. 47 del 1985, la quale per la prima volta, in materia urbanistica, ha conferito al giudice penale il potere di adottare provvedimenti di reintegrazione specifica dell’interesse tutelato.

Va, immediatamente, rilevato, onde eliminare argomenti fuorvianti, che il suddetto potere, conferito al giudice, non è omologabile ai poteri di governo del territorio e di controllo delle trasformazioni urbanistiche di spettanza delle Regioni, delle province e dei comuni (art. 117 Cost., artt. 79 ss. D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, artt. 14 e 15 L. 8 giugno 1990 n. 142). Il giudice penale ha solo il potere di ordinare misure a tutela di un interesse correlato a quello di giustizia, a ristoro cioè dell’offesa al territorio, e quindi di impartire un ordine accessivo alla condanna principale.

Al suddetto fine, appare utile richiamare quanto già affermato da queste Sezioni Unite in ordine alla natura dell’interesse sotteso alla normativa penale urbanistica, e cioè che ” .. se l’urbanistica disciplina l’attività pubblica di governo degli usi e delle trasformazioni del territorio, lo stesso territorio costituisce il bene oggetto della relativa tutela (penale), bene esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in danno del benessere complessivo della collettività e delle sue attività, ed il cui parametro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa vigente” (Cass. Sez. un. 21 dicembre 1993, Borgia, Rv. 195359). D’altra parte, affermare che l’urbanistica non esprime più nell’ordinamento un interesse di buona amministrazione e di disciplina – tanto è vero che il territorio non solo non viene più considerato come supporto inerte del processo edificatorio, ma risorsa economica inserita a pieno titolo nella programmazione finanziaria sia pure per il suo recupero e valorizzazione rispetto a fenomeni di illegalità (vedi la legge 23 dicembre 1994 n.724. art. 39, in materia di condono e di recupero), nonché nella politica di rilancio economico ed occupazionale oggetto dei vari dd.ll. reiterati fra i quali, in ultimo, il d.l. 25 maggio 1996 n. 285 -, comporta, fra l’altro, il definitivo superamento della visione di un giudice supplente dell’amministrazione pubblica e quindi di garante del rispetto delle regole edilizie da parte dei privati: ruolo che costituiva la premessa necessaria al temuto rischio di interferenze nella sfera amministrativa.

La suddetta concezione sostanzialistica è specifica del bene tutelato costituisce il presupposto stesso dell’attribuzione al giudice penale del potere di disporre provvedimenti ripristinatori, cioè di tutela specifica. Tali provvedimenti trovano il parametro di applicabilità proprio nel perdurare della situazione valutata come offensiva dell’interesse tutelato dalla norma penale. E quindi rispondono nell’applicazione ad un criterio di “effettualità” di ristoro, sotto un duplice profilo: poiché il ristoro “comunque” avvenuto dell’interesse offeso fa venir meno la ragione dell’applicazione dei provvedimenti medesimi (ripristino anche volontario da parte dell’interessato); in quanto la funzione, le modalità di applicazione e di esecuzione del provvedimento ripristinatorio devono trovare esatta corrispondenza nella situazione lesiva da rimuovere.

7 . Senz’altro da condividere è la definizione di sanzione amministrativa dell’ordine di demolizione disposto dal giudice penale (Cass. Sez. un. 4 gennaio 1988, Bruni, Rv. 177318), sempreché sia chiaro che si tratta non di potere affidato al giudice penale per il soddisfacimento di fini della pubblica amministrazione. Peraltro, la sanzione amministrativa applicata dal giudice ordinario non è di regola catalogabile per effetti e risultati fra i poteri della pubblica amministrazione come è stato posto in luce da autorevole dottrina. Trattasi di affidamento al giudice di poteri che esulano dalle categorie ordinarie e che restano caratterizzati dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale il relativo esercizio è attribuito, natura giurisdizionale che ad un tempo impronta la forma, gli effetti e lo scopo stesso. Ma, pur sostenendosi la natura amministrativa dell’ordine di demolizione, non è dato concludere che tale potere possa essere considerato quale potestà residuale ovvero sostitutiva rispetto a quella sanzionatoria del sindaco.

