Corte di Cassazione, Terza Sezione, Sentenza n. 6873 del 2020, dep. il 14.07.2017

[…]

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/12/2014 il Tribunale di Firenze ha assolto tutti gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti perché i fatti non sussistono.
1.1. Nello specifico, i sigg.ri […] rispondono del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 29 e 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (rubricato al capo A) perché in concorso tra loro, …. in assenza del permesso di costruire e comunque in totale difformità dalle numerose D.I.A. presentate, e in violazione dell’art. 79, legge reg. Toscana n. 1 del 2005, e degli artt. 170, 176, 176-bis, del Reg. Edilizio del Comune …, eseguivano sul «…» di …, ubicato interamente in zona A del vigente PRG, un insieme sistematico di opere tali da realizzare un complesso in gran parte nuovo, mediante la radicale ed integrale trasformazione dell’immobile, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali dell’edificio, comportanti l’aumento delle unità immobiliari, l’alterazione dell’originale impianto tipologico-distributivo nonché dei caratteri architettonici dell’edificio, la modifica delle destinazioni d’uso di parti rilevanti dell’immobile stesso, trasformato in gran parte (10.000, metri quadrati) in struttura turistico-ricettizia, in attività terziarie e commerciali, e ciò in assenza “ogni adeguata dimostrazione della compatibilità con i caratteri storici, morfologici, tipologici ed architettonici dell’edificio”, come imposto dall’art. 6.2 delle NTA del PRG..
Gli imputati rispondono altresì del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 29 e 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (rubricato al capo F) per aver eseguito, nelle loro già indicate qualità, ulteriori interventi abusivi sul «…», diversi ed aggiuntivi rispetto a quelli indicati al capo A.
[…] rispondono anche del reato di cui agli artt. 81, cpv., 110, 481, 61, n. 2, cod. pen. (rubricato al capo B) perché, agendo in concorso fra loro, hanno attestato il falso nelle D.I.A. presentate al Comune … dando agli interventi in esse descritti qualificazioni urbanistico-edilizie contrarie al vero.
I sigg.ri […], rispondono, ai sensi degli artt. 110, 40, cpv., cod. pen., quali pubblici ufficiali dirigenti dell’edilizia privata del Comune …., del concorso nel reato di cui al capo A.
I fatti sono contestati come in atto al gennaio 2011 (capi A, B e D) e come commessi nel 2010 (capo F).
2. Per l’annullamento della sentenza propone ricorso immediato il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale … articolando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo eccepisce, in relazione al capo A della rubrica, l’erronea applicazione dell’art. 5, legge n. 2248 del 1865, allegato E, e degli artt. 19 e 21, legge n. 241 del 1990, con conseguente erronea applicazione dell’art. 192, cod. proc. pen..
Lamenta, al riguardo, che il Tribunale ha scientemente e volutamente abdicato al doveroso controllo di legalità degli atti della pubblica amministrazione richiamando, a tal fine, principi del tutto contrari a quelli costantemente affermati e ribaditi da questa Suprema Corte e non adatti al caso di specie, caratterizzato dalla edificazione effettuata in base ad atti che non sono di provenienza della pubblica amministrazione (le D.I.A., appunto).
2.2. Con il secondo motivo eccepisce, sempre con riferimento al capo A della rubrica, l’erronea applicazione dell’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001.
Riallacciandosi agli argomenti già sviluppati con il primo motivo, ripresi ed ulteriormente illustrati, deduce che il Tribunale non ha considerato che la D.i.a. non è un provvedimento amministrativo, bensì un atto privato in relazione al quale la buona fede dell’autore rispetto a provvedimenti o pareri emessi dalle pubbliche amministrazioni non è invocabile a propria scusante.
2.3. Con il terzo motivo, deducendo che l’intervento eseguito sull’immobile in questione non può essere qualificato alla stregua di un «restauro», eccepisce al riguardo l’errata applicazione dell’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 quale conseguenza dell’erronea interpretazione delle norme che definiscono gli interventi di «ristrutturazione» e «restauro conservativo», che escludono – quanto a questi ultimi – lavori che comportano l’introduzione di elementi nuovi e/o che modificano, come nel caso di specie, gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio.
Si tratta, prosegue, di un intervento che, in considerazione dell’entità degli interventi, delle numerose modifiche di destinazione d’uso e del rilevante incremento del carico urbanistico, deve essere qualificato come «ristrutturazione», per il quale era necessario il permesso di costruire e che in ogni caso non è ammesso dagli strumenti urbanistici vigenti nel Comune … che vietavano, nell’area in questione, addirittura anche i soli interventi di restauro e risanamento conservativo.
