[…]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La […] s.a.s., appaltatore conveniva in giudizio […], committente, per sentirla condannare al pagamento della somma di 51 milioni di lire, quale residuo corrispettivo d’un contratto d’appalto avente ad oggetto la ristrutturazione edilizia di un appartamento.
Addotti vari difetti dell’opera, la convenuta proponeva domanda riconvenzionale di riduzione del corrispettivo e di risarcimento del danno.
L’adito Tribunale di Roma riduceva ad Euro 8.056,73 il prezzo residuo da corrispondere. Rigettava, invece, la richiesta di danni (per i costi di rifacimento dei lavori non esattamente eseguiti, per la ritardata esecuzione del contratto e per danni arrecati dalle maestranze all’immobile), e condannava la convenuta alle spese di lite, incluse quelle di c.t.u..
L’impugnazione proposta dalla […] era respinta dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 121 dell’11.1.2007.
Riteneva la Corte territoriale che la censura relativa alle somme necessarie per le opere di ripristino astrattamente prevedibili erano state rettamente valutate dal c.t.u., e che la critica mossa dall’appellante non era fondata, poiché rapportata all’intero appartamento e non alle sole minime parti che richiedevano dei lavori per rimediare a quanto non eseguito a regola d’arte; che le fatture prodotte dalla […] non fornivano utili elementi di giudizio, poiché documentavano spese sostenute per l’esecuzione di lavori così come originariamente concordati, e non per la cattiva esecuzione dell’opera; che non vi era traccia dell’esborso di 2.500.000 lire per risistemare gli infissi; e che non vi era prova di attività di ripristino eseguite in proprio dall’appellante nel proprio appartamento e nel sottostante esercizio commerciale, danneggiato dai lavori dell’impresa appaltatrice. Quanto ai danni da ritardo, la Corte territoriale riteneva che la prova testimoniale, ammessa dalla stessa Corte in diversa composizione, diretta a dimostrare l’accordo su di un termine di gg. 30 per la consegna, era da ritenersi inammissibile perché dedotta in violazione degli artt.2722 e 2723 c.c.. Inoltre, la documentazione prodotta non era idonea a dimostrare l’esistenza di un danno direttamente ricollegabile al ritardo nell’esecuzione delle opere, in quanto: a) la […] il 30.1.1997 aveva rilasciato volontariamente al proprio locatore l’alloggio occupato con la propria famiglia, nell’ambito di un procedimento di sfratto per morosità intimatole con atto notificato il 25.6.1996; b) il canone per il residence locato dalla […] per il mese di febbraio 1997 (l’unico mese che avrebbe potuto essere valutato come connesso al ritardo nella consegna delle opere) non risultava pagato; c) le spese di trasloco nell’appartamento ristrutturato sarebbero state comunque sostenute, a prescindere dal ritardo; e infine, d) non vi era traccia di immagazzinaggio in attesa della disponibilità dell’appartamento in questione. E con ciò rimaneva assorbita la questione dei danni morali, anche a prescindere dalla carenza dei relativi presupposti, in base agli artt. 2059 c.c., e 185 c.p., e dalla mancanza di allegazioni probatorie in merito.
Ancora, la Corte territoriale proseguiva affermando che non era fondata la censura concernente la liquidazione di compensi per lavori aggiuntivi, che proprio dalla lettera del 17.3.1997, dedotta a sostegno del motivo di gravame, emergeva non solo l’ammissione dell’esistenza di tali lavori, ma anche un’analitica critica in ordine alla loro esecuzione, che si concludeva con l’affermazione per cui, secondo la stessa […], le opere avrebbero potuto essere valutate al massimo lire 5.135.000.
La Corte capitolina riteneva, poi, inammissibile il motivo d’impugnazione che lamentava la mancata ammissione delle prove dedotte per provare i danni arrecati al proprio appartamento durante i lavori di ristrutturazione, poiché la censura non indicava quali mezzi, se ammessi, avrebbero potuto servire allo scopo.
Ancora era infondata la doglianza concernente il mancato riconoscimento del danno da svalutazione, relativamente ai lavori di ripristino, che al momento della loro esecuzione avrebbero avuto un costo superiore a quello indicato dal c.t.u. Infatti, riteneva la Corte distrettuale, la […] non aveva chiesto il risarcimento in forma specifica o l’eliminazione dei vizi, ma aveva agito con un’actio quanti minoris. Inoltre, nei termini logici in cui era stata prospettata dall’appellante, la richiesta non era accettabile perché l’attività di riparazione sarebbe stata rimessa nell’an, nel quando e nel quo modo alla volizione discrezionale della stessa appellante.
Infine, quanto al motivo d’impugnazione che lamentava l’integrale condanna della convenuta alle spese nonostante l’accoglimento solo parziale della domanda proposta dalla […], la Corte capitolina osservava che il regolamento finale non poteva che essere determinato dalla soccombenza complessiva della […].
Per la cassazione di detta sentenza […] propone ricorso affidato a tre motivi.
