T.A.R. per il Lazio, Sezione Seconda Quater, Sent. n. 8308 del 2021, pubbl. il 13/07/2021

[…]

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso spedito per le notificazioni a mezzo del servizio postale … il sig. […], nel premettere di avere acquistato nel 1995 il fabbricato meglio specificato in epigrafe, in relazione al quale il suo dante causa aveva inoltrato al Comune […], in data …., un’istanza di condono edilizio ex art. 39 l. n. 724/1994, poi accolta, per un portico in legno al piano terra e per il primo piano, e di aver presentato in data ….1995 un’integrazione (dell’istanza stessa) per alcune pertinenze quali box e locale a uso caldaia con superficie di mq. 36, ha chiesto l’annullamento del diniego opposto dal Comune su quest’ultima richiesta, prospettando: I) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, per travisamento e mancata considerazione di fatti rilevanti nonché per insufficiente motivazione; II) Eccesso di potere per contraddittorietà estrinseca; III) Violazione e falsa applicazione degli artt. 10-bis e 2 l. n. 241/1990, in combinato disposto con gli artt. 35 l. n. 47/1985 e 39 l n. 724/1994; violazione e falsa applicazione dell’art. 20 d.P.R. n. 380/2011.
Costituitasi in resistenza l’amministrazione, con ordinanza n. … del .. 2012 è stata accolta la domanda cautelare ai fini del riesame.
All’odierna udienza, in vista della quale le parti hanno prodotto memorie, il giudizio è stato trattenuto in decisione.

2. Il ricorso è infondato.
Il diniego attiene (come si evince dalle premesse del provvedimento) all’“integrazione” del … 1995, concernente la realizzazione di “tettoie uso box pertinenze del fabbricato principale, per un totale di 60 mq (Snr)”, dell’istanza di condono presentata dal dante causa del ricorrente il … 1994 per sanare la realizzazione “di un portico in legno al piano terra e del piano primo” del fabbricato indicato in epigrafe.
L’atto è motivato sui seguenti rilievi:
– nel “titolo di proprietà” (atto notarile di acquisto in data …1995) “non vengono descritti i fabbricati accessori all’abitazione, ma esclusivamente un fabbricato residenziale costituito da piano terra e primo piano […]”, da ciò deducendosi come “gli stessi siano stati realizzati successivamente al … 1995 e pertanto non esistenti al … 1993”;
– dopo il … 1995 (data dell’“integrazione” al condono) “il portico in legno è stato trasformato in volume residenziale di annesso all’abitazione principale”; sennonché lo stesso ricorrente – a seguito della comunicazione (… 008) dei “motivi ostativi all’accoglimento in parte dell’istanza” – “ha ripristinato il portico in legno al piano terra come da domanda di condono e conformemente alla documentazione fotografica e perizia giurata ad essa allegata e pertanto per lo stesso è stato rilasciato permesso di costruire in sanatoria” (n. … del … 2011).
Il Comune ha pertanto respinto l’istanza di condono “limitatamente agli accessori annessi all’abitazione principale […] in quanto realizzati successivamente al …1993”.
3. I primi due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria.
Col primo mezzo il ricorrente deduce che già nel contratto di acquisto del fabbricato erano menzionati sia il “locale caldaia insistente sul giardino circostante l’immobile” sia le “modifiche alle unità immobiliari per le quali era stata presentata […] richiesta di concessione in sanatoria” (artt. 2 e 6); lo stesso a dirsi con riguardo al precedente atto di vendita del 1989, in cui pure si dava conto del “locale caldaia” (art. 2) e della presentazione, nel corso dello stesso anno, dell’inerente denuncia di variazione catastale.
La realizzazione degli “accessori” in data anteriore al dicembre 1993 si evincerebbe anche da un rilievo aerofotogrammetrico e da fotografie dell’area interessata, oltre a esser stata confermata dal dante causa del ricorrente in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del … 1994.
L’amministrazione nulla avrebbe osservato in merito a tali risultanze, incorrendo perciò in travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
Col secondo motivo l’istante prospetta la contraddittorietà estrinseca del diniego, a suo dire in contrasto con i due permessi di costruire in sanatoria del … 2008 e del … 2011, aventi a oggetto, rispettivamente, l’ampliamento del primo piano e il portico al piano terra; mentre non si comprenderebbe perché per il locale caldaia, pur “sempre indicato e descritto nello stesso titolo di proprietà”, la sanatoria sarebbe stata respinta; sotto altro profilo, la commissione edilizia del Comune avrebbe rilasciato parere favorevole al condono (nella seduta del … 2003).
Le censure sono infondate.
