T.A.R. per il Veneto, Sez. Seconda, Sentenza n. 473 del 2013, pubbl. il 03/04/2013

[…]

FATTO

Premettono gli odierni ricorrenti, […] e […], attuali comproprietari di un immobile costituito da una porzione di bifamiliare ubicata in […], catastalmente censita al foglio 7, mapp.le 1279 :
che nel novembre del 1990 gli allora proprietari del terreno contraddistinto dal mappale 1279 ([…] e […], alla quale è subentrato […]) presentavano domanda per la costruzione di un fabbricato bifamiliare;
che il titolo edilizio si perfezionava per silenzio assenso, pur con l’invito dell’amministrazione a produrre documentazione integrativa ed a variare il progetto, ipotizzando un contrasto con l’art. 16 n.t.a. della Variante al PRG per le “Zone Rurali”; documenti successivamente trasmessi dal tecnico incaricato dagli allora proprietari, con le relative precisazioni;
che a seguito della comunicazione di avvio dei lavori veniva emessa ordinanza di sospensione,
che l’amministrazione ordinava successivamente la demolizione di parte delle opere in quanto abusive, “considerato che l’area edificabile formatasi con l’approvazione della variante alla Zone Rurali (del GRV n. 6507 del 9/12/1989) è definita dal mapp. 948/b- 244/b con l’esclusione del mappale 949/c (ora porzione ovest del mappale 1279)”, provvedimento che veniva impugnato davanti al Tribunale Amministrativo;
che, denegata da parte del Comune l’istanza per il completamento dell’edificio bifamiliare, parimenti impugnata, il Tribunale Amministrativo si pronunciava favorevolmente sui ricorsi proposti avverso l’ordine di sospensione lavori e di demolizione con sentenza n. 95/1992;
che l’accoglimento in primo grado dei ricorsi consentiva ai proprietari di proseguire nell’edificazione, in conformità del progetto inizialmente assentito;
che veniva successivamente ottenuta la dichiarazione di abitabilità dell’immobile da parte del Comune di […];
che con rogito rep. N. 48651 del 13.12.2000, i comproprietari […], […] e […] scioglievano la comunione, assegnando la piena proprietà, relativamente all’unità abitativa avente accesso al civico […] di via […] al sig. […] e per l’unità abitativa con accesso al civico […] della medesima via ai signori […] e […], odierni istanti;
che interveniva la dichiarazione di perenzione per quanto riguarda il ricorso proposto avverso il diniego di completamento dell’edificazione, in precedenza opposto dall’amministrazione;
che a seguito dell’appello proposto dal Comune avverso la sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato accoglieva l’appello con sentenza n. 7430/2006;
che tale decisione determinava l’adozione da parte del Comune di un nuovo ordine di demolizione, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/01,che veniva notificato agli odierni ricorrenti.
Ciò premesso, pur essendo stata impugnata la nuova ordinanza di demolizione assunta dal Comune, con nota del […].2010 l’amministrazione invitava i ricorrenti a presentare richiesta di sanatoria, invito accolto con la presentazione da parte dei ricorrenti di una nuova istanza, datata […].2009, al fine di addivenire ad una soluzione che potesse conservare lo stato dell’immobile.
Nonostante la comunicazione effettuata dal legale dei ricorrenti circa lo stato dell’immobile, collocato in ambito caratterizzato da dissesto idraulico, già coinvolto negli allagamenti verificatisi nel 2007, nonché l’estraneità degli istanti agli abusi commessi dai loro danti causa e le difficoltà economiche per far fronte all’ingente esborso connesso al pagamento della somma dovuta per la sanatoria, (per quanto riguarda il capanno degli attrezzi, i ricorrenti avevano altresì manifestato la volontà di disporne la spontanea demolizione), il Comune, terminata l’istruttoria, comunicava con provvedimento del […].2011, confermando le precedenti ordinanze di pagamento del 17.9.2009, così come riportati in epigrafe, la sanzione pecuniaria ex art. 36 D.P.R. 380/01 per la sanatoria ordinaria pari ad € 5.338,00, cui vanno aggiunti € 1.000,00 per le sanzioni ex art.37, in relazione alle opere per le quali era stata riscontrata la doppia conformità, nonché la sanzione pecuniaria ex art. 34 alternativa alla demolizione per la restante parte abusiva, non suscettibile di demolizione senza compromissione della parte conforme, per un ammontare pari ad € 128.453,00.