La […] s.a.s. è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- – Col primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, lamentando che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’istanza di riconvocazione del c.t.u. a chiarimenti in ordine alle note critiche che ella aveva depositato all’udienza dell’8.3.2001, istanza volta ad ottenere un supplemento di accertamenti tecnici sui danni ancora presenti sull’immobile e, quindi, sulla riduzione del prezzo dell’appalto tenendo conto di questi e dei costi relativi ai materiali e al trasporto.
1.1. – Il motivo è infondato.
Infatti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta, non sussistendo la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass. nn. 15666/11 e 17906/03). - – Col secondo mezzo parte ricorrente denuncia come contraddittoria ed “erronea” la motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Deduce che la Corte d’appello, dopo aver ammesso ed espletato la prova per testi circa l’esistenza di un accordo sul termine di 30 gg. per la consegna delle opere, ha contraddittoriamente e paradossalmente ritenuto inammissibile il mezzo, disattendendo le proprie precedenti determinazioni; e che l’altra parte non aveva mai eccepito l’inammissibilità della prova, sicché il Collegio non avrebbe potuto rilevarla d’ufficio.
Sostiene, quindi, in merito alla ritenuta inidoneità della documentazione prodotta a dimostrare il danno da ritardo, che il rilascio dell’appartamento locato non può considerarsi volontario, ma dettato dalla procedura di sfratto in corso. Inoltre, il danno da ritardo risarcibile sarebbe stato relativo non a una, ma a due mensilità (gennaio e febbraio 1997) e, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, il timbro dicente “pagato” apposto sulla fattura n. 152 del 4.2.1997 si riferisce al periodo di tempo compreso fra il 30.1.1997 ed il 15.2.1997. Inoltre, dai documenti prodotti (nn. 11, 12 e 13 fase, primo grado) si evince che l’odierna ricorrente aveva conferito alla ditta […] il trasloco e l’ulteriore attività d’immagazzinaggio dei mobili presso un locale della stessa ditta per l’ulteriore somma di L. 1.000.000.
Formula, quindi, i seguenti, plurimi quesiti di diritto, ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie:
“dica la Suprema Corte se possa essere accolto il principio (…) per cui la Corte d’appello avendo ammesso ed espletato la prova testimoniale sulle circostanze inerenti l’accordo verbale (successivo alla conclusione del contratto) del termine di consegna dei lavori, nonché sui danni verificatisi nell’appartamento e sulle riparazioni eseguite, non possa successivamente dichiarare inammissibile la detta prova per testi ai sensi dell’art. 2722 c.c.”;
“dica la Suprema Corte se possa essere accolto il principio (…) per cui la Corte d’appello, in assenza di una specifica eccezione di controparte sul punto, non poteva d’ufficio rilevare l’inammissibilità della prova testimoniale inerente l’accordo del termine di consegna dei lavori”;
“dica la Suprema Corte se possa essere accolto il principio (…) per cui la Corte d’appello non poteva dichiarare inammissibile tutta la prova testimoniale ai sensi dell’art. 2722 c.c., travolgendo anche le circostanze estranee a detto accordo sul termine per la consegna dei lavori e segnatamente quelle relative ai danni subiti nell’appartamento ed alle riparazioni effettuate”;
“dica la Suprema Corte se possa essere accolto il principio (…)per cui la Corte d’appello non poteva ritenere la documentazione prodotta comunque inidonea a dimostrare il pregiudizio subito dall’appellante in quanto: a) in pendenza di un procedimento coattivo di sfratto è escluso che il rilascio dell’appartamento al locatore sia stato volontario; b) in caso di adempimento dell’appaltatore, l’appellante avrebbe potuto disporre dell’immobile già a metà dicembre ed inoltre la fattura per le spese sostenute nel mese di febbraio 1997 risulta pagata; c) risulta effettuata l’attività di magazzinaggio della mobilia con un costo aggiuntivo di L. 1.000.000 rispetto al costo iniziale di L. 2.700.000 preventivato per il solo trasloco”. 2.1. – Premesso che nonostante la titolazione del motivo, riconducibile al solo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., le argomentazioni svolte e i quesiti formulati dimostrano che è stata dedotta dalla parte ricorrente anche una censura di nullità del procedimento, ai sensi del n. 4 di detto articolo; ciò premesso, il motivo è fondato nei termini e nei limiti che seguono.
2.1.1. – È fermo indirizzo di questa Corte quello secondo cui le limitazioni poste dall’art. 2721 c.c. e ss., all’ammissibilità della prova testimoniale non attengono a ragioni di ordine pubblico, ma sono dettate a tutela di interessi di natura privatistica; pertanto, la loro violazione non solo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma neppure è rilevabile dalle parti ove non sia stata dedotta in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva o, quanto meno, in sede di espletamento della stessa (Cass. nn. 9925/06, 15554/03, 194/02 e 264/97).
