T.A.R. della Campania, Sezione Terza, Sentenza n. 3321 del 2018, pubbl. il 21/05/2018

[…]

FATTO

Con ricorso notificato il 16.11.2017 e depositato il giorno 20 successivo, […] – nella dedotta qualità di titolare di esercizio commerciale di […] con sede principale in […], che, a seguito di regolare SCIA protocollata il […]2016, aveva avviato l’attività del suo ulteriore esercizio, già allocato alla via […], nei nuovi locali resi disponibili in […] – ha impugnato, innanzi a questo Tribunale l’ordinanza n. [..]2017 del 23.10.2017, (prot.n.[…] reg. gen., doc.6) in epigrafe, con cui iI Responsabile del S.u.a.p. comunale, richiamata l’ordinanza n. […] del 13.10.2017, a firma del Responsabile dell’Ufficio Tecnico, notificata d’ufficio il giorno 13.10.2017, che ordina a […], proprietaria dell’unità immobiliare sita in […], la demolizione delle opere realizzate abusivamente ed il ripristino dello stato dei luoghi, annullava d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241/1990 l’autorizzazione amministrativa rilasciata a seguito della presentazione della suddetta S.c.i.a. ed ordinava alla ditta […], in titolarità […], con sede in […] la chiusura immediata dell’attività commerciale per violazione di specifiche disposizioni di legge vigenti in materia urbanistico-edilizia, avvertendo che in caso di inottemperanza, la ditta verrà deferita alla Procura della Repubblica per violazione dell’art. 650 del Codice Penale e si procederà alla chiusura coatta dell’esercizio di vicinato, mediante l’apposizione dei sigilli.
All’uopo, evidenziato che l’ordinanza di demolizione n° […] 2017 del 13.10.2017, richiamata quale presupposto dell’impugnata ordinanza commerciale e con la quale si assume la realizzazione di non meglio specificate opere abusive, non le era mai stata notificata, parte ricorrente, premette, in fatto, che:
– a distanza di oltre 5 mesi dall’inoltro della SCIA e dall’avvio dell’attività, in data 26.5.2017 con nota prot. […] (doc.2), l’ufficio SUAP del Comune di […] inoltrava comunicazione di avvio procedimento per l’integrazione della pratica con la trasmissione del certificato di agibilità, alla quale la ricorrente dava riscontro con nota inviata via PEC in data 23.6.2017 (doc.3) con la quale, pur chiarendo l’insussistenza di ogni carenza e la conformità degli atti alla sopravenuta disciplina, trasmetteva nuovamente la SCIA (Segnalazione Certificata di Agibilità) protocollata fin dal dicembre precedente al Comune di […] (doc.4);
– in esito a detta nota il responsabile dell’ufficio SUAP del Comune di […], con nota prot. […] del 3.7.2017 indirizzata all’UTC ed al sindaco (doc.5), nel dare atto che in realtà la pratica risultava essere del tutto corretta (“la documentazione era completa ed idonea, per cui veniva accettata e trasmessa all’ASL competente per la registrazione”), rappresentava di aver avviato comunque, a seguito di segnalazione dell’Ufficio Tecnico di carenza di agibilità, la suddetta comunicazione di avvio di procedimento amministrativo con richiesta di attestare l’agibilità, procedimento che di fatto veniva (favorevolmente) concluso “dato che la ditta ha comunicato che in data 12.12.2016 ha depositato presso l’Ufficio tecnico comunale la Segnalazione Certificata di Agibilità, in rispetto della normativa vigente e che da allora non ha ricevuto alcuna comunicazione di provvedimenti inerenti detta segnalazione” (vedasi la citata nota dell’ufficio SUAP del comune di […], doc.5);
– avverso l’ordinanza di demolizione n. […] del 13.10.2017 (asseritamene mai notificata alla ricorrente) la proprietaria dell’immobile, […], ha proposto ricorso innanzi al T.A.R. Campania, sez. II, R.G. n. 5156/2017, tuttora pendente.
A seguito della notifica della impugnata ordinanza di chiusura immediata n°[…]/2017 del 23.10.2017, il Comune di […], già in data […] 2017, a mezzo dei suoi Vigili Urbani effettuava sopralluogo onde verificare l’ottemperanza alla ordinanza medesima, assegnando, con verbale in pari data (doc.7), il termine di giorni 3 per provvedere, attesa l’inottemperanza; ciò sebbene che la ricorrente avesse inoltrato, nella stessa data del […]17, istanza di revoca in via di autotutela della suddetta ordinanza (doc.8).
Si è costituito in giudizio l’intimato Comune, preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso e, nel merito, sostenendone l’infondatezza, all’uopo analiticamente controdeducendo alle avverse censure.
Con atto depositato in data 21.3.2018, in rappresentanza della ditta individuale […] si è costituito in giudizio l’Avvocato […], in aggiunta del precedente difensore, facendo proprie tutte le precedenti difese.
Con ordinanza n. 1968 del 13 dicembre 2017 questa Sezione ha respinto l’istanza cautelare;
Il Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza n. 634 del 13 febbraio 2018, in riforma della suddetta ordinanza, ha accolto l‘istanza cautelare.