Avverso i suddetti provvedimenti con il ricorso in oggetto parte istante ha dedotto i seguenti motivi di illegittimità:
Violazione dell’art. 34 D.P.R. 380/01, degli artt. 12 e 14 della legge n. 392/78, violazione del D.M. 9.11.1994 e del D.M. 30.1.1997; travisamento ed erroneità del presupposto, illogicità, eccesso di potere per difetto di motivazione.
Violazione degli artt. 12 e 21 della legge 392/78, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e perplessità.
Violazione del principio di proporzionalità, irragionevolezza.
Violazione dell’art. 10-bis l. 241/90, violazione del procedimento, difetto di motivazione.
Violazione della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
Nello svolgere i motivi di ricorso così riassunti, parte istante rileva in primo luogo come il computo dell’ammontare della sanzione da irrogare in alternativa alla demolizione, ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 380/01, debba essere effettuato in applicazione del metodo di calcolo dettato dalla legge n. 392/78, giusto il richiamo espresso a tale legge contenuto nella disposizione citata, così dovendosi applicare una sanzione pari al doppio del costo di produzione dell’immobile che, secondo la normativa richiamata, è pari al costo base (fissato dall’art. 14 L. 392/78) moltiplicato per i coefficienti correttivi indicati dall’art. 15, stabiliti in funzione del tipo, della classe demografica dei Comuni, dell’ubicazione, del livello del piano, della vetustà e dello stato di conservazione e manutenzione dell’immobile.
Ciò premesso, parte istante contesta l’utilizzazione da parte del Comune del parametro “costo base di costruzione” pari ad € 1.050,84, riferendo il valore al metro quadro dell’immobile all’epoca in cui è stata irrogata la sanzione pecuniaria.
Diversamente opinando, parte istante, invocando il disposto di cui alla legge 392/78, ritiene che il parametro da utilizzare sia quello del valore rapportato alla data in cui i lavori sono stati ultimati o a quella in cui è stato rilasciato il certificato di abitabilità.
Nella specie, quindi, facendo riferimento alla data di rilascio del certificato di abitabilità, risalente al luglio del 1994, i valori da prendere a riferimento sarebbero dovuti essere quelli indicati dal D.M. del 30.1.1997, se non addirittura del D.M. 9.11.1994 facendo riferimento alla data di ultimazione lavori, risalente al 23.4.1992.
Per altro profilo, il computo effettuato dal Comune risulta illegittimo in quanto, nell’applicare i parametri indicati dalla legge 392/78, in particolare quelli individuati dall’art. 21, che interessano lo stato di conservazione e manutenzione dell’immobile, l’amministrazione ha erroneamente classificato lo stato dello stesso come “normale” e quindi applicato il coefficiente “1,00”: in realtà la valutazione dello stato di conservazione e manutenzione dell’immobile non corrisponde allo stato del bene, che ancora oggi risente delle peculiari condizioni dell’area sulla quale insiste, già interessata da allagamenti che hanno lo hanno deteriorato, così che lo stesso avrebbe dovuto essere qualificato “scadente” o al massimo “mediocre”, con applicazione dei relativi coefficienti.
Per altro verso parte istante denuncia l’illegittimità del computo delle superfici effettuata dal Comune, che in realtà, così come indicate nella relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria, risultano di dimensioni inferiori a quelle indicate nel provvedimento impugnato.
Proseguendo nell’esposizione dei motivi di ricorso, parte istante denuncia infine l’abnormità della somma richiesta in alternativa alla demolizione, considerato il valore di mercato di immobili contermini, senza considerare che tutta la vicenda che aveva tratto avvio da un titolo mai annullato dall’amministrazione.
Da ultimo la difesa istante, rilevata la violazione delle garanzie di partecipazione con riguardo all’applicazione dell’art. 10-bis, ha altresì evidenziato che gli abusi per i quali ora i ricorrenti sono chiamati a versare l’ingente somma richiesta sono imputabili ai loro danti causa, avendo i ricorrenti acquistato l’immobile ad opere già completate.
Si è costituito in giudizio il Comune di […], la cui difesa, dopo aver anch’essa ripercorso tutta la complessa vicenda che ha dato luogo alla controversia, ha concluso ribadendo la legittimità dei provvedimenti assunti in ordine alla quantificazione delle sanzioni pecuniarie inflitte, concludendo per il rigetto di tutte le censure dedotte.
Rinunciata l’istanza cautelare da parte dei ricorrenti al fine di addivenire ad una soluzione della controversia, anche in considerazione della decisione del Comune di sospendere i provvedimenti impugnati; non essendo tuttavia intervenuta alcuna modifica della situazione, all’udienza del 13 marzo 2013, acquisite le rispettive memorie conclusive e di replica, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
I provvedimenti oggetto del ricorso proposto dai signori […] costituiscono l’epilogo della annosa vicenda, ampiamente ricordata in fatto, che ha interessato l’immobile di proprietà.
