T.A.R. per il Lazio, Sezione Prima Bis, Sentenza n. 5468 del 2017, pubbl. il 08/05/2017

[…]

FATTO

Con atti notificato in data 30.9.2016 e depositato in data 27.10.2016, i ricorrenti, […], premettevano di aver partecipato, in diversi periodi di tempo, alla Missione Internazionale […] negli anni 2010-2011, come da statini-paga attestanti la loro partecipazione alla missione […].

Precisavano che, nel periodo di servizio svolto, era stata loro elargita l’indennità di missione giornaliera di cui all’art. 1 del R.D. n. 941/1926 (ora abrogato dall’art. 2268 del D. Lgs. 66/2010), ma lamentavano di aver subito la decurtazione delle somme inerenti al periodi di assegnazione alla missione […].

Dopo aver svolto svariati profili di illegittimità, insistevano per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.

Con atto depositato in data 1.12.2016, si costituiva formalmente l’intimata Amministrazione, per resistere al presente giudizio.

All’odierna camera di consiglio, il ricorso passava in decisione, previo avvertimento alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., che la formazione del silenzio-rifiuto e lo speciale procedimento giurisdizionale a tutela dell’amministrato, in quanto strumenti diretti a superare l’inerzia dell’amministrazione nell’emanazione di un provvedimento a fronte di una posizione di interesse legittimo, non sono compatibili con pretese che soltanto in apparenza abbiano per oggetto una situazione di inerzia.

DIRITTO

1.La presente controversia risulta formata da due capi di domanda specifici: a) l’accertamento dell’illegittimità del silenzio formatosi sulle istanze dei ricorrenti; b) l’accertamento del diritto dei ricorrenti alla corresponsione dell’indennità di missione […].

Il presente giudizio risulta introdotto, quanto al regime giuridico processuale, ai sensi dell’art. 31 del codice del processo amministrativo, che disciplina l’azione avverso il silenzio- rifiuto (rectius:silenzio- inadempimento), istituto finalizzato a porre un rimedio alle ipotesi di comportamento inerte della pubblica amministrazione .

2.Il ricorso avverso il silenzio rifiuto, ex art. 117 c.p.a., è diretto ad accertare la violazione dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere su un’istanza del privato, volta a sollecitare l’esercizio di un pubblico potere, così che esso risulta esperibile solo in presenza di un obbligo di provvedere, nascente da specifiche previsioni di legge ovvero dai principi generali ovvero anche dalla peculiarità del caso (ex plurimis: Cons. Stato: Sez. IV, 18.2. 2016, n. 653; Sez. III, 3.11.2015, n. 5015).

La tutela contro l’inerzia della pubblica amministrazione trova il suo fondamento sostanziale nell’art. 2, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale prevede che “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”.

Sul piano sostanziale, l’inerzia dell’Amministrazione e l’omessa emanazione del provvedimento finale, in tanto rileva quale silenzio rifiuto, in quanto sussista un inadempimento ad un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, mediante avvio di un procedimento amministrativo preordinato all’adozione di un provvedimento amministrativo ovvero di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico.

Sul piano processuale, l’azione disciplinata dall’art. 117 c.p.a., ha lo scopo di attribuire al privato un potere strumentale, di natura procedimentale, volto a rendere effettivo l’obbligo giuridico dell’Amministrazione di provvedere mediante l’adozione di un provvedimento espresso, sancito dall’art. 2, l. n. 241 del 1990, sicché tale strumento processuale non può essere considerato compatibile con ogni pretesa avanzata dal privato che solo apparentemente abbia ad oggetto una situazione di inerzia, ma, di fatto, riguardi diritti soggettivi, la cui eventuale lesione può essere direttamente accertabile dall’autorità giurisdizionale.

Ne consegue che il rimedio processuale disciplinato dagli articoli 31 e 117 del c.p.a. risulta limitato alle sole ipotesi di inerzia serbata dall’amministrazione su istanze intese ad ottenere l’adozione di un provvedimento amministrativo ad emanazione vincolata, ma di contenuto discrezionale ed incidente, quindi, su posizioni di interesse legittimo, restando, perciò, escluso, dal suo ambito applicativo, il silenzio afferente a pretese fondate sull’esercizio di diritti soggettivi (ex multis: Cons. Stato: Sez. III, 26.10.2015; Sez. V, 26.9.2013 n. 4793).

Si tratta, pertanto, di uno strumento incompatibile con pretese che solo apparentemente abbiano per oggetto una situazione di inerzia provvedimentale (cui è sottesa una posizione di interesse legittimo), ma che invece concernono diritti soggettivi, la cui eventuale lesione è direttamente accertabile dall’autorità giurisdizionale (conf.: Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 860).

Conseguentemente, si deve ritenere che l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione è inammissibile allorché la posizione giuridica azionata consista in un diritto soggettivo, atteso che il silenzio-rifiuto può formarsi esclusivamente in ordine all’inerzia su una domanda intesa ad ottenere l’adozione di un provvedimento ad emanazione vincolata ma di contenuto discrezionale, e, quindi, necessariamente incidente su posizioni di interesse legittimo, e non già nell’ipotesi in cui viene chiesto il soddisfacimento di posizioni aventi natura sostanziale di diritti direttamente accertabili dall’Autorità giurisdizionale ordinaria (conf.: Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2013 n. 1754).

Ne deriva che, nell’ipotesi in cui il procedimento attivato afferisca – come, appunto, nella fattispecie all’esame – alla tutela di un diritto soggettivo, l’azione di annullamento del silenzio-rifiuto della pubblica Amministrazione non è esperibile, poiché il giudizio sul silenzio presuppone l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configuri come interesse legittimo.

Giova altresì precisare che la circostanza che l’attività interna della pubblica amministrativa sia regolata da norme regolamentari di matrice pubblicistica non è di per sé idonea a modificare la natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio.

Applicando le suesposte coordinate ermeneutiche al caso di specie – caratterizzato dalla domanda di accertamento dell’illegittimità del silenzio formatosi a seguito di istanza di corresponsione di emolumenti retributivi, aventi i connotati di diritti soggettivi- si deve ritenere inammissibile la prima domanda, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato dalla P.A.

3. Quanto alla seconda domanda, con cui i ricorrenti chiedono l’accertamento del diritto di credito o la condanna dell’amministrazione al pagamento delle relative somme, il Collegio ritiene di dover provvedere con mutamento del rito, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a, sussistendo i presupposti (conf.: Cons. Stato, Ad. Plen. 15.1.2013 n. 2) per l’esame nel merito con il rito ordinario […]