Oltre a ciò, va ulteriormente osservato che ove la prova testimoniale sia stata ammessa nonostante l’eccezione d’inammissibilità della parte controinteressata, quest’ultima ha l’onere di eccepire, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo il compimento dell’atto, la nullità della prova ciò non di meno assunta. L’una eccezione, quella d’inammissibilità, non va confusa con l’altra, quella di nullità, ne’ ad essa può sovrapporsi perché, diverse le situazioni di partenza, diversi sono altresì gli interessi che vi sottostanno. La prima eccezione, infatti, opera ex ante per impedire un atto invalido; la seconda, invece, agisce ex post per evitare che gli effetti di esso si consolidino. Valutabili in senso diacronico, detti interessi possono essere apprezzati in modo differente dalla medesima parte, la quale, valutata la prova, può ritenerne vantaggioso l’esito, che per il principio acquisitivo giova o nuoce indipendentemente da chi abbia dedotto il mezzo istruttorio (cfr. Cass. n. 12784/13, non massimata).
Coordinando fra loro i suddetti principi e applicandoli alla fattispecie, si ha che l’inammissibilità della prova testimoniale ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, ma dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma solo eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; una volta espletato il quale, è possibile soltanto dichiarare la nullità della prova assunta, se la medesima parte sollevi tempestivamente la relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2.
2.1.1.1. – Nella specie, la Corte territoriale, dopo aver (in diversa composizione) ammesso ed espletato la prova testimoniale volta a dimostrare che le parti avevano pattuito il termine di 30 gg., a decorrere dall’11.11.1996, per la consegna dei lavori, ha poi ritenuto in sentenza l’inammissibilità del mezzo perché vietato dagli artt. 2722 e 2723 c.c., senza specificare se la […] avesse proposto di un’eccezione d’inammissibilità prima che l’incombente istruttorio fosse ammesso, e un’eccezione di nullità, nel termine di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, della prova così assunta. Pertanto, deve ritenersi illegittima la rilevazione d’ufficio dell’inammissibilità di tale prova.
2.2. – La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, appare viziata da illogicità e insufficienza, lì dove non ha considerato che il rilascio dell’immobile condotto in locazione dalla […] non può assumersi come volontario, nel contesto, affermato dalla stessa sentenza ma non meglio specificato quanto all’esito, di un procedimento di sfratto per morosità, diretto alla formazione di un titolo esecutivo.
2.3. – L’accoglimento del mezzo relativamente alla questione dell’ammissibilità della prova testimoniale sul termine di consegna, assorbe l’esame della censura sulle mensilità di locazione risarcibili, dovendo il giudice di rinvio riconsiderare le stesse alla luce della valutazione dell’eventuale ritardo nella consegna.
2.4. – Attengono, invece, ad un apprezzamento di puro merito, non rinnovabile in questa sede, le obiezioni mosse all’interpretazione della fattura n. 152 del 4.2.1997 e dei documenti (nn. 11, 12 e 13) riguardanti le spese di trasloco e d’immagazzinaggio dei mobili durante la dedotta protrazione dei lavori. - – Col terzo mezzo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, senza che ne’ nell’intitolazione, né nel corpo del motivo siano minimamente indicate le disposizioni di cui la sentenza impugnata avrebbe operato il malgoverno (la sola norma citata è quella dell’art. 2722 c.c., ma non quale oggetto di violazione o falsa applicazione, bensì solo cautelativamente per rimarcare che la deposizione del teste […], sentito in merito ai lavori effettuati dalla […] a seguito dell’intervento della […], avendo ad oggetto un fatto storico è sicuramente ammissibile).
Segue il quesito: “dica la Suprema Corte se possa essere o meno dichiarato inammissibile l’appello sotto il profilo della richiesta dei mezzi di prova in quanto non esplicitati nell’atto d’appello, ma indicati per relationem con espresso rinvio alle richieste istruttorie formulate in primo grado, tenuto conto che invece la richiesta d’integrazione di c.t.u. è stata espressamente riformulata dall’appellante ed ignorata dal Collegio e che la prova testimoniale è stata invece espletata nel giudizio di gravame”.
3.1. – Il motivo è inammissibile, sia per il totale difetto d’indicazione delle norme violate, sia in quanto la doglianza esplicitata nel quesito – che semmai denuncia una nullità per omessa pronuncia – è generica e non autosufficiente, non essendo precisato quali sarebbero le prove ammissibili, ma non esaminate. Inoltre, l’unica prova che la ricorrente chiarisce di aver chiesto invano è la rinnovazione di c.t.u., che – in disparte quanto già rilevato al paragrafo 1.1. che precede – pur potendo condurre all’accertamento di fatti non altrimenti dimostrabili, non è un mezzo di prova e non ricade sotto il relativo principio dispositivo di cui all’art. 115 c.p.c.. - – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che nel decidere il merito si atterrà al seguente principio di diritto: “l’inammissibilità della prova testimoniale ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, ma dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma solo eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; una volta espletato il quale, è possibile soltanto dichiarare la nullità della prova assunta, se la medesima parte sollevi tempestivamente la relativa eccezione nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2”.
[…]