Alla pubblica udienza dell’8 maggio 2018 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal resistente Comune a motivo dell’omessa impugnativa da parte di […], quale affittuaria dei medesimi locali ove esercita attività commerciale, già oggetto dell’ordinanza di demolizione n. […] del […] 2017 emessa nei confronti della proprietà dall’Ufficio Tecnico comunale e rispetto alla quale il provvedimento odiernamente impugnato apparirebbe consequenziale.
Orbene, anche a voler configurare la sussistenza di un onere di impugnativa di tale ordinanza (oltre ovviamente che a carico della proprietaria, espressa destinataria della stessa, che risulta avere impugnata l’ordinanza, anche) in capo all’affittuaria, odierna ricorrente, per la circostanza di esercitare attività commerciale nei locali (alla quale sarebbe comunque inibito l’esercizio della predetta attività, una volta che l’ordinanza di demolizione fosse portata ad esecuzione) va rilevato che il Comune di […], al di là della generica affermazione che la predetta ordinanza è stata conosciuta per la circostanza che risulta allegata alla documentazione di parte ricorrente, non ha fornito alcuna prova decisiva della notifica dell’ordinanza de qua (oltre che alla proprietaria […], anche) all’affittuaria […].
Vero è piuttosto che la mancata impugnativa degli atti relativi agli aspetti edilizi da parte della odierna ricorrente non comporta l’inammissibilità dell’impugnativa per vizi degli atti conseguenziali adottati dal Comune relativamente all’attività commerciale, ferma restando l’inammissibilità delle censure strettamente pertinenti gli atti presupposti non ritualmente impugnati dall’interessata.
Ciò posto, nel merito, con la prima censura si deduce la violazione della legge n. 241/1990, art. 21 nonies, oltre all’eccesso di potere (per sviamento, carenza di presupposti e di motivazione, contraddittorietà manifesta), al riguardo rilevandosi che:
– come risulta pacifico dallo stesso provvedimento impugnato, la ricorrente aveva inoltrato al S.u.a.p. del Comune di […] fin dal dicembre 2016 regolare SCIA, per negozio di […] in […] ed altrettanto pacifico è che rispetto ad essa la P.A. non aveva esercitato alcun potere di controllo e di inibizione nel rispetto dei modi e dei termini (60 gg) ad esso assegnati, mentre successivamente, a distanza di oltre cinque mesi, e precisamente con comunicazione del 26.5.2017 prot. […], l’Ufficio SUAP del comune di […], assumendo una presunta mancanza di agibilità, preannunciava l’avvio del procedimento finalizzato all’annullamento degli effetti della SCIA, chiedendo “di presentare allo scrivente SUAP. ai fini della completezza e regolarità, attestato di agibilità”;
– a detta comunicazione dava riscontro la ricorrente con la nota PEC del 23.6.2017 con la quale rappresentava le ragioni per le quali la SCIA non poteva ritenersi carente, segnalando che per l’art. 24 del DPR 380/01, così come modificato dal d. lgs. 222/2016, la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità, sono attestati mediante SCIA, Segnalazione Certificata di Agibilità, ritualmente depositata in data 12.12.2016 dalla proprietaria presso i competenti uffici comunali. E che veniva trasmessa nuovamente per il tramite della ricorrente e ricevuta detta comunicazione, l’Ufficio SUAP del Comune di […] non assumeva nell’immediato alcun provvedimento, anzi relazionava all’Ufficio Tecnico ed al Sindaco dando atto che in realtà la pratica fin dall’inizio risultava essere del tutto corretta (“la documentazione era completa ed idonea, per cui veniva accettata e trasmessa all’ASL competente per la registrazione”) e che a seguito della comunicazione di avvio di procedimento la ditta aveva provveduto agli adempimenti sopra specificati “in rispetto della normativa vigente” (vedasi nota dell’Ufficio Suap del comune di […] del 3.7.2017 prot. […], doc.5);
– pur tuttavia, con l’ordinanza impugnata, del tutto illogicamente e contraddittoriamente, con le acquisizioni disposte dallo stesso ufficio, il SUAP ha provveduto all’annullamento d’ufficio della SCIA relativamente all’attività di […] della ricorrente ed a disporne la chiusura immediata, tra l’altro evocando una sopravvenuta ordinanza di demolizione opere, la n°11/2017 del 13.10.2017, mai notificata alla ricorrente;
– nulla risulta dedotto e rilevato con il provvedimento impugnato circa l’avvenuta presentazione della Segnalazione Certificata di Agibilità pur richiesta con la comunicazione di avvio del procedimento, già prodotta e comunque trasmessa agli atti dalla ricorrente; nulla risulta dedotto e rilevato circa la sussistenza dell’interesse pubblico attuale e concreto all’eliminazione del provvedimento medesimo, che giustifichi il particolare sacrificio imposto al privato in relazione alla sua posizione giuridica nel tempo radicatasi per effetto del formato titolo a sé favorevole, così come, del resto, previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, della Legge n. 241 del 1990; in nessun modo si è tenuto conto degli interessi dei destinatari del provvedimento, così come imposto dalla medesima disposizione di legge testé richiamata; quanto innanzi inficia sotto diversi aspetti il provvedimento impugnato;