Osserva questo Collegio che l’art.7 L. n. 47 del 1985 definisce un articolato quadro sanzionatorio, in ordine ad illeciti urbanistici la cui classificazione tipologica (assenza di concessione, totale difformità, variazioni assimilate alla totale difformità) presenta ambiti di indubbia certezza, e con riguardo a sanzione (demolitoria) non suscettibile di sostituzione in equivalente pecuniario, (mentre entrambi tali aspetti sono ricorrenti negli illeciti urbanistici di cui all’artt. 9 e 12, in ordine ai quali non è previsto perciò l’intervento sanzionatorio specifico del giudice penale). Richiamato il suddetto ambito di operatività della misura della demolizione, che esclude poteri discrezionali tecnici da parte del giudice penale e quindi rischi di interferenza, nella sfera della discrezionalità amministrativa, va osservato che, mentre il potere sanzionatorio attribuito al sindaco riceve dalla norma un’organica articolazione, – quanto a cogente adozione, ad ineludibile soggezione da parte del responsabile, a progressiva espansione delle conseguenze dannose per il privato (passando dalla demolizione dell’opera all’ablazione della proprietà dell’opera stessa, dell’area di sedime e di pertinenza urbanistica, nella prospettiva di una conservazione per prevalenti interessi pubblici), quanto a previsione dell’esercizio in via “sostitutiva” da parte del presidente della giunta regionale -, l’ordine di demolizione che il giudice penale ha il potere – dovere di emettere con la sentenza di condanna non trova altra condizione applicativa che l’attuale permanenza dell’opera abusiva. Il che trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla “sentenza di condanna” (art. 7 ult. comma), e quindi alla sua catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali.

La norma in esame non pone alcuna regola di condizionamento o di residualità del potere attribuito al giudice, né uno stretto coordinamento fra istanza amministrativa ed istanza giurisdizionale sotto il profilo procedimentale, ma soltanto prevede, per motivi di economicità processuale e di razionalità, che la demolizione dell’opera abusiva, comunque avvenuta, anche per iniziativa del privato, renda non utile l’adozione della misura ripristinatoria. In conclusione, dovendosi limitare il coordinamento – come previsto dall’ult. comma dell’art. 7 l. n.47 del 1985 – sotto il profilo degli effetti (demolizione ” … se non altrimenti eseguita…”) si deve ritenere che, nell’eventualità di concorrenza di titoli demolitori, l’avvenuta demolizione renderà solo inutiliter datum l’ordine successivo, al pari dell’eventuale acquisizione dell’immobile da parte del patrimonio comunale; il che potrà formare oggetto di accertamento nella stessa fase esecutiva del giudicato penale.

Pertanto, il potere – dovere di ordinare la demolizione dell’opera abusiva deve essere ricompreso in quel complessivo meccanismo di deterrenza che per la commissione dell’illecito urbanistico – ad un tempo amministrativo e penale – è stato predisposto dalla legge n.47 del 1985, e del quale troviamo conferma nell’art. 19 che

parallelamente al potere ablatorio delle lottizzazioni abusive da parte dei comuni, prevede che il giudice penale disponga la confisca “obbligatoria” (simile alla confisca di cui all’art. 240 comma 2 c.p. ) dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere

abusivamente costruite, e recentemente nell’art. 39 comma 12 L. n.724 del 1994, la cui norma dispone la confisca da parte del giudice penale delle “opere non condonabili” in caso di condanna per reato urbanistico di soggetti condannati, fra l’altro, per associazione di tipo mafioso: misura che non esclude l’esercizio del concorrente potere sanzionatorio da parte del sindaco.

Né, infine, è fondato giuridicamente l’assunto di una pretesa pregiudizialità amministrativa in materia urbanistica, di indubbia illegittimità costituzionale (Corte Cost. (ord.) 26 gennaio 1990 n. 34), e decisamente espunta dal testo normativo dalla Corte Costituzionale (sent. 31 marzo 1988 n. 370), con riguardo all’ipotesi di estinzione del reato urbanistico per effetto del rilascio della concessione in sanatoria (artt. 13 e 22 L. n. 47 del 1985). In tale occasione ha affermato, la Corte, che “…l’art.22 …. non può essere letto nel senso che l’autorità amministrativa costituisca una specie di “filtro” di ciò che deve assumere rilevanza nel procedimento penale: il giudice penale, oltre all’accertamento sull’esistenza, in concreto, dell’intera fattispecie estintiva prevista dal Capo I della legge in discussione (n. 47 del 1985), conserva tutti i poteri che l’ordinamento normalmente gli conferisce in ordine alla valutazione della legittimità dell’atto amministrativo”.

