Corte di Cassazione,Sez. 3, Sentenza n. 18401 del 2009, dep. il 19/08/2009

[…]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

[…] conveniva, davanti al tribunale di Ancona, […] e […], il primo quale conducente ed il secondo quale proprietario del motociclo, nonché la […] Assicurazioni quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti in occasione del sinistro stradale del 26.3.1985.
Esponeva che, mentre procedeva a piedi in centro abitato, era stato investito da tergo dal motociclo condotto, nello stesso senso di marcia, da […] riportando lesioni gravi; che il motociclo era assicurato con la spa […], ma che tale società aveva rifiutato l’indennizzo eccependo l’inoperatività della garanzia perché trattavasi di ciclomotore maggiorato nella cilindrata da 50 c.c. a 80 c.c., e cosi’ trasformato in motociclo.
Di qui la citazione del Fondo di Garanzia ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. B).
Si costituivano tutti i convenuti; la spa […] negando la propria legittimazione passiva ed eccependo la prescrizione biennale ai sensi dell’art. 2947 c.c., i […] contestando la responsabilità ed eccependo la stessa prescrizione.
Con sentenza del 9.8.2002, il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione passiva della spa […] e condannava i […] al risarcimento del danno.
Proponevano appello il […] ed i […], e la Corte d’Appello, con sentenza del 14.5.2005, ritenuto il concorso di colpa del […], nella misura di un terzo, condannava in solido la spa […] e […] e […] al risarcimento del danno nella misura indicata.
Hanno proposto ricorso per Cassazione affidato ad un motivo la spa […], quale impresa designata alla gestione dei sinistri in carico al Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada; e ricorso per Cassazione affidato a tre motivi […] e […].
Entrambe le parti ricorrenti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Ricorso […].
Con unico motivo la spa […] nella qualità denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 19, lett. B, L. n. 990/1969 in relazione all’art.360 , nn. 3 e 4, c.p.c.
Il motivo non è fondato.
Circostanza di fatto non contestata è che il ciclomotore in oggetto aveva subito un’alterazione meccanica; nella specie, l’aumento della sua cilindrata oltre i 50 c.c..
Ora, tale modificazione meccanica – come ha rilevato la Corte di merito – ne ha determinato la trasformazione ed il passaggio nella categoria sostanziale dei motocicli.
L’alterazione meccanica del ciclomotore, con l’aumento di cilindrata oltre il limite consentito dalla norma del D.P.R. n. 393 del 1959, art. 24 applicabile nella specie ratione temporis (ed abrogato dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285) ha, infatti, determinato una modificazione delle caratteristiche tecniche dello stesso, con la sua inclusione nella categoria dei motocicli, per i quali è previsto l’obbligo di assicurazione ai fini della responsabilità civile verso terzi.
Il dato rilevante è la trasformazione del mezzo, e non che sia stata mantenuta l’originaria denominazione tecnico – amministrativa, integrando quest’ultimo un dato formale, destinato a cedere di fronte a quello sostanziale.
Né, in senso contrario, può essere seguita la tesi sostenuta dall’odierna ricorrente, la quale sostiene che la lettura dell’art. 5 della L. n. 990 del 1969 (abrogato ad opera del D.Lgs. 30.4.1992, n.285) non autorizza una tale interpretazione.
Rileva, a tal fine, che la norma in esame prevede che “Non vi è obbligo di assicurazione ai sensi della presente legge per i ciclomotori che non siano muniti di targa di riconoscimento e per le macchine agricole” legando, pertanto, l’obbligatorietà della copertura assicurativa alla dotazione della targa, elevata quest’ultima ad elemento scriminante.
La tesi non è significativa.
La ratio e la finalità ispiratrice della norma in esame erano, infatti, quelle di escludere dall’obbligo di assicurazione quei mezzi che, per le loro caratteristiche tecniche, potevano sprigionare una velocità limitata e, quindi, si presentavano di scarsa pericolosità.