– in primo luogo in quanto enuncia la mancanza dei presupposti richiesti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio: la pratica era “completa ed idonea”, fin dall’inizio, è lo stesso ufficio che l’attesta con la nota del 3.7.2017 prot. […]. Non solo anche l’integrazione disposta in data 23.6.2017 a seguito della comunicazione di avvio del procedimento del 26.5.2017 viene ritenuta “in rispetto della normativa vigente”. Quindi non vi era alcun presupposto per l’annullamento d’ufficio che pur tuttavia del tutto astrusamente e contraddittoriamente viene disposto;
– in secondo luogo emerge l’assoluta carenza di una motivazione, espressamente richiesta per il tipo di provvedimento adottato, che fosse non solo congruente con la comunicazione di avvio del procedimento, ma compiuta in ordine all’interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo formatosi in capo alla ricorrente da un lato, ed alla comparazione dello stesso con l’interesse di quest’ultima quale destinataria dell’incisivo provvedimento pur espressamente richiesta per tale tipo particolare di provvedimento, dall’altro lato;
– è giurisprudenza anche recente quella secondo la quale “In tema di autotutela, la rimozione d’ufficio di un atto favorevole esige una articolata esplicitazione delle ragioni di interesse generale che impongono l’eliminazione dell’atto invalido, attraverso la chiara esemplificazione degli effetti concreti che si assumono contrastanti con i valori tutelati dall’ordine legale infranto, per come atteggiantesi nello specifico contesto empirico e non per come astrattamente considerati dalla disciplina normativa” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13/07/2017, n. 3462 la quale non ha mancato di puntualizzare, prendendo la stura dalle recenti modifiche apportate all’istituto dalla L.124/2015, che “il rafforzamento della tutela dell’affidamento si è manifestata anche nella direzione della ridefinizione dei rapporti fra autotutela e SCIA, con la più rigida perimetrazione dei poteri inibitori e conformativi attribuiti all’amministrazione destinataria della segnalazione”),. con la conseguenza che una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa consacrata nel testo dell’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 deve, quindi, spingersi fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata” (Consiglio di Stato sez. VI 27 gennaio 2017 n. 341 e nello stesso senso tra le tante, Consiglio di Stato sez. VI 01 settembre 2016 n. 3787 Consiglio di Stato sez. VI 11 luglio 2016 n. 3044);
– nel medesimo solco infine si pone anche la giurisprudenza dei Tribunali Regionali, ivi compresa quella dell’Intestata Giustizia (T.A.R. Napoli, sez. VIII 24 aprile 2017 n. 2227 secondo la quale “L’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo richiede necessariamente un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della P. A., entro un termine ragionevole, non essendo, pure nella materia edilizia, sufficiente l’intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata” e nello stesso senso, tra le tante, T.A.R. Bologna sez. II 15 febbraio 2017 n. 127, T.A.R. Venezia sez. III 26 luglio 2016 n. 893, T.A.R. Napoli sez. VI 15 luglio 2016 n. 3552, T.A.R. L’Aquila sez. I 12 maggio 2016 n. 287).
La censura non è fondata.
Ai fini di una corretta qualificazione del provvedimento impugnato si segnala anzitutto l’improprietà della terminologia utilizzata dal Comune di […] (annullamento d’ufficio della S.c.i.a., ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241/1990) nell’identificare il provvedimento oggetto della presente giudizio che ha condotto all’errore di ritenersi formato un provvedimento di autorizzazione tacito, atteso a fronte di un atto del privato, quale è e resta la segnalazione certificata di attività, anche dopo il decorso del periodo di 2 mesi per il suo consolidamento, alcun atto di annullamento è configurabile nei suoi riguardi, mentre l’atto che inibisce o conforma l’attività oggetto di segnalazione può, più correttamente, qualificarsi quale declaratoria di inefficacia della S.c.i.a.
Ciò trova conferma nella disciplina e nella terminologia posta dall’art. 19 della legge n. 241 1990, laddove, dopo aver previsto al comma 3, che << 3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa (…), al comma 4 soggiunge che: << 4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies (…) >>, in tal modo lasciando intendere che i provvedimenti che vietano la prosecuzione o conformano l’attività oggetto di segnalazione, pur potendo adottarsi unicamente in presenza delle medesime condizioni richieste per l’esercizio del potere di autotutela dall’art. 21-nonies, non possono qualificarsi quali atti di annullamento.
Ciò precisato, l’impugnata ordinanza assume tra i presupposti, in primo luogo, la richiesta di integrazione con conseguente avvio di procedimento amministrativo per la verifica della sussistenza dell’agibilità dei locali in cui viene svolta l’attività (quella sopra richiamata, inviata via PEC in data 26.5.2017, alla quale come si è già detto, si era già dato puntualmente riscontro con nota PEC in data 23.6.2017). Inoltre, a seguito del richiamo all’ordinanza di demolizione n°[…] 2017 del 13.10.2017 non notificata alla ricorrente, ma rivolta alla proprietaria dell’immobile, […], relativamente ad opere realizzate abusivamente è stata adottata sul presupposto che la regolarità urbanistico-edilizia è prescritta per ogni attività commerciale, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire di inibire l’esercizio in locali rispetto ai quali è stata accertata l’abusività delle opere realizzate (cfr. C. di S., sez. VI, 23.10.2015, n. 4880).
