[…]
FATTO
1.- I ricorrenti, proprietari di un fabbricato con annessa corte-giardino, ubicato nel Comune di […], impugnavano il permesso di costruire in sanatoria n. […]/10, rilasciato dal Comune di […] in favore di […], proprietario di un immobile contiguo a quello dei ricorrenti, con cui erano stati autorizzati determinati lavori di carattere edile.
I ricorrenti contestavano il provvedimento impugnato, deducendo la violazione dell’art. 39 L. 47/1985, il difetto di motivazione e la violazione delle regole partecipative.
Con ricorso per motivi aggiunti chiedevano altresì accertarsi l’illegittimità dei lavori realizzati sulla base di s.c.ia. n. 1728 del 3.3.2011.
Il controinteressato […] si costituiva regolarmente in giudizio, contestando l’avverso ricorso, di cui argomentava l’inammissibilità e l’infondatezza, chiedendone il rigetto.
Il Comune di […] si costituiva, a sua volta, in giudizio contestando l’avverso ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare, eccepiva l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, per mancata impugnazione di precedenti titoli edilizi, nonché per carenza di interesse.
Alla pubblica udienza del 26 marzo 2015 la causa veniva trattenuta in decisione e definita con sentenza n. 1666 in data 27 luglio 2015, che disponeva l’annullamento degli atti impugnati.
2.- Su ricorso del controinteressato (e su ricorso incidentale del Comune), il Consiglio di Stato, con sentenza 5112/2015, annullava la sentenza, con rimessione al primo giudice, sull’assunto che non fosse stata rituale comunicazione di cancelleria di fissazione dell’udienza di discussione.
Alla pubblica udienza del 18 gennaio 2017, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- Il ricorso è fondato e merita di essere accolto.
Va, preliminarmente, disattesa l’articolata e ribadita eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione.
I ricorrenti hanno impugnato il permesso di costruire in sanatoria n. […]/10, rilasciato dal Comune di […] e hanno chiesto accertarsi l’illegittimità dei lavori iniziati sulla base della Scia presentata in data 3.3.2011, n. 1728: si tratta, con evidenza, di questioni che rientrano nella giurisdizione esclusiva del g.a, ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. a), n. 3) e lett.f) del c.p.a.
2.- Acclarata la sussistenza della giurisdizione del g.a. adito, va, altresì, respinta l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune resistente in relazione alla mancata impugnazione dei precedenti titoli edilizi.
Secondo le parti intimate, i ricorrenti hanno impugnato i provvedimenti meglio indicati in epigrafe con cui è stata autorizzata la chiusura e copertura di una scala, la cui realizzazione è stata già autorizzata nel 1990. I ricorrenti avrebbero dovuto, quindi, impugnare i titoli abilitativi rilasciati negli anni ’90 per la realizzazione della scala e non semplicemente i provvedimenti che hanno poi autorizzato la chiusura della stessa.
L’eccezione è priva di fondamento.
Con il permesso di costruire in sanatoria, impugnato con il ricorso principale, i ricorrenti sono stati autorizzati a realizzare, tra le varie opere, una muratura perimetrale tra gli elementi strutturali con definizione delle bucature che saranno completate con l’apposizione di infissi in ferro e vetro e una copertura di rivestimento di tegole e in cotto. Si tratta di opere che hanno un rilevante impatto sul territorio e, quindi, anche sui ricorrenti, proprietari di un fondo confinante; ne deriva che questi ultimi vantano un interesse diretto, concreto e attuale a impugnare il relativo provvedimento.
Tanto premesso, il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
Va evidenziato che in relazione al rilascio dei titoli edilizi abilitativi e della legittimazione del richiedente, occorre tener conto che, tra le limitazioni al diritto a costruire, ai fini del rilascio dei titoli abilitativi, anche in sanatoria, si è distinto in giurisprudenza tra limiti di natura “legale” e limiti di fonte “negoziale”.
In particolare nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (ad es. prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento, tra cui usufrutto e servitù, cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.
I limiti “legali”, difatti, trovano applicazione generalizzata e conservano sempre il medesimo contenuto, per cui concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.
Diversamente, per le limitazioni “negoziali” del diritto di costruire, cui può ricondursi anche il diritto di servitù di cui si discute, la giurisprudenza prevalente afferma l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego del titolo, sul presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati. Difatti mentre i limiti legali sono destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico, quelli negoziali ne esulano e quindi il comune non è tenuto a ricercarli (cfr., T.A.R. sez. VIII Napoli , Campania, 07/01/2015, n.30).
Tuttavia, anche nei casi in cui si è ammessa l’esistenza di un onere del Comune di verifica del rispetto dei limiti di natura privatistica, ciò è consentito solo ove essi siano o immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Nel caso di specie i ricorrenti contestano la concessione rilasciata in sanatoria perché il vano scala autorizzato occupa illegittimamente circa mq 18 della particella dei ricorrenti. Si tratta di un profilo che il Comune avrebbe dovuto accertare nello specifico prima di emanare il provvedimento in sanatoria; invece, Il Comune di […], nonostante tale aspetto, ha emesso il citato provvedimento senza valutare la sussistenza della titolarità della proprietà dell’area in capo al richiedente, ma riferendosi genericamente ad un rogito notarile da cui non si riesce a desumere nitidamente tale dato. Né può ritenersi che il profilo della proprietà dei richiedenti fosse già assorbito dal titolo abilitativo n. 5 del 30.1.1991, in quanto i lavori contestati sono stati realizzati in difformità dal titolo abilitativo originario.
Né rileva, ai fin dell’accoglimento o meno del ricorso, che il titolo edilizio sia stato rilasciato senza ledere i diritti dei terzi, in quanto, comunque, il titolo edilizio legittima un’attività che materialmente può andare a danno di altri soggetti e, quindi, la p.a. non deve emanare il provvedimento prima di aver verificato la sussistenza dei presupposti di legge, tra cui rientra la legittimazione a richiedere il permesso di costruire, che non può essere rilasciato su fondo di proprietà altrui.
Ne deriva, quindi, che il ricorso principale è fondato, perché il permesso di costruire in sanatoria n. […]/10, rilasciato dal Comune di […] è illegittimo per difetto di motivazione e di istruttoria e, pertanto, va annullato. Il Comune di […] dovrà, quindi, verificare in profondità la legittimazione ad agire dei richiedenti e rideterminarsi, in seguito ad apposita istanza del richiedente.
In questo senso va accolto anche il ricorso per motivi aggiunti, in quanto il Comune di […], in presenza di un tale quadro nebuloso, doveva valutare se intervenire, sospendendo l’inizio dei lavori.
Il controinteressato ha sul punto eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, perché non è possibile impugnare la scia che non costituisce un provvedimento amministrativo.
Va sul punto evidenziato che, fermo restando l’impossibilità di impugnare la s.ci.a., che non rappresenta un provvedimento amministrativo tacito direttamente impugnabile, come recita l’art. 19, comma 6 ter L. 241/1990, il ricorso per motivi aggiunti può, comunque, essere qualificato come domanda di accertamento dell’illegittimità dei lavori iniziati con conseguente dovere dell’amministratore di intervenire.
Il ricorso per motivi aggiunti va, quindi, accolto nei limiti di cui in motivazione.
La domanda di risarcimento dei danni va, invece, respinta, in quanto i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova al riguardo. […]