T.A.R. per il Lazio, Sezione Seconda Bis, Sentenza n. 151 del 2018, pubbl. il 09/01/2018

[…]

FATTO

Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 2 maggio 2016 e depositato il successivo 1 giugno 2016, il […] ricorrente impugna il provvedimento con cui, in data […] 2016, […] ha dichiarato la nullità e l’inefficacia della S.C.I.A. in variante dal predetto presentata in data […] 2015, “in quanto priva del requisito essenziale della conformità alla normativa urbanistico edilizia”, precisando, in aggiunta, che “i lavori già eseguiti devono essere considerati privi di titolo”.
In particolare, il ricorrente espone quanto segue:
– in data 27 ottobre 2014 affidava in appalto ad una ditta “lavori di manutenzione ordinaria delle facciate, abbattimento delle barriere architettoniche e rifacimento delle terrazze in copertura del fabbricato… di via […]”;
– a fare data dal 29 gennaio 2016 i lavori erano posti in “regime di sospensione” in attesa del rilascio del prescritto “nulla osta per la realizzazione della fermata al piano interrato dell’ascensore condominiale ubicato nel vano scale”;
– il successivo […] 2015 veniva presentata una S.C.I.A. “in variante alla” precedente S.C.I.A. prot. […] 2014;
– con comunicazione del […] 2016 […] procedeva alla declaratoria “di nullità ed inefficacia della S.C.I.A.” del […] 2015, ponendo alla base di essa “l’accertamento condotto, in fase di sopralluogo congiunto del 30 ottobre 2015, di tre distinte tipologie di opere, che costituirebbero nel complesso un intervento classificabile nell’ambito del risanamento conservativo, eseguito in difformità del parere […]….. perseguibile per quanto di competenza ai sensi dell’art. 19 della L.R. 15/2008”;
– in data 22 aprile 2016 era richiesto l’annullamento in autotutela di tale comunicazione ma tale istanza rimaneva priva di riscontro.
Ciò detto, il ricorrente chiede l’annullamento della comunicazione di cui sopra deducendo i seguenti motivi di diritto:
A) VIOLAZIONE DI LEGGE. MANCATA COMUNICAZIONE DELL’AVVIO DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO AI SENSI E PER GLI EFFETTI DI CUI ALL’ART. 7 DELLA LEGGE 241/90, atteso che – nel caso di specie – l’Amministrazione ha operato in autotutela, esercitando così un potere discrezionale, e, pertanto, non poteva esimersi dall’informare previamente l’interessato, ormai titolare di una posizione soggettiva consolidata, tanto più ove si tenga conto che la partecipazione al procedimento “avrebbe consentito di comprendere tempestivamente come l’istruttoria condotta dall’Amministrazione si fondi su palesi errori di reperimento ed interpretazione della documentazione su cui la revoca (e, comunque, la declaratoria di nullità della SCIA) si fonda”, così come si darà conto nel prosieguo, a cui deve essere, peraltro, riconnesso l’annientamento della possibilità per la stessa Amministrazione di dimostrare che il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere connotato da un differente contenuto e che, dunque, la partecipazione del privato sarebbe inutile, ossia di dare origine all’unica condizione inibitoria dell’annullamento prescritta dall’art. 21 octies della medesima legge.
B) ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DEI FATTI, CONTRADDITTORIETA’, INGIUSTIZIA GRAVE E MANIFESTA, DISPARITA’ DI TRATTAMENTO E DIFETTO DI ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DI LEGGE: VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 79 DEL D.P.R. 380/01 ANCHE IN RIFERIMENTO AGLI ARTT. 873 E 907 DEL CODICE CIVILE; VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 19 DELLA L.R. 15/2008; VIOLAZIONE DELL’ART. 3, DELL’ART. 97 DELLA COSTITUZIONE E DEI PRINCIPI GENERALI DELL’ORDINAMENTO, tenuto conto dell’assoluta regolarità dell’opera in corso di realizzazione, rilevabile dalla constatazione che i tre interventi contestati (consistenti “nell’installazione dell’ascensore per disabili all’interno della chiostrina condominiale, con mancato rispetto delle distanze” prescritte dal codice civile, nell’“’installazione di nuove canalizzazioni, a servizio dell’impianto di climatizzazione dell’albergo e non del […]” sempre in spregio delle previsioni in materia di distanze e, tra l’altro, non rappresentata nell’elaborato grafico allegato ai pareri consultivi richiesti dal […] alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per […], e, ancora, nella “mancata demolizione di un manufatto in muratura, di proprietà esclusiva dell’albergo”, con l’ulteriore precisazione che gli ultimi due “riguardano opere eseguite da un terzo”, estranee agli interventi “per i quali il […]. ha presentato il titolo edilizio”, sicchè “l’unica presunta difformità contestata nel provvedimento che si impugna, di diretta responsabilità del […] è quella relativa al trasferimento dell’ascensore per disabili dall’interno del corpo scala nella chiostrina di proprietà condominiale”, resa necessaria al fine di garantire il mantenimento di una determinata “larghezza” delle rampe delle scale) non sono soggetti alla previsione dell’art. 79 del D.P.R. n. 380 del 2001, posta a base della revoca della scia, e, ancora, sono privi di rilevanza esterna. “In sostanza, a fondamento della revoca della S.C.I.A. prot. […] del […] 2015 l’Amministrazione Comunale pone presunte illegittimità (come dimostrato insussistenti) poste in essere da un terzo e non attinenti al titolo edilizio revocato”, mostrando una confusione fondamentalmente generata “dalla mancata partecipazione all’iter procedimentale” del ricorrente.
Con atto depositato in data 6 giugno 2016 si è costituita […], la quale – nel prosieguo e precipuamente in data 9 settembre 2016 – ho prodotto documenti, tra cui una relazione in data 15 febbraio 2016 in cui è ribadita la realizzazione di interventi di risanamento conservativo eseguiti in difformità del parere […] ex co. 19 dell’art. 24 delle N.T.A., “perseguibile per quanto di competenza ai sensi dell’art. 19 della L.R. 15/2008”.
In medesima data anche il ricorrente ha prodotto documenti, tra cui la circolare della “Sovrintendenza […]” in cui si precisa che “la sostituzione” e la “nuova installazione di canne fumarie” all’interno delle chiostrine è “in linea di massima…… sempre accoglibile”, “vista l’analogia” delle opere contestate con quelle regolamentate “nella nuova circolare”.
Con ordinanza n. 5344 del 15 settembre 2016 la Sezione ha fissato l’udienza pubblica del 3 novembre 2017 “per la trattazione del ricorso nel merito”, ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.pr.amm..
In data 21 settembre 2017 l’Amministrazione ha prodotto ulteriori documenti, atti, tra l’altro, a dare conto che “le valutazioni condotte sulla SCIA […] 15, confluite nella comunicazione di nullità e inefficacia oggetto di impugnativa, sono fondate sulla ricostruzione dell’attività edilizia quale unicum in considerazione della identità di direzione lavori, ditta esecutrice e finalità complessiva degli interventi” (tanto che “la suddetta SCIA non doveva essere presentata quale autonomo titolo edilizio ma come variante delle opere in corso”).
Il successivo 13 ottobre 2017 il ricorrente ha depositato una memoria con cui ha sostanzialmente ribadito le censure formulate e, in particolare, l’ammissibilità della deroga delle distanze ove si tratti di impianti “finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche” (rectius: l’ascensore).
All’udienza pubblica del 3 novembre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il […] ricorrente lamenta l’illegittimità della nota in data […] 2016, con cui […] – sulla base di una pluralità di rilievi afferenti interventi realizzati nella chiostrina interna condominiale e, più specificamente, in ragione dell’accertamento di difformità rispetto al parere […], perseguibili “ai sensi dell’art. 19 della L.R. 15/2008” – ha comunicato che “la S.C.I.A. in variante prot. […] del […] 2015”, dal predetto presentata, “risulta essere nulla ed efficace in quanto priva della conformità alla normativa urbanistico edilizia ed i lavori già eseguiti devono essere considerati privi di titolo”.