Prendendo le mosse da tale ultimo profilo, questa Sezione in passato già ha avuto modo di occuparsi di analoghe fattispecie rilevando che: << Il Tribunale ha in passato osservato, in linea con il proprio costante orientamento, che “non può revocarsi in dubbio che il legittimo esercizio di un’attività commerciale sia ancorato, sia per l’intera durata del suo svolgimento, alla disponibilità giuridica e alla regolarità urbanistico – edilizia dei locali in cui essa viene posta in essere (cfr. T.A.R. Campania, sez. III, 9 settembre 2008, n. 10058; Id., 9 agosto 2007, n. 7435; Id. 27 gennaio 2003, n. 423; Id., 22 novembre 2001, n. 5007),
In argomento, anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di osservare che “la conformità dei manufatti alle norme urbanistico – edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 e 35, comma 20, L. n. 47 del 1985; del resto, risponde ad un evidente principio di ragionevolezza escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione è preordinata la disciplina urbanistico – edilizia” (cfr. Consiglio Stato, V, 30 aprile 2009 , n. 2760; in senso analogo T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 1 agosto 2012, n. 1447; T.A.R. Campania Napoli, VII, 21 dicembre 2012 n. 5293).
Nella fattispecie, la regolarità urbanistico-edilizia dei locali nei quali era iniziato lo svolgimento dell’attività oggetto di segnalazione era stata messa in discussione dall’ordinanza di demolizione n. […] del 13.10.2017, circostanza che, per quanto anzidetto, senz’altro non poteva non avere un “effetto di trascinamento” sull’attività commerciale svolta nei medesimi locali.
Infatti è assolutamente da escludere, sul piano logico prima ancora che giuridico (per la contraddizione che nol consente), che possa essere tollerata la prosecuzione di un’attività commerciale in locali per i quali la stessa amministrazione ha disposto la demolizione con un provvedimento che, sebbene aliunde impugnato, conserva la sua efficacia vincolante fino a quando non è sospeso o annullato nelle forme previste dall’ordinamento.
Infatti anche in caso di impugnazione della predetta ordinanza, atteso che quest’ultima, allo stato, non risulta sospesa (né tantomeno annullata, attesa la pendenza del giudizio intrapreso dal proprietario), per modo che non si coglie la ragione per la quale essa non possa e debba continuare a fungere da presupposto dell’impugnato provvedimento di “annullamento della S.c.i.a.”.
Appare evidente che non può essere la mera impugnativa proposta dalla proprietà e la pendenza del giudizio a far venir meno l’esecutività dell’ordinanza n. 11 del 15.10.2017, e con esse l’esplicazione di tutti gli effetti ad essa conseguenti.
In sostanza alla necessità di dovere, in ogni caso, ottemperare all’ordinanza di demolizione con la conseguente pratica impossibilità di svolgere qualsiasi attività ospitata nei locali ricompressi nell’unità immobiliare oggetto della sanzione ripristinatoria.
In tal situazione l’Amministrazione comunale non poteva e non doveva far altro che ritenere preclusa la prosecuzione dello svolgimento dell’attività commerciali nei predetti locali.
Venendo all’altro presupposto addotto a fondamento dell’impugnato provvedimento (peraltro strettamente collegato al primo, afferente alla più generale questione della necessaria piena conformità urbanistica ed edilizia dei locali sopra esaminata), ossia che a seguito della ricezione in data 16 dicembre 2016 da parte del S.u.a.p. della S.c.i.a. prodotta da […], nella spiegata qualità, in esecuzione di nota trasmessagli dal responsabile dell’U.T.C. il Responsabile S.u.a.p., tramite P.e.c., formulava richiesta di integrazione con conseguente avvio del procedimento amministrativo per la verifica della sussistenza dell’agibilità dei locali in cui viene svolta l’attività richiedendo l’integrazione della pratica con la trasmissione del certificato di agibilità, alla quale la ricorrente dava riscontro con nota inviata via PEC in data 23.6.2017 (doc.3) con la quale, pur chiarendo l’insussistenza di ogni carenza e la conformità degli atti alla sopravenuta disciplina, ritrasmetteva nuovamente la SCIA (Segnalazione Certificata di Agibilità) protocollata fin dal dicembre precedente al Comune di […] (doc.4).
In proposito, assume parte ricorrente che il procedimento di agibilità di fatto si sarebbe (favorevolmente) concluso “dato che la ditta ha comunicato che in data 12.12.2016 ha depositato presso l’Ufficio tecnico comunale la Segnalazione Certificata di Agibilità, in rispetto della normativa vigente e che da allora non ha ricevuto alcuna comunicazione di provvedimenti inerenti detta segnalazione” (cfr. nota del 3.7.2017 del Responsabile SUAP del Comune di […], doc.5).
In contrario però deve rilevarsi che dalla circostanza appena riferita alla ricorrente non può dedursi che si sia formato il silenzio assenso sull’agibilità, come vorrebbe parte ricorrente atteso che il Responsabile S.u.a.p. del Comune di […] si è limitato a significare nella nota del 3.7.2017 che il decreto legislativo 25 Novembre 2016, n. 22 che ha modificato l’art. 24 (agibilità) si è rappresentata la necessità di valutare “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, secondo quanto dispone la normativa vigente”, soggiungendo che “la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata”, conseguentemente rappresentando la necessità di essere informato dall’ufficio Tecnico comunale, competente ai controlli dell’agibilità degli edifici, all’uopo invitando “Per tutti i motivi espressi in narrativa, ad attivarsi per dotare l’ufficio Tecnico di un Responsabile, affinché risponda alle richieste di questo ufficio per gli adempimenti da adempiere”.