La targa costituiva soltanto un elemento formale, ma non significativo dell’esistenza od inesistenza di quelle particolari caratteristiche per l’assoggettabilità o meno alla garanzia assicurativa obbligatoria per la responsabilità civile.
Questa dipendeva dalle condizioni strutturali del mezzo, risultanti dall’eventuale trasformazione.
In questo senso sono anche di ausilio – al fine di ricavare la ratio della norma in esame – i riferimenti alla normativa civile in materia di sanzioni amministrative ed a quella penale.
Merita ricordare che questa Corte, in anni passati (Cass. Cass.17.7.1992 n. 8708), ha affermato che, per la sussistenza della violazione dell’art. 58, comma 8 (circolazione di veicolo per il quale non è stata rilasciata la carta di circolazione), con riferimento ad un ciclomotore, non è necessario che il motore di tale veicolo sia stato alterato.
L’art. 24 C.d.S., infatti, definisce i ciclomotori individuando, non solo le caratteristiche dei motori (cilindrata, potenza e peso), ma aggiungendo, come autonoma caratteristica, la “capacità di sviluppare su strada piana una velocità fino a 40 km. all’ora” (comma 1, lett. d).
Nel comma 2 lo stesso art. 24 pone, poi, la regola secondo cui i ciclomotori, “qualora superino il limite stabilito per una delle caratteristiche indicate nel precedente comma, sono considerati motoveicoli”, e devono essere conseguentemente muniti della carta di circolazione prescritta dall’art. 58 C.d.S..
La equiparazione del ciclomotore ai motoveicoli si realizza, pertanto, non solo per effetto del superamento dei limiti posti, per le caratteristiche del motore, dall’art. 24, lett. a – c, ma anche se il veicolo stesso ha, comunque, una capacità di sviluppare una velocità superiore ai 40 km. all’ora.
Non è, quindi, indispensabile la prova dell’alterazione della cilindrata, della potenza o del peso del motore del ciclomotore perché questo veicolo venga considerato motoveicolo; con la conseguenza che la sua circolazione con velocità oltre i 40 km. orari concretizza la violazione dell’art. 58 C.d.S, comma 8.
Un tale orientamento interpretativo è stato anche affermato in sede penale.
È stato, infatti, ritenuto che, quando un ciclomotore risulta dotato di una potenza tale da imprimere al veicolo, in condizioni normali, una velocità nettamente superiore a quella di quaranta chilometri orari, stabilita dal D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 24 (C.d.S.), sono applicabili le disposizioni stabilite per i motocicli dagli artt. 58, 66 e 80 medesimo d.p.r., che prescrivono la carta di circolazione, la targa e la patente di guida e prevedono, per la violazione di tali norme, sanzioni anche a carico del conducente (Cass. pen. sez. 4, 6.3.1986 n. 4283).
Inoltre, il fatto di colui il quale, senza essere munito di patente di guida di categoria A, circoli alla guida di un ciclomotore maggiorato nella cilindrata e non corrispondente, perciò, alle sue caratteristiche originarie, integra il reato di cui all’art. 116 nuovo C.d.S., comma 13, poiché il veicolo in questione- rientrante di fatto nella categoria dei motoveicoli di cui all’art. 53 stesso codice – viene ad essere ricompreso nella categoria di quelli per la cui conduzione è, appunto, necessaria, ai sensi della citata norma, la suddetta patente (Cass. pen., Sez. 4^, 18.9.1997 n. 255; nello stesso senso Cass. pen. Sez. 4^, 24.6.1993 n. 839; Cass. sez. 4^, 18.12.1989 n. 8147).