Cominciando dall’ultima doglianza, si può rilevare come il diniego riguardi gli “accessori annessi all’abitazione principale” siccome precisamente descritti nell’istanza di condono “integrata”, atto nel quale si parla soltanto della “tettoia installata nel giardino circostante l’abitazione primaria e destinata a box auto” (come esattamente rilevato dall’amministrazione; v. all. 4 ric.), ma non del “locale caldaia” (mai menzionato).
Non solo, ma la chiara descrizione del manufatto abusivo impedisce di trarre dalla mera indicazione della “superficie non residenziale” da condonare (mq. 60 x 0,6 al piano terra; cfr. cit. all. 4 ric. e all. 7 amm.) l’inclusione del manufatto stesso nella richiesta di sanatoria (v. mem. 28.4.2021 ric., in cui si sostiene che l’“integrazione” avrebbe avuto a oggetto anche le “pertinenze del fabbricato principale, ossia box e locale ad uso caldaia per una superficie di 36 mq”, in quanto “indicate in tale domanda d’integrazione con l’acronimo “snr” del piano terra”).
Né possono rilevare, a sostegno della tesi del ricorrente, gli “elaborati grafici ad essa [istanza integrativa] allegati e raffiguranti i manufatti da condonare”.
Questi documenti hanno data successiva a quella di presentazione dell’“integrazione” (prot. … del 1996 e prot. … del 2002; all.ti…), sicché non si comprende come potessero essere allegati a un’istanza risalente a epoca anteriore.
Il provvedimento impugnato non reca, cioè, alcuna determinazione sul ridetto “locale caldaia”, con conseguente infondatezza del secondo mezzo (e irrilevanza delle inerenti deduzioni riportate nell’ambito del primo motivo).
Va disatteso anche il primo motivo.
Per pacifica giurisprudenza (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, co. 2, lett. d, c.p.a.):
– “grava esclusivamente sul privato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l’opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall’art. 31, primo comma, della l. n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. ‘legge ponte’ n. 765 del 1967”;
– tale onere “discende attualmente, in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità”;
– più in generale, la “giurisprudenza, sia antecedente che successiva all’entrata in vigore dell’attuale codice del processo amministrativo, è comunque ferma nell’affermare che la prova circa il tempo dell’ultimazione delle opere edilizie grava in via esclusiva sul privato, atteso che soltanto questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di quanto è stato costruito” (alla stregua di questo indirizzo non varrebbe opporre la circostanza dell’instaurazione del giudizio in epoca antecedente all’entrata in vigore del c.p.a., atteso che anche nella previgente disciplina del processo amministrativo “costituiva comunque ‘diritto vivente’ un metodo di assunzione delle prove di tipo dispositivo per così dire ‘temperato’”, “definito come proprio di un modello processuale di carattere dispositivo con metodo acquisitivo”, nel senso che “la parte ricorrente doveva comunque fornire in giudizio un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni, conformemente a quanto previsto per il processo civile dall’art. 2697 c.c. e dall’art. 115 c.p.c., e in ordine al quale il giudice poteva poi acquisire con proprio impulso istruttorio gli elementi idonei a corroborare quanto affermato dalla parte medesima”; peraltro, “il soccorso istruttorio volto alla consolidazione di un elemento di prova è anche a tutt’oggi accordabile da parte del giudice investito della controversia nei casi in cui un principio di prova risulti comunque fornito”).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto al proprio onere di provare la data di realizzazione del manufatto, non potendo esser valorizzati nel senso da lui voluto:
– né il “rilievo aerofotogrammetrico” o le “fotografie” dell’area interessata, atteso che dall’unica fotografia (presa dall’alto) versata in atti non si riesce in alcun modo a percepire l’esistenza delle tettoie uso box (v. all. …);
– né la “dichiarazione sostitutiva” del … 1994, dal momento che – in disparte la valenza da riconoscere, ai fini in rilievo, ad atti di tal genere – il dichiarante si limita comunque a menzionare (generici) “lavori aggiuntivi sull’immobile” (all. …).
Il ricorrente nemmeno può dolersi della mancata presa in considerazione di questa documentazione, che infatti non risulta esser stata presentata con le osservazioni procedimentali (cfr. all.ti … ric.) e la cui eventuale produzione non avrebbe potuto comunque portare a un esito diverso.
In definitiva, non può essere ribaltato sul Comune l’onere di provare l’epoca di realizzazione del manufatto, con conseguente infondatezza del motivo.
4. È da respingere anche il terzo mezzo, con cui il ricorrente lamenta, per un verso, la violazione dell’art. 10-bis l. n. 241/90, in quanto l’amministrazione non avrebbe indicato le ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni rese in sede procedimentale, e, per altro verso, il superamento del termine di legge per la conclusione dell’iter (30 giorni ex art. 2, co. 2, l. n. 241/90; 24 mesi ai sensi dell’art. 35 l. n. 47/1985, richiamato dalla l. n. 724/94; rileverebbe anche il termine per il rilascio del permesso di costruire stabilito dall’art. 20, co. 3, d.P.R. n. 380/01): il diniego sarebbe stato adottato, infatti, 17 anni dopo la presentazione della domanda di condono e 3 anni dopo la comunicazione dei motivi ostativi ai sensi dell’art. 10-bis cit.