Pur con tali doverose precisazioni, deve, però, rilevarsi che tutte le questioni di natura urbanistica ed edilizia relative ai locali nei quali viene svolta l’attività commerciale dalla ditta individuale […], in titolarità di […], risultano oggetto del giudizio – tuttora pendente – instaurato dalla proprietaria dell’immobile avverso l’ordinanza di demolizione n. 11 del 13.10.2017 tuttora pendente innanzi al T.A.R. della Campania, sez. II, al n. 5156/2017 R.G.
Tuttavia, pur con tali premesse e considerato che la verifica dell’agibilità dei locali è questione prioritaria direttamente richiamata nel provvedimento in questa sede impugnato tra i presupposti del disposto “annullamento della s.c.i.a.”, il Collegio non può esimersi dal rilevare che la relativa questione non è altro che un aspetto speculare e di rilievo non secondario della regolarità urbanistica ed edilizia dei locali attenzionati.
Ma tale è altra questione, oggetto dell’altro giudizio instaurato dalla proprietà dell’immobile, né è questa la sede, in difetto di una specifica impugnativa da parte della ricorrente dell’ordinanza n. 11 del 2017, per distinguere – come vorrebbe parte ricorrente – fra abusività totale e mere irregolarità per concludere nel senso che il vizio non era poi così grave, dovendosi, conseguentemente, ritenere venuto meno il presupposto della regolarità urbanistica a fondamento dell’” annullamento della S.c.i.a.”
In questa sede, e con tutte le riserve sopra espresse al riguardo, si segnala la sentenza di questa Sezione n. 2191 del 17 aprile 2014, con la quale il Tribunale osserva che: << la perdurante e attuale situazione di irregolarità urbanistica dell’ immobile in cui parte ricorrente svolge la propria attività e la conseguente carenza ab origine del requisito di agibilità dei locali determinano la impossibilità di conseguire, anche eventualmente per silentium, i titoli abilitativi commerciali, secondo quanto reiteramente affermato dal giudice amministrativo e anche da questo Tribunale: “la conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, d.P.R. n. 380/01, e 35, comma 20, l. n. 47/85, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata. Conseguentemente, il meccanismo del silenzio assenso non può essere invocato allorché manchi il presupposto stesso per il rilascio del certificato di agibilità, costituito dal carattere non abusivo del fabbricato in relazione al quale sia stata presentata l’istanza tesa ad ottenere il certificato menzionato; invero, se in linea generale il tacito accoglimento di una domanda si differenzia dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale, è necessario allora che sussistano tutti gli elementi soggettivi e oggettivi che rappresentano elementi costitutivi della fattispecie di cui si invoca il perfezionamento” (TAR Napoli, sez. II, 21 febbraio 2013, n.969. TAR Salerno, sez. , 13 giugno 2013, n.1325) >>.
Nella fattispecie il resistente Comune ragguaglia nel senso che in realtà l’originario parere favorevole era reso sulla base della mendace dichiarazione della ricorrente stessa per la quale i locali destinati all’esercizio commerciale non presentavano irregolarità dal punto di vista urbanistico ed edilizio. Tale presupposto, tuttavia, veniva meno a seguito dell’accertamento dell’abusività dei locali commerciali operato dalla citata ord. n. 11 del 2017 dell’UTC.
Infine c’è da rilevare che l’art. 21.nonies citato, per l’esercizio del potere (discrezionale) di autotutela, non ritiene sufficiente la necessità di ripristinare la legalità violata, ma richiede necessariamente anche l’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto di cui darsi conto nella motivazione che ne esce così rafforzata, mentre nella fattispecie in esame l’annullamento si presenterebbe quale doveroso, attesa – allo stato – la non conformità urbanistica ed edilizia dei locali,
Al riguardo basterà il richiamo a quella giurisprudenza per la quale, in alcuni casi, l’annullamento ex art.21nonoes, L. n.241/1990, si pone come doveroso in quanto: << Se è vero che la giurisprudenza amministrativa successiva alla codificazione della disciplina dell’istituto nell’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 15 del 2005, ha ribadito la necessaria presenza, a sostegno della legittimità del provvedimento di autotutela, di un interesse pubblico “ ulteriore ” rispetto al mero ripristino della legalità violata, tuttavia non si è escluso che, in limitate ipotesi, il mero riscontro dell’illegittimità possa giustificare l’annullamento d’ufficio, così introducendo alcune eccezioni alla richiamata regola della necessaria valutazione di un interesse pubblico “ulteriore”: si tratta delle ipotesi in cui il provvedimento di riesame comporti “in re ipsa” la soddisfazione di un interesse pubblico “non ponderabile”, consistente, appunto, nel ripristino della legalità violata: così l’annullamento d’ufficio disposto in ottemperanza ad una decisione del g.o. passata in giudicato che abbia ritenuto illegittimo un atto amministrativo; l’annullamento d’ufficio a seguito di una decisione di un’autorità di controllo cui non competa direttamente il potere di annullare l’atto; l’annullamento di un atto dipendente, come necessaria conseguenza dell’annullamento (giurisdizionale o amministrativo) dell’atto presupposto >> (T.A.R. Napoli, Campania, sez. II, 07/10/2010, n. 18004). Deve pertanto ritenersi che il provvedimento impugnato motiva l’annullamento dell’autorizzazione richiamandosi alla giurisprudenza per la quale l’autorità amministrativa ha il potere-dovere di inibire le attività commerciali svolte in locali di cui sia stata accertata l’abusività (Cons. St. sez. VI, sent. n. 4880 del 2015), attingendo il proprio obbligo di motivazione in ragione dell’espressa previsione in tal senso dell’art. 21nonies, co. II-bis, della l. n. 241 del 1990.