A tali fini il ricorrente denuncia i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, in quanto afferma – in sintesi – di non essere stato “posto nella condizione di partecipare” al procedimento per omessa comunicazione dell’avvio di quest’ultimo e, ancora, sostiene l’assoluta regolarità delle opere contestate, ponendo, tra l’altro, in evidenza che quelle afferenti all’installazione di nuove canalizzazioni e alla mancata demolizione di un manufatto in muratura sono ascrivibile ad un soggetto terzo e, dunque, “non hanno nulla a che vedere con gli interventi per i quali” aveva presentato il titolo edilizio (escludendo così che gli stessi interventi possano essere posti alla base della decisione adottata dall’Amministrazione in relazione alla S.C.I.A. dal predetto presentata).
Le censure in esame non sono meritevoli di positivo riscontro per le ragioni di seguito indicate.
2. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare che:
– ancorché non prodotta agli atti, la descrizione dei fatti e, ancora, la documentazione allegata all’atto introduttivo del giudizio rivelano l’avvenuta presentazione in data […] 2014 di una S.C.I.A. ad opera del […] ricorrente, ex art. 22 D.P.R. n. 380 del 2001, “per opere di manutenzione ordinaria e straordinaria” consistenti in “risanamento e tinteggiatura facciate, impermeabilizzazione e pav.ne terrazza copertura; tinteggiatura scala interna, ripristino vano originario portone via della […] sostituzione impianto ascensore interno x sup.to barriere arch.che”, con allegato – a corredo – il “N.O. [..] prot. n. […] del […] 2014” (a cui appare, peraltro, ricollegabile il “contratto d’appalto” allegato al ricorso, seppure sottoscritto in data antecedente e, ancora, prescrivente, all’art. 7, che “i lavori avranno inizio il 15 ottobre 2014”) ;
– in data 28 luglio 2015 risulta, poi, presentata dal medesimo […] una “Nuova S.C.I.A. in variante alla S.C.I.A./D.I.A. prot. […] del […]”, avente ad oggetto le medesime lavorazioni descritte in quest’ultima “con la sola variante dell’impianto ascensore per disabili previsto all’interno del piano scala condominiale che, per problemi di natura tecnica e statica, è necessario spostare nella chiostrina condominiale, mantenendo comunque tutta la nuova struttura all’interno della sagoma del fabbricato”, in cui risulta nuovamente richiamato il “nullaosta Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici per […] n° […] del […] 2014”;
– il provvedimento impugnato trae origine dall’accertamento, in esito ad apposito sopralluogo, di tre tipologie di opere, tra cui l’installazione dell’ascensore, classificate come “interventi di risanamento conservativo”, eseguite in difformità al parere […] ex co. 19 dell’art. 24 delle N.T.A. e, pertanto, perseguibili ai sensi dell’art. 19 della L.R. 15/2008;
– una disamina più accurata del provvedimento rivela – in ogni caso – l’avvenuta integrazione della documentazione di cui alla S.C.I.A. del 2015 “con trasmissione del N.O. […] del […] 2015” e, dunque, che l’intervento de quo è stato dichiarato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia prettamente in ragione della realizzazione, “dal piano terra alla copertura”, di un “volume tecnico, dim. circa mt. 1,50×1,80 altezza circa mt. 17,50”, a distanza inferiore dalle vedute dell’unità del piano 2° rispetto “alla distanza minima prevista dagli artt. 873 e 907 del codice civile, quindi in contrasto con il comma 2 dell’art. 79 de l D.P.R. n. 380/01”, con l’ulteriore precisazione che “per la realizzazione nel piano interrato della fondazione del volume suddetto non è stato richiesto il N.O. preventivo della Soprintendenza […]”;
– nonostante le reiterate affermazioni secondo cui il proprio interesse sarebbe limitato all’intervento afferente l’ascensore, il ricorrente si premura, poi, di confutare anche i rilievi sollevati in relazione alle canalizzazioni e alla mancata rimozione del manufatto, in linea, tra l’altro, con quanto riportato nella lettera redatta dal tecnico incaricato dal […], indirizzata a […], datata 15 aprile 2016, e con la produzione, ancora, di documentazione riguardante interventi edilizi dell’[…] (“attività ricettiva” insediata, tra l’altro, nell’immobile denominato edificio “B”, interessato dagli interventi contemplati nella SCIA).