8 . Orbene, se il potere di ordinare la demolizione attribuito al giudice penale pur di natura amministrativa è volto al ripristino del bene tutelato in virtù di un interesse (anche di prevenzione) correlato all’esercizio della potestà di giustizia, il provvedimento conseguente compreso nella sentenza passata in giudicato, al pari delle altre statuizioni della sentenza, è assoggettato all’esecuzione nelle forme previste dagli art. 655 ss. c.p.p.. La giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria riguardo all’esecuzione dell’ordine di demolizione è conseguente alla caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato, non essendo neppure ipotizzabile che l’esecuzione di un provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla pubblica amministrazione, salvo che la legge non disponga diversamente, come nel caso di ripristino dello stato dei luoghi in materia di normativa antisismica, ove l’art. 24 l. n. 64 del 1974 riserva all’ufficio tecnico regionale l’esecuzione dell’ordine del giudice penale, in caso di condanna per la relativa contravvenzione, (la cui ragione va ricercata nei criteri essenzialmente tecnici che presiedono la salvaguardia statica degli edifici nelle zone dichiarate sismiche).

Va ricordato, inoltre, che l’art. 664 ult. comma c.p.p. prevede la competenza dell’autorità amministrativa solo nell’ipotesi di “esecuzione delle sanzioni conseguenti a violazioni amministrative – accertate nel processo penale”, stabilendo che il pubblico ministero deve in queste ipotesi trasmettere “l’estratto della sentenza esecutiva all’autorità amministrativa competente”. Come è stato precisato nella relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale trattasi di esecuzione delle sanzioni amministrative quali ad esempio le violazioni al codice della strada connesse a reati colposi contro l’incolumità personale, che ai sensi dell’art. 24 della legge n. 689 del 1981 vengono accertate dal giudice penale.

Ma, nel caso in parola di certo non si verte in materia di violazioni amministrative accertate nel processo penale, ma di applicazione di sanzione specifica (demolitoria) per il ripristino di un interesse tutelato.

Senza peraltro considerare che l’applicabilità dell’art. 664 ult. comma c.p.p. si presenterebbe non solo processualmente impraticabile, ma giuridicamente non giustificabile in quanto nella categoria delle sanzioni amministrative non possono essere ricondotte, per la dottrina autorevole e per la costante giurisprudenza, quelle misure specifiche oggetto dei c.d. provvedimenti ripristinatori.

Quanto alla revocabilità in fase di, esecuzione dell’ordine di demolizione, non compatibile con la situazione di fatto o giuridica sopravvenuta, osservano queste Sezioni Unite che siffatta eventualità non può essere assunta per negare la natura di provvedimento giurisdizionale; tanto è vero che il rimedio della revoca è stato introdotto dall’attuale sistema processuale penale riguardo all’esecuzione in termini assai ampi, anche relativamente ai giudicati, al fine di adeguare alla situazione concreta ed attuale gli effetti dei provvedimenti giurisdizionali adottati.

9. Passando alle modalità di esecuzione ed agli organi preposti, osserva questo Collegio che, essendo il titolo esecutivo costituito dalla sentenza irrevocabile, comprensiva dell’ordine di demolizione, l’organo promotore dell’esecuzione va identificato nel pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all’ingiunzione a demolire, non potrà che investire il giudice di esecuzione, al fine della fissazione delle modalità di esecuzione. Non resta quindi che applicare all’esecuzione dell’ordine di demolizione il procedimento attinente all’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali: il pubblico ministero “cura di ufficio l’esecuzione … (artt.655 c.p.p. e 29 reg.): ove sorga una controversia concernente non solo il titolo ma le modalità esecutive viene instaurato dallo stesso pubblico ministero, dall’interessato o dal, difensore procedimento innanzi al giudice dell’esecuzione (artt. 665 ss. c.p.p.). Tali questioni possono riguardare anche i rapporti con i provvedimenti concorrenti della pubblica amministrazione, oppure le modalità della stessa esecuzione d’ufficio ove l’intimato non provveda direttamente alla demolizione. Va osservato, infine, – quanto all’aspetto delle spese che la cancelleria del giudice dell’esecuzione deve provvedere al recupero delle spese del procedimento dell’esecuzione nei confronti del condannato (art. 181 norme att. c.p.p.), previa eventuale garanzia reale a seguito di sequestro conservativo imposto sui beni dell’esecutato (art. 316 C.P.P.), trattandosi di spese processuali.

10 . L’impugnata ordinanza va, pertanto, annullata senza rinvio. [….]