Con la seconda censura si deduce la violazione, sotto plurimi profili, delle norme sul procedimento, la violazione della legge 241/1990, oltre all’l’eccesso di potere per sviamento e carenza di motivazione, risultando, infatti, l’impugnato provvedimento inficiato:
– per violazione delle prescrizioni di cui al comma 2 dell’art. 8 citata legge, in quanto la comunicazione di avvio del procedimento, ravvisabile nella nota dell’Ufficio SUAP del 26 maggio 2017 prot. […], non reca le indicazioni dell’ufficio e della persona responsabile del procedimento, della data entro la quale, secondo i termini previsti dall’ articolo 2, commi 2 o 3, legge 241/1990 deve concludersi il procedimento, dei rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione; dell’ufficio in cui si può prendere visione degli atti;
– per violazione dell’art. 10 della legge 241/1990 in quanto l’amministrazione non ha tenuto in alcun conto delle comunicazioni rivolte dalla ricorrente con la nota PEC del 23.6.2017 nella quale la stessa ha rappresentato le ragioni per le quali la SCIA non poteva ritenersi carente nonché aveva trasmesso la documentazione della segnalazione certificata di agibilità, neppure presa in considerazione, con il provvedimento qui impugnato, sebbene lo stesso ufficio avesse ritenuta la pratica già “completa ed idonea” fin dalla presentazione della SCIA e poi dopo l’avvio del procedimento correttamente integrata “in rispetto della normativa vigente” (vedasi nota dell’Ufficio Suap del comune di […] del 3.7.2017 prot. […]);
– per violazione dell’art. 10 bis stessa legge 241/1990 non essendosi provveduto da parte dell’Ufficio a comunicare le ragioni ostative all’accoglimento delle osservazioni nel provvedimento finale, che non risultano proprio richiamate con evidentissima violazione di ogni garanzia partecipativa assicurata dall’ordinamento, specie nella materia che ci occupa, dove è in gioco un titolo abilitativo formatosi in testa alla ricorrente, in virtù del quale la stessa svolge la propria attività imprenditoriale;
– in giurisprudenza non sono mancate pronunce tese ad affermare che “L’omessa attenta valutazione da parte della Pubblica amministrazione in sede procedimentale e provvedimentale delle osservazioni del privato è omissione che determina la violazione dell’obbligo sancito dall’art. 10, l. 7 agosto 1990, n. 241, che è appunto quello di valutare adeguatamente le memorie prodotte dall’interessato in seno al procedimento, ove esse siano pertinenti.” (T.A.R. Ancona sez. I 03 giugno 2017 n. 418, T.A.R. Cagliari sez. II 16 dicembre 2015 n. 1199, T.A.R. Napoli sez. VIII 27 giugno 2014 n. 3592);
L’ordine di idee di parte ricorrente non è condivisibile.
La ricorrente lamenta poi alcuni vizi formali che si sostanzierebbero nella violazione degli artt. 2-8 della l. n. 241 del 1990, ma, a prescindere dalla circostanza che tale motivo di ricorso appare pretestuoso, non avendo l’atto impugnato violato alcuna disposizione procedimentale, decisivo è il rilievo che, in ogni caso, il contenuto del provvedimento appare vincolato, stante l’obbligo della p.a. di inibire l’esercizio di attività commerciali svolte in locali di cui è stata ordinata la demolizione. Ne consegue che il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, ciò che rende, nel caso di specie, applicabile l’art. 21octies, co. II, della l. n. 241 del 1990. Tale rilievo priva di pregio, ad avviso della giurisprudenza, anche il presunto vizio di cui la ricorrente si duole a causa della presunta difformità tra la motivazione del provvedimento impugnato e quella indicata in sede di comunicazione di avvio del procedimento (TAR Lazio, sez. III, sent. n. 2687 del 2013; Cons. St., sez. IV, sent. n. 1018 del 2014).
La giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato come le regole della partecipazione non vadano applicate in modo formalistico, ma lette alla luce dei criteri di ragionevolezza, proporzionalità, logicità ed adeguatezza, sicché la pretesa partecipativa del soggetto interessato va razionalmente correlata alla peculiarità della vicenda procedimentale in cui essa si colloca.
Ne consegue che l’apporto collaborativo delle ditte, in questa fase, non sarebbe comunque in grado di influire nel processo di formazione del provvedimento finale, rigidamente vincolato. È appena il caso di osservare, in proposito, che la recente l. 11 febbraio 2005 n. 15, recante modifiche alla l. n. 241 del 1990, ha introdotto l’art. 21 octies il quale dispone che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio dei procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. La disposizione rappresenta comunque la traduzione di un diffuso orientamento teso a valorizzare la portata sostanziale del principio partecipativo, esaltandone la funzione ove il contributo del privato sia realmente suscettibile di giovare alla decisione finale. (T.A.R. Brescia, (Lombardia), 23/05/2005, n. 554).