2.4. Con il quarto motivo eccepisce che, anche a voler qualificare l’intervento nei termini ritenuti dal Tribunale, sussiste il reato di cui all’art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi comunque di intervento effettuato in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune .…
2.5. Con il quinto motivo eccepisce, in relazione al reato di cui al capo B della rubrica, l’erronea applicazione degli artt. 481 e 483, cod. pen..
Deduce, al riguardo, che le D.i.a. (o S.c.i.a) non possono essere qualificate come mere «valutazioni tecniche» o «attestazioni tecnico-valutative», quasi fossero mere opinioni. Si tratta, afferma, di atti di natura dichiarativa (o asseverativa) con cui, a norma degli artt. 19 e 20, legge n. 241 del 1990, viene dichiarata l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti per il lecito svolgimento dell’attività che ne costituisce l’oggetto, che possono dunque essere oggetto di falsa rappresentazione.
2.6. Con il sesto motivo eccepisce, in relazione al capo D della rubrica, l’erronea applicazione degli artt. 40, 110, cod. pen., 29 e 44, d.P.R. n. 380 del 2001, e lamenta al riguardo che il Tribunale, invece di concentrarsi sulla violazione degli obblighi di vigilanza che su loro incombevano, ha escluso la responsabilità dei pubblici funzionari sul rilievo della mancanza di prova del loro concorso doloso, nemmeno contestato dalla rubrica.
2.7. Con il settimo motivo eccepisce la violazione degli artt. 121, 507 e 191, cod. proc. pen., perché il Tribunale ha censurato, in motivazione, il contenuto di un documento della Regione Toscana che era stato allegato ad una memoria del Pubblico Ministero ma che era stato (illegittimamente) espunto, insieme con la memoria, dal fascicolo del dibattimento. Eccepisce, pertanto, sia la valutazione di un documento non più utilizzabile, sia l’illegittimità della esclusione della memoria dal fascicolo del dibattimento.
3. I difensori di … hanno depositato memorie con cui hanno chiesto il rigetto o comunque la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
5. Occorre innanzitutto precisare che non sono oggetto di doglianza i capi F e G della rubrica e che il sindacato della Corte, in tema di ricorso immediato di cui all’art. 569, cod. proc. pen., è limitato ai soli casi previsti dal comma terzo dell’articolo in questione.
6. Tanto premesso, i primi tre motivi, in essi assorbito il quarto, sono fondati.
6.1. Il caso in esame ha ad oggetto il … (dichiarato di rilevante interesse storico artistico dal Ministro della Pubblica Istruzione il …1918) e si segnala per il fatto che le opere in contestazione sono state effettuate in base ad titoli edilizi (D.i.a.) che, secondo l’impostazione accusatoria, non lo consentivano.
6.2. Il Tribunale, invertendo completamente i poli del ragionamento ed utilizzando principi di diritto elaborati da questa Suprema Corte in tema, tutt’affatto diverso, di illegittimità del permesso di costruire (titolo del quale invece è contestata proprio la mancanza), trascurando inoltre completamente la sentenza di questa Sezione, n. 8495 del 2012 (di cui oltre si dirà), compie un inammissibile atto di fede nei confronti degli imputati (ma anche degli organismi preposti al controllo della regolarità urbanistica e ambientale degli interventi progettati ed eseguiti) ed abdicando all’irrinunciabile dovere del giudice di controllare la legalità degli atti amministrativi, giunge sostanzialmente ad affermare che le opere potevano essere realizzate in base a semplice d.i.a. sol perché così sostanzialmente avevano attestato i professionisti che avevano redatto gli elaborati tecnici ad essa allegati, con l’autorevole avallo del Comune … (i cui tecnici, però, sono stati chiamati a rispondere del concorso nel reato ai sensi dell’art. 40, cpv., cod. pen.) e della Soprintendenza che avevano condiviso la qualificazione come “restauro” dei singoli interventi oggetto delle varie dichiarazioni.
6.3. Metodo, come detto, totalmente errato perché, in materia urbanistica ed edilizia, quando sia contestata l’esecuzione di opere in assenza di un valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra cosa accertare l’intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza, qualificarlo ai sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice d.i.a.). Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per l’opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il giudice non deve “disapplicare” la dichiarazione di inizio attività, perché non è di questo che si tratta; è sufficiente che prenda atto del fatto che l’intervento è stato realizzato in assenza dell’unico titolo che lo consente. Né rileva l’eventualità che l’opera, così come realizzata, possa esser conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali silenzi possono costituire argomento d’accusa per concorsi dolosi o colposi, ma non possono rendere lecito quel che tale non è.