Definito il giudizio proposto contro l’ordine di demolizione imposto dal Comune con sentenza del Consiglio di Stato n. 7430/2006, da cui la conferma della legittimità dei provvedimenti demolitori in precedenza adottati dal Comune, è intervenuta la nuova ingiunzione di demolizione, cui ha tuttavia fatto seguito la nuova istanza di sanatoria dagli stessi presentata nel maggio del 2009, in occasione della quale, così come riportato nella relazione tecnica alla stessa allegata, è stata confermata l’abusiva realizzazione del fabbricato di proprietà per una porzione ridotta su area C.1 a destinazione residenziale e di completamento e per la maggior parte del suo sviluppo in zona territoriale omogenea non edificabile ([…]).
Conseguentemente è stata richiesta la sanatoria ex art. 36 per la porzione realizzata abusivamente in area edificabile, stante la cd. “doppia conformità”, e la possibilità di convertire la sanzione ripristinatoria in quella pecuniaria, ex art. 34, per la restante parte non sanabile.
I provvedimenti impugnati con il ricorso in oggetto hanno determinato l’accoglimento delle istanze presentate dai ricorrenti, disponendo sia la sanatoria ex art. 36 che la quantificazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione ex art. 34 D.P.R. 380/01.
Parte ricorrente contesta, tuttavia, sotto molteplici aspetti, l’ammontare delle somme pretese dall’amministrazione, in modo particolare per quanto riguarda i criteri utilizzati per il calcolo della sanzione alternativa alla demolizione.
Ritiene il Collegio che le censure dedotte non siano meritevoli di accoglimento.
Quanto al primo profilo dedotto, i ricorrenti contestano l’erroneità dei criteri applicati per la determinazione della sanzione pecuniaria, in quanto in applicazione del metodo indicato dalla legge 392/78, il calcolo del “costo di produzione”, da moltiplicare poi per i coefficienti rapportati allo stato di manutenzione e conservazione dell’immobile, è stato riferito al valore al metro quadro del bene alla data di irrogazione della sanzione e non, come previsto dalla normativa espressamente richiamata dal T.U.Edilizia, al valore del bene al momento in cui i lavori sono stati ultimati o a quella di dichiarazione dell’agibilità.
Se si fosse seguito il criterio proposto dal tecnico dei ricorrenti nella relazione, che ha fatto riferimento ai diversi parametri e quindi ai diversi valori così come dettati dai decreti ministeriali succedutisi nel tempo, l’ammontare della somma dovuta sarebbe stato inferiore.
L’impostazione di parte ricorrente non può tuttavia essere condivisa, in quanto se è indubbio che la normativa del T.U.Edilizia ha effettuato il richiamo ai criteri dettati dalla legge sull’Equo Canone, è altresì vero che detto richiamo deve essere rapportato alla funzione che assolve la sanzione inflitta, la quale viene irrogata in alternativa all’ordine di ripristinare lo stato dei luoghi.
Ne consegue che il calcolo dell’ammontare della sanzione pecuniaria dovrà essere effettuato tenendo conto del momento in cui la stessa viene irrogata, in applicazione del principio generale per cui gli interventi abusivi sono sanzionabili in base alla disciplina vigente al momento in cui avviene la repressione.
Ciò vale sia per la sanzionabilità in genere dell’opera sia per la misura della sanzione pecuniaria, da riferirsi anch’essa alla valutazione dell’abuso al momento della relativa irrogazione, poiché quest’ultima si riconnette, per equivalente, alla sanzione alternativa alla demolizione e mira ad eliminare il plus valore economico conseguente all’abuso realizzato.
Ne consegue che ai fini della determinazione della sanzione da infliggere per la realizzazione di opere edilizie abusive, deve tenersi conto del valore delle stesse al tempo della relativa irrogazione e non a quello corrente al momento della commissione dell’abuso, atteso che solo così operando l’autore dell’abuso non gode di un lucro rispetto all’alternativa sanzione della demolizione.
L’applicazione dei richiamati principi anche nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, si debbano utilizzare i criteri indicati per la determinazione del costo di produzione dalla legge sull’Equo Canone, deve pertanto comportare l’adeguamento dei valori cui fare riferimento, nella specie il valore al metro quadro dell’immobile, al momento in cui la sanzione viene irrogata, atteso che, diversamente opinando, si determinerebbe un ingiusto arricchimento per il proprietario dell’immobile abusivo, che già si avvantaggia della possibilità di non dover demolire il proprio immobile.