Quanto alla mancata analitica confutazione di quanto comunicato invita dalla […] con la nota PEC del 23.6.2017 basta rilevare che l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti presentati dagli interessati nel corso del procedimento amministrativo non impone all’amministrazione una formale, analitica confutazione in merito ad ogni argomento ivi esposto, essendo sufficientemente adeguata un’esternazione motivazionale che renda, nella sostanza, percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle loro deduzioni partecipative. (Cfr. T.A.R. Salerno sez. I, 09/01/2015, n. 53).
Con la terza censura si deduce la violazione dell’art. 22 D.LGS. n. 114 del 1998, oltre all’eccesso di potere per sviamento, in quanto, subordinatamente il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo nel merito delle sue disposizioni, per chiara violazione delle norme di cui al citato d. lgs. 114/1998.
Infatti com’è noto e pacifico, per costituire anche consolidata giurisprudenza dell’Intestato Tribunale (cfr. TAR. Napoli sez. III, 12/03/2012, n. 1244, T.A.R. Napoli sez. III 2/3/2010 n. 1253), l’art.22 del detto d.lgs. n. 114/1998, consente la chiusura dell’attività commerciale esclusivamente quando il titolare:
a) sospende l’attività per un periodo superiore ad un anno;
b) non risulta più provvisto dei requisiti di cui all’articolo 5, comma 2;
c) nel caso di ulteriore violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell’attività disposta ai sensi del comma 2, o infine, ai sensi del comma 6, “in caso di svolgimento abusivo dell’attività”.
In tale concetto, pur tuttavia, non rientra lo svolgimento dell’attività in locali in cui siano stati realizzati abusi edilizi. Essi infatti vanno autonomamente sanzionati con le misure all’uopo predisposte dal DPR n. 380/01 (T.U sull’edilizia), con la conseguenza che l’Ufficio SUAP del comune di […] ha fatto mal governo della disciplina approntata dalle disposizioni di legge pur richiamate. Ed anzi dallo stesso tenore degli atti acquisiti alla pratica, nonché dalla stessa motivazione assunta a fondamento della disposta chiusura, emerge chiaramente che essa ha rappresentato l’esito di iniziative spinte da soggetti estranei al procedimento (“vari esposti presentati”, di cui si fa menzione nella nota prot. […] del 3.7.2017 dell’Ufficio Suap diretto all’UTC).
La censura non coglie nel segno.
In proposito inconferente è il richiamo all’art. 22 del d. lgs. n. 114 del 1998 che dispone la chiusura immediata dell’esercizio in caso di attività abusiva, asserendo che nelle ipotesi contemplate dal rubricato art. 22 non rientra lo svolgimento di attività in locali in cui siano stati realizzati abusi edilizi.
Come sopra rilevato, la base giuridica dell’impugnato provvedimento è costituita dall’art. 21nonies, co. II-bis, della legge sul procedimento amministrativo, che non è derogata dalla disposizione richiamata dal ricorrente e dispiega, pertanto, il proprio effetto legittimante nei riguardi dell’atto impugnato che appare meramente consequenziale rispetto al titolo legittimante l’attività.
In sostanza, non si dispone la sanzione della chiusura per violazioni commesse nello svolgimento dell’attività, ma, a monte della stessa, per il venir meno, a monte della stessa, del titolo abilitante, nel caso di specie – la S.c.i.a. (a sua volta caducato per il l’insussistenza del presupposto urbanistico-edilizio).
Con la quarta censura è dedotta la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa, oltre all’eccesso di potere (per carenza di istruttoria e di motivazione), al riguardo rilevandosi che:
– in ogni caso, seppur si intendesse sussistente la mancanza di agibilità, il che decisamente si nega, essa comunque non avrebbe potuto giustificare in alcun caso l’emanazione di un provvedimento così incisivo come l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo e la chiusura dell’esercizio, dovendo l’azione amministrativa esplicarsi attenendosi al fondamentale principio, di impianto costituzionale, della ragionevolezza e quindi della proporzionalità che invece risulta irrimediabilmente violato nel caso di specie;
– è giurisprudenza dell’Intestata Giustizia che “E’ illegittimo il provvedimento con il quale l’Amministrazione, successivamente all’autorizzazione di apertura di un esercizio commerciale, ne disponga in autotutela la chiusura per mancanza di un requisito (certificato di agibilità) laddove tale provvedimento non sia stato preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento e quindi senza l’ osservanza delle garanzie procedimentali dettate dalla legge n.241/90 e anche per la sproporzione e mancata considerazione dell’interesse della società privata alla prosecuzione dell’attività illo tempore autorizzata, atteso che – pur in mancanza di ragioni sostanziali di insalubrità, antigienicità o non agibilità dei locali (non palesandosi di alcuna gravità le carenze igienico-sanitarie rilevate) ha disposto senz’altro la cessazione dell’attività commerciale per il solo motivo formale della mancanza del certificato di agibilità (in tali precisi termini, T.A.R. Napoli sez. III 04 ottobre 2011 n. 4626 ma vedasi anche T.A.R. Napoli sez. III 04 ottobre 2011 n. 4624).
La censura non merita condivisione.
Come rilevato in occasione della disamina della precedente censura nel caso di specie, nonostante il richiamo all’art. 22 c del D.L. vo 114/1998, contenuto nel provvedimento impugnato (che fa riferimento, nell’ipotesi di chiusura, ad ogni caso di svolgimento abusivo – pur sempre – dell’attività), atteso che, nel caso di specie non trattasi propriamente dell’irrogazione di sanzione per lo svolgimento dell’attività commerciale, ma del venire meno del titolo in virtù del quale essa era svolta.