6.4. Sicché le numerose pagine della sentenza dedicate alla possibilità per il giudice di disapplicare il permesso di costruire e all’incidenza del rilascio del permesso stesso sulla consapevolezza della natura abusiva dell’opera da parte dei privati, sono del tutto irrilevanti.
6.5. Quanto alla qualificazione dell’intervento è francamente singolare che il Tribunale non accenni nemmeno, quantomeno per confutarli motivatamente, ai principi che, in relazione al medesimo immobile e al medesimo intervento, questa Suprema Corte, investita in sede cautelare dal medesimo PM, pronunciò con la citata sentenza n. 8945 del 20/10/2011 (dep. il 07/03/2012).
6.6. Tali principi – che devono essere qui ribaditi perché in linea con il consolidato orientamento della S.C., totalmente negletto dal Tribunale – possono essere così riassunti:
6.6.1. <<la realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all’intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell’attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull’assetto territoriale.
L’opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (…) mentre non risulta che, nella specie, la … s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall’inizio»;
6.6.2. «la categoria “ristrutturazione edilizia” a fronte del più ristretto ambito di quelle del “risanamento conservativo” e del “restauro” come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell’intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l’aumento delle unità immobiliari nonché l’alterazione dell’originale impianto tipologico – distributivo e dei caratteri architettonici»;
6.6.3. <<Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall’art. 3, comma 1, lett. d) del cit. T.U., in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”. L’intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
6.6.4. «Non ha rilievo l’entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi: – di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d’uso (art. 3, comma 1, lett. b, del cit. T.U.); – di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli “elementi tipologia” dell’edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c, cit. T.U.). Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi “di nuova costruzione”, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.. Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative di cui all’art. 31, cit. T.U. e quella penale di cui all’art. 44, lett. b)»;
6.6.5. <<ai fini della individuazione della destinazione turistico – alberghiera di una struttura immobiliare non si deve tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della struttura (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o residenza turistico ricettiva».
6.7. La imprescindibile necessità di mantenere l’originaria destinazione d’uso caratterizza ancor oggi gli “interventi di manutenzione straordinaria”, non avendo alcun rilievo il fatto che, in conseguenza delle modifiche introdotte dall’art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1 e 2, d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, sia oggi consentito nell’ambito di detti interventi procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico.
6.8. Altrettanto si dica per gli interventi di “restauro e risanamento conservativo”.
6.9. Sorvolando sulle personali opinioni del Tribunale in ordine al concetto di restauro, rileva innanzitutto l’errore di diritto che il Giudice compie allorquando, nello sforzo di supportare giuridicamente tali opinioni, trae dal contenuto dell’art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, argomento sistematico per affermare che il “restauro”, così come definito dal successivo art. 29, comma 4, consente la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali, sminuendone però la funzione essenzialmente conservativa e ripristinatoria del bene da restaurare (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 1978 del 18/06/2014, …, Rv. 262002, secondo cui nella categoria degli “interventi di restauro o di risanamento conservativo”, per i quali non occorre il permesso di costruire, possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l’inserimento di nuovi elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate tipologia, forma e struttura dell’edificio). Resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale.
6.10. Il tema accusatorio, articolato e complesso, imponeva dunque al Giudice di spingere l’indagine ben oltre la semplice conformità delle opere alle d.i.a di volta in volta presentate per il (formale) restauro e risanamento dell’immobile, non mancando mai di perdere di vista il risultato finale, nella sua interezza.
6.11. Il …, come detto, è immobile di rilevante interesse storico artistico, soggetto a vincolo per i suoi rilevanti caratteri tipologici e perché di particolare interesse documentario ed ambientale. L’area di sedime ricade in zona omogenea A del Comune …, centro storico, di interesse culturale ed ambientale.
6.12. Come riconosce lo stesso Tribunale, le varie D.i.a. che si sono succedute nel tempo (ben 18), hanno comportato la modifica di destinazione d’uso di gran parte dell’imponente immobile (che occupa un intero isolato) da “residenziale e direzionale” a “commerciale, direzionale, residenziale”. 6.13. Il che comportava senz’altro la necessità, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, del rilascio del permesso di costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui all’art. 22, comma 3, lett. a), stesso d.P.R..
6.14. L’ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all’art. 22, comma 1, d.P.R. n. 380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al successivo comma 3 (dal quale quest’ultima ripete natura e funzione). La cd. Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui al successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la denuncia di inizio attività di cui all’art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001.