Per quanto poi attiene al coefficiente utilizzato, parte istante denuncia l’illegittima applicazione del coefficiente “1,00”, riferito ad un edificio in stato di conservazione e manutenzione normale, sostenendo che la valutazione operata dall’amministrazione in sede istruttoria non avrebbe correttamente valutato lo stato di vetustà dell’immobile, anche a seguito degli eventi alluvionali che lo avevano coinvolto nel 2007 e che ancora lo caratterizzano per effetto del dissesto idraulico dell’ambito in cui è localizzato.
Sul punto l’istruttoria effettuata dal Comune non ha riscontrato particolari condizioni di degrado dell’immobile, riconducendo lo stato di conservazione e manutenzione dello stesso al livello “normale”, riportando eventuali presenze di condense, umidità o infiltrazioni entro i limiti della normale manutenzione del bene.
Né può assumere di per sé valore il solo fatto che l’ambito in cui è localizzato sia caratterizzato da una situazione di dissesto idraulico (correttamente la difesa dell’amministrazione sottolinea che dette opere non potevano essere ivi realizzate anche per la natura dell’ambito), né controparte ha negato che per gli avvenimenti alluvionali del 2007 sono stati conseguiti i previsti contributi economici, proprio al fine di consentire il recupero dell’immobile.
Per quanto riguarda il terzo motivo, con il quale viene contestata la quantificazione delle aree da considerare ai fini del computo della sanzione, non emergono elementi tali da far dubitare dei calcoli effettuati dall’amministrazione, la quale nel provvedimento impugnato ha dettagliatamente indicato le superfici da considerare e per ciascuna porzione ha puntualmente indicato il contrasto dell’opera ivi realizzata con le disposizioni urbanistiche, includendo anche la parte di opere abusive realizzate su area agricola.
Non sussistono quindi i presupposti per dare luogo ad un’indagine da parte del Tribunale, che possa sostituirsi a quella già operata dall’amministrazione.
Quanto alle ulteriori censure, dando atto che i ricorrenti sono stati posti nelle condizioni di interloquire con l’amministrazione e che l’applicazione delle sanzioni era in ogni caso dovuta a seguito della definizione del giudizio che ha confermato l’abusività delle opere, in atti si rileva che l’ammontare della sanzione, per quanto consistente (tenuto conto che è la stessa legge ad imporre il versamento del doppio del costo di produzione), rappresenta l’epilogo di una situazione di abusività che si è protratta per anni e della quale comunque i ricorrenti si sono avvantaggiati, ottenendo il mantenimento in essere dell’opera abusiva.
Peraltro, la stessa amministrazione si è più volte dichiarata disposta a concordare con i ricorrenti la possibilità di un pagamento rateizzato del dovuto.
Un ultimo profilo da esaminare è, infine, quello della responsabilità per gli abusi rilevati, che i ricorrenti ritengano debba imputarsi ai loro danti causa.
Va ricordato a proposito che, per principio generale in materia di responsabilità amministrativa per abusi edilizi, l’ordine di demolizione o nel caso di specie la sanzione alternativa ex art. 34, può essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, perché l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso.
Appare altresì utile ricordare, sul tema dell’applicabilità delle misure sanzionatorie in materia edilizia e della buona fede del terzo acquirente o, più in generale, del proprietario non responsabile dell’attività illecita, l’orientamento giurisprudenziale, che trae spunto dalla sentenza di Corte costituzionale n. 345 del 15 luglio 1991 (in Cons. Stato 1991, II, 1276), sviluppatosi in materia di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva nel caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, di cui all’art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001.
A tal proposito la giurisprudenza distingue l’ordine di demolizione dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva.
L’ordine di demolizione può legittimamente essere adottato nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell’abuso, perché, come si ripete, l’abuso edilizio costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio e non prevede l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso (ex multis, T.A.R. Napoli, Sez. IV, 16 maggio 2008 n. 4715; T.A.R. Umbria 1 giugno 2007 n. 477, in questa Rassegna 2007, II, 1363; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 25 ottobre 2006 n. 3836; T.A.R. Salerno, Sez. II, 15 febbraio 2006 n. 96).
Al riguardo va comunque osservato che (pur rilevando che almeno per quanto riguarda il ricorrente […], questi risulta proprietario ab origine richiedente il titolo per la realizzazione del fabbricato) resta in ogni caso ferma la possibilità (di cui pare si siano avvalsi i ricorrenti) di rivalersi nelle sedi competenti, laddove siano accertati i presupposti di responsabilità, nei confronti dei propri danti causa.
In conclusione, per tutte le considerazioni sin qui espresse, il ricorso non può trovare accoglimento …].