Pertanto, a nulla rileva lamentare la violazione dei principi di irragionevolezza e proporzionalità, invocando una sanzione più mite e blanda in consonanza con il carattere meramente formale e lieve della trasgressione contestata (mancanza del certificato di agibilità).
Pertanto, a ragione il resistente Comune rileva che nel caso di specie, si è di fronte ad un illecito ben più grave, essendosi nel caso di specie di un abuso edilizio accertato e sanzionato, fattispecie certamente non equiparabile alla mera assenza di documentazione amministrativa, con la conseguenza che l’interesse pubblico avrebbe potuto essere tutelato esclusivamente mediante l’annullamento dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale. Peraltro, sul piano logico, appare chiaro che l’attività commerciale non potrebbe comunque essere svolta una volta ottemperata la citata ordinanza di demolizione n. 11 del 2017.
Con la quinta censura è dedotta la violazione del d.P.R. n. 280/2001, l’illegittimità derivata, la violazione della legge 241/1990 e l’eccesso di potere per sviamento, al riguardo rilevandosi solo in via di estremo subordine, rilevandosi che;
– anche il diverso provvedimento sanzionatorio in materia edilizia, evocato a giustificazione del provvedimento qui impugnato, risulta inficiato e comunque non tale da legittimare il SUAP del comune di […] a disporre l’annullamento e la chiusura dell’esercizio della ricorrente, essendo agevole constatare infatti che l’ordinanza di demolizione opere n°[…] 2017 del 13.10.2017 (doc.21) richiamata in detto provvedimento, dispone la demolizione di opere edilizie, a quanto pare, neppure descritte ed individuate in detto provvedimento e comunque senza che ne ricorrano i presupposti in fatto ed in diritto ed infine anche qui senza alcun rispetto delle garanzie procedurali;
– di fatto, il fabbricato in questione, parte di un’antica cortina edilizia che costeggia, nel comune di […], alla […] ha subito già negli anni 2001¬2005, ad opera della precedente proprietaria, […], interventi di ristrutturazione giusta concessione edilizia n. […] dell’8.11.2001 (doc.22), seguita da permesso a costruire in sanatoria n. […] del 22.7.2005 (doc.23) per la realizzazione di “n° 2 lucernai di aerazione del locale sottotetto, realizzazione di n°2 accessi al terrazzo antistante il sottotetto e diversa distribuzione interna dei vari ambienti”. I successivi lavori avviati dall’attuale proprietà, dopo l’acquisto fattone nell’anno 2015, realizzati a seguito di S.C.I.A. prot. […] del 10.7.2015 (doc.24), seguita da SCIA in assestamento prot. […] del 7.12.2016 (doc.25) e dichiarazione di fine dei lavori del 14.12.2016 prot. […] (doc.26), sono consistiti esclusivamente nell’ultimazione di un edificio già completamente realizzato al rustico, adeguato anche dal punto di vista sismico e strutturale come attestato sia certificato di idoneità statico emesso in data 14-12-2016 sulla scorta di appropriata relazione geologico-tecnica e sismica (doc.27) ed allegato agli atti della pratica SCIA al momento della chiusura dei lavori; sia da articolata relazione tecnica per la valutazione della sicurezza di edificio esistente in data 20.6.2017 acquisita all’Ufficio del Genio Civile di Napoli in data 4.7.2017 (doc.28);
– nessuno dei sopra specificati titoli abilitativi risulta essere stato rimosso in via di autotutela da parte del Comune di […] e dunque le opere realizzate non possono ritenersi abusive né tanto meno se ne poteva ordinare la demolizione, con la duplice conseguenza che appare illegittima l’ordinanza di demolizione ed, in via deriva anche il provvedimento in questa sede impugnato e che su di essa si fonda.
La censura è inammissibile.
Sul punto parte ricorrente, argomenta diffusamente in merito a questioni inerenti ad altro e – come da lui medesimo definito – diverso atto (l’ordinanza di demolizione n. […] del 2017) che, seppure richiamato nel provvedimento odiernamente impugnato, non risulta ritualmente impugnato dalla ricorrente, pur essendo oggetto di altro ricorso e per il quale pende altro giudizio n. 5156/2017 R.G. innanzi al T.A.R. Campania, sez II.
Pertanto, in questa sede a nulla vale illustrare la storia edilizia dell’immobile e dei presunti titoli edilizi che avrebbero legittimate le trasformazioni subite nel corso degli anni dall’immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione ed anche se oggetto del provvedimento odiernamente impugnato, trattandosi di aspetti che esulano dal presente giudizio in quanto afferenti ad un atto diverso da quello odiernamente impugnato rispetto al quale vengono conseguentemente sollevate censure del tutto estranee ed inammissibili.
E’ opportuno nondimeno sottolineare che la ripetuta ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. […] del 2017, adottata dal Comune ai sensi e per gli effetti dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e quindi con automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione) scaturisce dalla rilevata insussistenza di autorizzazioni sismiche e collaudi strutturali rispetto ad un edificio che originariamente risultava con struttura portante interamente in muratura di tufo e che allo stato attuale presenta invece un’intelaiatura in cemento armato. Neppure su tali aspetti vengono qui formulate specifiche e circostanziate doglianze.
In definitiva, preso atto del carattere vincolato del provvedimento impugnato, il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto. […]