Quanto al primo aspetto, è sufficiente richiamare il tradizionale indirizzo (v. Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1041) alla stregua del quale:
– la lettura combinata degli artt. 10-bis e 21-octies, comma 2, l. n. 241/90 “consente di escludere l’annullabilità del provvedimento, qualora, per la natura vincolata e per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella concretamente adottata”: in tali ipotesi, “la sollecitazione del contraddittorio procedimentale -attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza- risulterebbe effettivamente inutile e l’annullamento del provvedimento si tradurrebbe in un’antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, in caso di caducazione dell’atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto dispositivo diverso da quello caratterizzante la decisione annullata, attesta l’accertata infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato”;
– tale condizione “non può ritenersi integrata, tuttavia, qualora l’Amministrazione, omettendo il preavviso di rigetto […], non abbia statuito o approfondito questioni fattuali o giuridiche, che avrebbero potuto essere dedotte dall’istante in sede di partecipazione procedimentale e che, in ipotesi, avrebbero potuto condurre ad una decisione differente da quella in concreto adottata”: in queste ipotesi “si è in presenza di obiezioni (di fatto o di diritto) alla decisione assunta, suscettibili di essere introdotte nell’ambito del procedimento nel pieno svolgimento della partecipazione dell’istante all’esercizio del potere (in funzione difensiva e collaborativa), nonché idonee, in astratto, ad influire sul contenuto dispositivo del provvedimento assunto”, così che la comunicazione di avvio del procedimento “in tali circostanze non si traduce in un adempimento inutile ed antieconomico, permettendo, invece, all’organo procedente di esaminare compiutamente le questioni implicate nel caso di specie, onde pervenire ad una decisione completa, statuente sui vari punti controversi incidenti sulla regolazione del rapporto amministrativo, già oggetto di confronto tra le parti in sede procedimentale”.
Nel caso in esame, a fronte della precisa indicazione, comunicata col preavviso di rigetto (25.9.2008), della circostanza ostativa all’accoglimento dell’istanza (“i fabbricati accessori all’abitazione […] non risultavano essere stati realizzati alla data del 31.12.1993”; all. 14 ric.), il ricorrente si è limitato a richiamare l’art. 2 dell’atto di compravendita concernente il locale a uso caldaia, ma non ha addotto alcun elemento relativo alla tettoia a uso box.
Sicché del tutto comprensibilmente, nel provvedimento finale, l’amministrazione ha rilevato come le osservazioni non avessero “fornito elementi nuovi all’istruttoria”.
Di qui, l’infondatezza della censura.
Quanto al decorso del termine massimo per la conclusione dell’iter, e precisato che non rilevano i riferimenti agli artt. 2 e 20 l. n. 241/90 in ragione della specialità della disciplina delle norme sul condono edilizio, va detto che l’art. 35 l. n. 47/85 (cui, tra gli altri, fa rinvio l’art. 39 l. n. 724/94) – ai sensi del quale “[…] decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento […]” – è inteso da condivisibile giurisprudenza nel senso che il silenzio assenso “presuppone la realizzazione di tutte le condizioni prescritte dalla legge per conseguire il titolo abilitativo, non essendo possibile per silentium ottenere più di quanto sarebbe possibile ottenere con un provvedimento espresso” (così di questa Sez., ex plur., la sent. 7 agosto 2020, n. 9073, con riferimento alla l. n. 724/1994; v. anche, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2021, n. 3904, e giurispr. ivi richiamata: “il silenzio assenso su una domanda di condono edilizio può formarsi solo in presenza di tutti i requisiti, formali e sostanziali, per l’accoglimento della stessa”).
In assenza della prova della realizzazione delle opere prima del 31.12.1993 non avrebbe potuto pertanto formarsi il silenzio assenso sull’istanza di sanatoria.
5. In considerazione di quanto sin qui osservato, il ricorso è infondato e va respinto (potendo essere al contempo disattesa l’istanza di c.t.u., reiterata dal ricorrente nella memoria del 28.4.2021, par. 10, anche per verificare l’esistenza degli “accessori” anteriormente al 1993, in quanto la c.t.u. “non è un mezzo di prova, ma un mero strumento di ausilio del giudice per valutare la prova già acquisita giusta l’opera delle parti”, sicché “è precluso supplire con essa alle carenze in punto di onere di allegazione e prova”; v. di questo Tribunale, sez. III-ter, la sent. 11 luglio 2017, n. 8211).
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