In ordine, poi, alla materia delle violazioni del codice della strada e delle conseguenti sanzioni amministrative, la giurisprudenza della Corte di legittimità è consolidata nel senso di ritenere che la modifica delle caratteristiche tecniche di un ciclomotore, che sia tale da consentirgli di superare la velocità massima consentita per tale categoria di mezzi di trasporto (45 Km/h), ne comporta il passaggio alla categoria dei motoveicoli, con conseguente applicabilità della sanzione di cui all’art. 97 C.d.S., in essa inclusa la misura accessoria della confisca (art. 97 C.d.S., comma 14) (Cass. 7.12.2001 n. 15506; v. anche Cass. 22.6.2007 n. 14656). Inoltre, la stessa Corte ha riconosciuto la responsabilità del genitore esercente la potestà, qualora la modifica delle caratteristiche tecniche del ciclomotore – tale da consentirgli di superare la velocità massima ammessa per tale categoria di mezzi di trasporto – sia commessa da un minore.
In un tale caso, il fatto non è inquadrabile in una condotta episodica che può sfuggire al controllo del genitore, ma comporta una modifica stabile della meccanica del motoveicolo, che il genitore esercente la potestà avrebbe potuto e dovuto verificare nell’adempimento dei propri obblighi di vigilanza sui minore; con la conseguenza che la responsabilità del genitore non può essere esclusa per impossibilità di impedire il fatto (Cass. 21.3.2007 n. 6685; Cass. 20.10.1997, n. 10282).
E, più specificamente in tema di assicurazione della responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, la Corte di legittimità ha ritenuto che, quando, nel contratto, sia prevista una clausola che; escluda la garanzia assicurativa per i danni verificatisi, nel caso in cui il conducente non sia abilitato alla guida, sussistono l’operatività della polizza ed il conseguente obbligo indennitario dell’assicuratore quando il conducente, pur abilitato alla guida, abbia omesso di rispettare prescrizioni e cautele imposte dal C.d.S..
Infatti, per mancanza di abilitazione alla guida deve intendersi l’assoluto difetto di patente, ovvero la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di validità e di efficacia della stessa (sospensione, revoca, decorso del termine per la conferma, sopravvenienza di condizioni ostative).
Nel caso in cui esista un’abilitazione alla guida, l’inosservanza di prescrizioni o limitazioni, eventualmente imposte dal legislatore, non si traduce in una limitazione della validità od efficacia del titolo abilitativo, ma integra una ipotesi di mera illiceità della guida (Cass. 7.10.2005 n. 19657).
L’excursus esemplificatorio proposto consente di evidenziare che le modificazioni strutturali del mezzo determinano conseguenze di pregnante rilievo: sia penale, sia civile; con la previsione di fattispecie concretizzanti reati, sanzioni amministrative e responsabilità di tipo civilistico.
Se tale è il risultato raggiunto – con le indicate ricadute in tema di responsabilità penale o civile – la ricorrenza della medesima finalità non può che prevedere il medesimo trattamento anche nel caso in esame; diversamente, oltretutto, le conseguenze ridonderebbero in danno della vittima del fatto lesivo, alla quale sarebbe assicurato un minore grado di tutela.
E, sotto questo profilo, è di tutta evidenza che l’interpretazione teleologica della norma di cui è denunciata la violazione non può che condurre al medesimo risultato; vale a dire quello della ricomprensione della fattispecie in esame nella previsione della L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. B), con l’insorgenza dell’obbligo assicurativo.
Se, infatti, è stato ritenuto che, anche in un caso di incidente stradale provocato da veicolo non soggetto ad assicurazione obbligatoria (nella specie, ciclomotore) e da veicolo soggetto all’Assicurazione medesima, ma in concreto non coperto da garanzia assicurativa, l’obbligazione risarcitoria del fondo di garanzia, di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19 e segg. investa l’intero danno subito dalla vittima dell’incidente, e non possa essere limitata alla quota corrispondente alla percentuale di responsabilità del veicolo soggetto all’Assicurazione – rilevante solo nel diverso rapporto interno fra i coautori dello stesso evento dannoso – (v. Cass. 25.1.1985 n. 373), il coinvolgimento del Fondo di garanzia deve essere, a maggior ragione, operante nella specie.
E cio’ per la ricorrenza delle condizioni di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. B).