Stante quanto in precedenza riportato, il Collegio ritiene doveroso prendere atto che – al di là della pluralità degli interventi contestati e, ancora, dell’attivazione del ricorrente per sostenere la conformità urbanistico-edilizia di ognuno di essi (in quanto, a detta del predetto e, quindi, sulla base di considerazioni personali, costituirebbero fattori che “hanno di fatto contribuito all’annullamento del titolo edilizio di cui all’epigrafe” -,cfr. pag. 22 dell’atto introduttivo del giudizio) – che l’interesse perseguito mediante la proposizione dell’impugnativa in trattazione risulta essenzialmente incentrato sulla salvaguardia della validità della S.C.I.A. presentata in data […] 2015, ossia sulla persistenza dell’efficacia della stessa con precipuo riferimento all’innovazione in essa contemplata (definita “variante” rispetto alla precedente S.C.I.A. del […] 2014), consistente nello spostamento nella chiostrina condominiale dell’impianto ascensore per disabili (inizialmente “previsto all’interno del piano scala”), “mantenendo comunque tutta la nuova struttura all’interno della sagoma del fabbricato”.
Così ragionevolmente delimitata la materia del contendere sulla base della valutazione oggettiva dei fatti, diviene doveroso constatare che:
– in relazione alla realizzazione di tale impianto, l’Amministrazione ha avuto modo di rilevare una “difformità”, individuata nella realizzazione, “in adiacenza al pianerottolo del vano scale”, di un “volume tecnico, dim. circa mt. 1,50×1,80 altezza mt. 17, 50”, per la cui fondazione non è stato, peraltro, richiesto il N.O. preventivo della Soprintendenza […], espressamente qualificato “in contrasto con il comma 2 dell’art. 79 del D.P.R. 380/01” e, dunque, in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente poiché posizionato ad una distanza da “vedute” inferiore a quella minima prevista dal codice civile, più propriamente individuabile – in ragione nelle peculiarità del caso – nelle prescrizioni dell’art. 907 c.c. (atteso che si rappresenta una distanza del volume tecnico da due pareti della chiostrina, dove sono presenti su entrambe vedute dell’unità immobiliare del piano 2°, di circa mt. 1,20);
– in sintesi, appare possibile affermare che – senza, in ogni caso, trascurare la valenza della carenza del su menzionato nulla osta – il contrasto in discussione rappresenta la “ragione di diritto principale” da cui ha tratto origine la decisione adottata dall’Amministrazione di dichiarare la nullità e l’inefficacia della S.C.I.A. presentata in data […] 2015, oggetto di contestazione in questa sede.
Orbene, la decisione adottata dall’Amministrazione – basata sul contrasto dell’intervento di cui alla SCIA con l’art. 79, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, in ragione dell’accertata esistenza di una distanza di soli mt. 1,20 del volume tecnico rispetto a vedute dell’unità immobiliare del piano 2° – è da ritenere corretta, atteso che:
– come noto, l’art. 79 del D.P.R. n. 380 del 2001, riproduttivo del disposto dell’art. 3 della legge n. 13 del 1989”, dispone, che:
“1. Le opere di cui all’articolo 78” – ossia, interventi consistenti, tra gli altri, in “innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1 del decreto de Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503” – “possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati.