6.15. La sentenza deve perciò essere annullata in relazione al capo A della rubrica.
7. E’ fondato anche il sesto motivo di ricorso, che ha ad oggetto il reato di cui al capo D.
7.1. La rubrica imputa ai due dirigenti del Comune … di aver concorso nel reato edilizio di cui al capo A omettendo di adottare le misure amministrative necessarie a impedire l’esecuzione delle opere.
7.2. Al di là del tipo di addebito (doloso o colposo poco importa, attesa la natura contravvenzionale del reato contestato e il fatto storicamente contestato, non avendo rilevanza alcuna l’utilizzo nella rubrica dell’art. 110, cod. pen., piuttosto che 113, cod. pen.), il tema accusatorio, così come articolato, esclude dal proprio orizzonte la necessaria natura dolosa del concorso dei due pubblici ufficiali, men che meno la sussistenza di omissioni intenzionalmente orientate a procurare ai privati un ingiusto vantaggio o atteggiamenti collusivi.
7.3. E’ sufficiente richiamare (e ribadire) il principio già affermato da questa Corte secondo cui il dirigente o il responsabile dell’ufficio urbanistica del Comune è titolare di una posizione di garanzia, e dunque dell’obbligo di impedire l’evento, discendente dall’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001, che ne determina la responsabilità ai sensi dell’art. 40, comma secondo, cod. pen. in caso di mancata adozione dei provvedimenti interdittivi e cautelari (Sez. 3, n. 9281 del 26/01/2011, …, Rv. 249785; si veda, sul punto, anche Sez. 3, n. 19566 del 25/03/2004, …, Rv. 228888).
7.4. Non ha perciò alcun fondamento la decisione del Tribunale di assolvere i due pubblici ufficiali sul solo dato della inesistenza in capo ad essi di una posizione di garanzia e della mancanza di addebiti di natura collusiva.
8. Il quinto motivo di ricorso (che riguarda i fatti-reato di cui al capo B della rubrica; artt. 81, cpv., 481, cod. pen.) non è fondato.
8.1. Le contestate falsità, infatti, sostanzialmente ricadono sulla “qualificazione” delle opere da eseguire come “restauro”.
8.2. Più volte questa Corte ha affermato il principio che solo le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall’esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi. Ne consegue che rispondono del delitto previsto dall’articolo 481 cod. pen. il professionista che redige le planimetrie e la committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele (Sez. 5, n. 5098 del 08/03/2000, …, Rv. 216056; Sez. 5, n. 15860 del 21/03/2006, …, Rv. 234601; Sez. 3, n. 30401 del 23/06/2009, …, Rv. 244588).
8.3. Esula dall’ambito dell’ipotizzato delitto ogni attività valutativa.
8.4. Il concetto è stato bene espresso da Sez. 2, n. 3628 del 12/12/2006, …, Rv. 235934 che, pronunciando in tema di delitto di falsità ideologica dell’esercente un servizio di pubblica necessità, ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, che non rientrano nella nozione di “certificati” quegli atti che, nell’ambito di un procedimento amministrativo per il rilascio di un’autorizzazione, non hanno la funzione di dare all’Amministrazione un’esatta informazione su circostanze di fatto e, quindi, di provare la verità di quanto in essi affermato, ma sono espressivi di un giudizio, di valutazioni e convincimenti soggettivi, sia pure erronei, ma che non alterano i fatti.
8.5. Quel che conta è l’esatta rappresentazione e descrizione grafica dell’intervento; la valutazione che ne compie il professionista non è assistita da alcuna presunzione di veridicità, essendo sempre riservata al dirigente o al responsabile dell’ufficio comunale, nell’ambito dell’attività di vigilanza di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, ogni valutazione sulla conformità dell’opera progettata alle norme di legge e di regolamento e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ivi compresa la qualificazione stessa dell’intervento ed il suo regime edilizio.
7.5. Occorre piuttosto precisare che l’art. 20, comma 13, d.P.R. n. 380 del 2001, punisce con pena ancor più severa di quella prevista dall’art. 481, cod. pen., la condotta di «chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni». In questo caso, oggetto materiale della falsità non è il progetto allegato alla domanda di permesso di costruire, bensì la specifica dichiarazione del progettista abilitato «che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, alle norme relative all’efficienza energetica».
7.6. E’ evidente il diverso ambito applicativo delle due fattispecie poiché alla prima (art. 481, cod. pen.) è estraneo l’ambito valutativo; la seconda fattispecie, invece, incrimina una specifica falsa attestazione che presuppone necessariamente un giudizio di conformità.
7.7. Ne consegue che per questo reato il ricorso deve essere respinto.
7.8.Restano assorbite le doglianze oggetto del settimo motivo di ricorso che, avendo natura processuale, saranno valutate in sede di rinvio.[…]