La circostanza della mancata copertura assicurativa risultante al momento del sinistro comporta, pertanto, che il risarcimento dei danni da circolazione stradale sia posto a carico del Fondo di garanzia per le vittime della strada (v. anche Cass. 26.9.2000 n. 12764). Ricorso […].
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 lett. B) L. n. 990/1969 anche in relazione agli artt. 1290 e 1310 c.c. – Erronea e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – il tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5.c.p.c.
Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.
È, infatti, vero che, nel sistema della legge sull’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da circolazione di veicoli, non si costituisce un rapporto di solidarietà passiva tra il Fondo di garanzia per le vittime della strada ed il soggetto, responsabile del danno, perché l’obbligazione del Fondo, avente natura risarcitoria e non indennitaria, è sostitutiva di quella del responsabile; con la conseguenza che la prescrizione dell’azione nei confronti del danneggiante non è interrotta da un valido atto interruttivo compiuto dal danneggiato nei confronti del Fondo (v. anche Cass. 28.2.2002 n. 2963; v. anche Cass. 25.9.2000 n. 12671).
Sotto questo profilo, pertanto, – non ricorrendo un rapporto di solidarietà passiva tra il Fondo di garanzia per le vittime della strada ed il soggetto responsabile del danno – è errata la sentenza impugnata che ha ritenuto valide, al fine di interrompere la prescrizione, le lettere inviate dal […] alla spa […], quale impresa designata dal Fondo di garanzia, rilevando che “tali atti interruttivi del termine biennale producono effetti nei confronti di tutti gli obbligati in solido ai sensi dell’art. 1310 c.c. dovendosi ritenere che l’obbligazione propria del Fondo di garanzia sia solidale con quella propria del conducente e del proprietario del veicolo”.
Ma la conclusione che auspicano i ricorrenti […] non può essere condivisa.
Infatti, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, rivedendo un loro precedente orientamento (S.U. 10.4.2002 n. 5121), con la sentenza del 18.11.2008 n. 27337, hanno stabilito che, nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto – reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi.
In questo caso, la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, in considerazione della chiara lettera dell’art. 2947 c.c., comma 3, – a tenore della quale “se il fatto è considerato dalla legge come reato” – non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilità del reato”.
A tal fine, è appena il caso di ricordare che in relazione al dies a quo per la decorrenza della prescrizione, sinteticamente indicato nell’art. 2947 c.c., comma 1, nella locuzione “giorno in cui il fatto si è verificato”, rimangono validi i principi gia’ fissati da queste S.U. con le sentenze 11.1.2008, n. 576, 580 e 582, ed altre in pari data, con riferimento al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto (o avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche) sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato.
Nella specie, il sinistro si è verificato il ….1985 e – come risulta dalla sentenza impugnata – la sentenza, che è stata emessa in sede penale in data 5.5.1987, ha prosciolto […] dal reato ascrittogli di cui all’art. 590 c.p. per mancanza di querela.
Il giudice civile, che ha riconosciuto la responsabilità di […] nella causazione dell’evento lesivo di danno, a seguito della espletata istruzione ha accertato, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del processo civile, la sussistenza degli estremi del – fatto – reato di lesioni colpose, in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi. Ne consegue l’applicabilità – per le ragioni sopra evidenziate – della più lunga prescrizione prevista per il reato di cui all’art. 590 c.p..
Nessuna prescrizione dell’azione civile per il risarcimento del danno è, pertanto, maturata.
Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e, con riferimento all’art. 112 c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
La decisione del giudice di secondo grado, che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado, è impugnabile con il ricorso per Cassazione, non per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, e neppure per motivazione per relationem, resa in modo difforme da quello consentito, bensi’ per omessa pronuncia su di un motivo di impugnazione.
La conseguenza è, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – come nella specie – o del n. 5, anziché dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso – od il motivo come nel caso in esame – si rivela inammissibile (tra le tante Cass. 4.6.2007 n. 12952; v. anche S.U. 27.10.2006 n. 23071; Cass. 27.1.2006 n. 1755; Cass. 26.1.2006 n. 1701).
Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1 – erronea e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con violazione anche dell’art. 11 c.p.c. – il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn.3 e 5.
Il motivo non è fondato.
La Corte di merito, all’esito dell’accertamento effettuato, sulla base delle risultanze istruttorie, è pervenuta ad affermare, nel caso concreto, l’applicabilità dell’art. 2054 c.c., comma 1, riconoscendo che non era stata raggiunta la prova liberatoria che avrebbe potuto esimere il conducente del veicolo investitore dall’obbligo di risarcire il danno prodotto con l’investimento del pedone.
E, con ciò, ha applicato correttamente la norma dell’art. 2054 c.c., comma 1, escludendosi, pertanto, la violazione e la falsa applicazione lamentata.
A tal fine, deve anche rilevarsi che la presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana.
Pertanto, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l’indagine in ordine all’eventuale concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, del pedone investito, che ricorre quando il comportamento di quest’ultimo sia stato improntato a pericolosità ed imprudenza.
Accertato il concorso di colpa tra investitore ed investito, tuttavia, i criteri di ripartizione della colpevolezza costituiscono oggetto di un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (v. anche Cass. 13.3.2009 n. 6168).
Nella specie, la Corte di merito ha correttamente applicato i principi enunciati ritenendo e motivando sul punto che: “È indubitabile la ricorrenza di una colpa specifica da parte del […] per non avere egli camminato sul lato sinistro della strada, colpa resa evidente e pregnante dall’ora notturna e dall’assenza di illuminazione”, aggiungendo, però, “ma una tale colpa non equivale al raggiungimento della prova liberatoria di cui al all’art. 2054 c.c., comma 1 né esonera dalla relativa prova, prova nella specie non offerta.
Al contrario, emerge un manifesto difetto di attenzione nella guida, perché lungo la corsia di pertinenza del veicolo v’erano tre persone ed il tratto di strada, come risultante dai rilievi dei Carabinieri, era perfettamente rettilineo”.
E, pertanto, ha concluso: “Ritiene la Corte adeguato stabilire il concorso di colpa del […] nella misura di un terzo, misura in ragione della quale va riformata la statuizione di condanna”.
I ricorrenti […], sotto l’apparente vizio di motivazione, in realtà richiedono una “rivisitazione” delle risultanze probatorie che spetta esclusivamente: al giudice di merito.
Il vizio di omessa, errata o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità, infatti, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di esaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sul piano logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito.
Soltanto a quest’ultimo – come già detto ‘ spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare; fatti in discussione (v. per tutte Cass. 12.7.2007 n. 15604).
Il vizio di motivazione, pertanto, sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte. (v. anche Cass. 6.3.2006 n. 4770).
Nella specie, nessuno degli indicati presupposti ricorre nella motivazione adottata dalla Corte di merito.
La stessa, infatti, dopo avere vagliato le risultanze probatorie, ha ritenuto, all’esito della loro disamina, che la carenza di elementi probatori finalizzati a dimostrare l’adozione, da parte del conducente del veicolo investitore, di tutte le manovre e cautele necessarie ad evitare l’ostacolo, lasciavano ritenere che non fosse stata raggiunta la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., comma 1.
Nessun vizio motivazionale può, pertanto, essere imputato alla Corte di merito, la quale ha riconosciuto la responsabilità di […], nella misura dei due terzi, non in contrasto con gli elementi di fatto acquisiti, ma come logica conseguenza degli stessi.
Ed ha concluso che, in mancanza della prova liberatoria che consentisse di escludere l’imputabilità dell’evento al […] e di prove che dimostrassero la esclusiva responsabilità del pedone – riconosciuto il concorso di colpa di quest’ultimo nella misura di un terzo -, anche al primo doveva imputarsi l’evento per non avere dimostrato di avere fatto il possibile per evitare il prodursi del fatto lesivo (v. anche Cass. 28.11.2007 n. 24745).
Conclusivamente, entrambi i ricorsi vanno rigettati […]