2. E’ fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune”;
– secondo quanto già affermato in giurisprudenza, da cui non si ravvisano motivi per discostarsi, le previsioni in argomento hanno elevato il livello di tutela dei soggetti portatori di minorazioni fisiche, ormai reputato interesse primario della collettività, ma – tenuto conto della sussistenza anche di altri interessi – il legislatore ha coerentemente effettuato scelte puntuali in merito alla graduazione degli interessi coinvolti, i quali possono attenere a differenti profili (quali – ad esempio – la tutela del patrimonio artistico o, ancora, la tutela della salute mediante il rispetto della normativa antincendio);
– per quanto attiene – in particolare – ai fabbricati “alieni”, da intendere come strutture abitative e/o immobili appartenenti a soggetti terzi, e, dunque, con precipuo riferimento alla composizione del conflitto tra l’interesse dei soggetti portatori di minorazioni fisiche e quello dei proprietari di tali fabbricati, le previsioni in precedenza riportate provano che il legislatore ha composto il “contrasto dando prevalenza al diritto dei terzi di vedere rispettare le distanze tra le costruzioni previste dalle norme del codice civile richiamate e, dunque, una distanza non inferiore a tre metri. In altri termini, il legislatore ha considerato l’interesse delle persone disabili recessivo rispetto al diritto alla salute dei soggetti terzi … che non possono patire una lesione di siffatto diritto per effetto della costruzione di intercapedini, tali da incidere sulla salubrità delle costruzioni”, scelta questa già giudicata non illogica, in ragione della pari rilevanza del diritto alla salute dei soggetti confinanti rispetto a quello dei portatori di minorazioni” (cfr., ex multis, TAR Lazio, Sez. Staccata Latina, 22 settembre 2014, n. 726; TAR Abruzzo, Pescara, Sez. I, n. 87 del 2012);
– in altri termini, corrisponde certamente a verità che gli interventi volti alla rimozione delle barriere architettoniche possono essere realizzati “in deroga alle norme delle distanze previste dai regolamenti edilizi” ma – per contro – gli stessi interventi debbono essere comunque realizzati nel rispetto, tra l’altro, dell’art. 907 c.c. per l’ipotesi in cui non risultino interposti tra le opere e gli immobili di proprietà privata “spazi” o “aree di proprietà o di uso comune”, ossia tali interventi debbono essere realizzati nel rispetto della distanza minima di tre metri da vedute già esistenti;
– in sintesi, l’art. 79 in argomento consente di non rispettare la disciplina sulle maggiori distanze contenuta nei regolamenti edilizi comunali, estensibile – secondo il dato testuale della norma e, ancora, criteri di ragionevolezza – anche alle previsioni di cui al d.m. n. 1444 del 1968 (Trib. Monza, 1 ottobre 2007), ma, in ogni caso, impone il rispetto delle prescrizioni codicistiche riportate – per quanto di rilevanza in questa sede – nell’art. 907 c.c., con conseguente obbligo di realizzare l’intervento ad una distanza non inferiore di tre metri da vedute preesistenti (cfr. TAR Veneto, Sez. II, n. 1106 del 2013);
– posto che, nel caso in esame, l’Amministrazione ha accertato che tale distanza non è stata rispettata, la violazione dell’art. 79, comma 2, in trattazione – la cui osservanza era implicitamente doverosa anche in ragione dei contenuti del parere rilasciato dalla Soprintendenza – è stata, dunque, correttamente contestata;
– per completezza, preme ricordare che il ricorrente espressamente afferma che tale prescrizione “si limita solo ad escludere dalla deroga del comma 1 e quindi al rispetto delle distanze sancite dagli artt. 873 e 907 del codice civile, i casi in cui le aree tra i fabbricati alieni non siano di proprietà o di uso comune” e che “tale condizione è proprio quella presente nel caso in argomento”, richiamando, tra l’altro, l’art. 1102 c.c., ma – a parte il rilievo che il ricorrente sostiene la piena conformità di tali considerazioni alla giurisprudenza civile – non può che darsi atto che si tratta di asserzioni criptiche, prive, tra l’altro, di un supporto probatorio valido a dimostrare, mediante la produzione di elementi oggettivi e concreti, l’interposizione tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni di spazi o aree di proprietà o di uso “comune”, tanto più ove si consideri che l’ipotesi in trattazione è da considerare sicuramente differente o, meglio, affatto sovrapponibile e/o identificabile di per sé con “i cortili” e le “chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati”, già indicati al comma 1 dell’art. 79 in trattazione (atteso che, in caso contrario, non si spigherebbe l’utilizzo nel successivo comma 2 del medesimo articolo di una espressione differente) e, ancora, si tenga conto che l’art. 907 riguarda non solo le vedute “dirette” ma anche quelle “oblique”;
– quanto in precedenza riportato prova, poi, che il provvedimento impugnato – per quanto di interesse del ricorrente – non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso da quello in concreto adottato e, quindi, conduce a riconoscere l’operatività del disposto dell’art. 21 octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, inibitorio – come noto – dell’annullamento nel caso in cui l’Amministrazione abbia provveduto in spregio del disposto dell’art. 7 della medesima legge.
3. In conclusione, il ricorso va respinto […]