[…]
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
I ricorrenti sono proprietari di un terreno sito in […], ove è ubicato un fabbricato, adibito ad uso deposito di materiali o stivaggio di prodotti agricoli.
Al fine di ripristinare le funzionalità della struttura, in data 22 luglio 2003 gli istanti hanno ottenuto il rilascio del permesso di costruire n. 1/2003 per la realizzazione di opere di risanamento conservativo del suddetto edificio, consistenti nel rifacimento della copertura e nella realizzazione di bocche di lupo per la successiva apertura di finestre.
Sennonché, con ordinanza n. 76 del 12 marzo 2004, l’Amministrazione comunale, dopo aver riscontrato a seguito di sopralluogo che il fabbricato esistente era stato oggetto di completa demolizione e ricostruzione, pur riguardando il sopra citato permesso di costruire solamente opere di risanamento conservativo, ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori.
Alla suddetta ordinanza ha fatto seguito la presentazione da parte dei ricorrenti in data 22 novembre 2004 della DIA n. 695/2004 “in variante” rispetto al permesso di costruire n. 1/2003, per la demolizione e ricostruzione della muratura perimetrale, per la realizzazione di una rampa di accesso e per il cambio di destinazione d’uso da deposito ad autorimessa.
Il comune di […], considerato che la DIA aveva ad oggetto l’esecuzione di opere già in parte eseguite e valutata la necessità di verificare la conformità urbanistica delle stesse al PRG vigente e al Piano Particolareggiato, ha ordinato la sospensione dei termini per l’inizio dei lavori.
Nel proseguo, a seguito di nuovo sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 15 settembre 2005, è emersa la realizzazione di ulteriori opere oggetto della suddetta DIA in variante (bocche di lupo e rampe di accesso), nonostante l’istruttoria relativa alla DIA non fosse stata conclusa e il termine per l’inizio dei lavori fosse stato sospeso, sicché il comune di […] con ordinanza n. 244 del 22 settembre 2005 ha ribadito l’ordine di immediata sospensione dell’attività edificatoria.
La citata attività istruttoria si è conclusa in data 6 novembre 2006 con una comunicazione definitiva di diniego in virtù del riscontro di profili di incompatibilità urbanistica delle opere denunciate dai proprietari rispetto al PRG vigente, comunicazione altresì accompagnata dalla diffida dei ricorrenti dall’esecuzione dei lavori.
Con il presente ricorso i ricorrenti chiedono, pertanto, l’annullamento della succitata comunicazione di diniego e di ogni atto connesso, presupposto e conseguente.
A sostegno del proprio gravame, gli istanti hanno dedotto quattro motivi di ricorso con i quali hanno denunciato essenzialmente la violazione dell’ articolo 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’ articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990, nonché violazione di legge o eccesso di potere per difetto dei presupposti.
Si è costituito in giudizio il comune di […], che ha chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza nel merito.
In seguito ad un nuovo sopralluogo effettuato in data 12 aprile 2004 è stata confermata la permanenza della situazione di abuso relativamente al fabbricato in questione, sicché l’Amministrazione comunale ha ingiunto la demolizione dell’immobile mediante l’ordinanza n. 402 del 19 luglio 2007.
La suddetta ordinanza è stata poi impugnata dai ricorrenti con un successivo ricorso per motivi aggiunti, con il quale sono state essenzialmente denunciate in via derivata tutte le censure già formulate avverso il provvedimento di diniego/diffida principalmente impugnato, nonché la violazione dell’ articolo 10 bis della L. n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e l’eccesso di potere per indeterminatezza dell’oggetto.
Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. All’udienza pubblica del 7 giugno 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il Collegio ritiene che il ricorso non meriti accoglimento.
Ed invero, con la prima censura gli istanti hanno dedotto la violazione dell’allora vigente articolo 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 , in quanto l’Amministrazione comunale, avendo prima sospeso il decorso del termine per l’inizio dei lavori e richiesto documentazione integrativa e poi respinto l’istanza, avrebbe gestito in modo contraddittorio l’istruttoria relativa alla DIA presentata.
Al riguardo, al Collegio preme sin da subito precisare come l’istanza avanzata dai ricorrenti sia stata erroneamente qualificata come DIA in variante all’originario permesso di costruire, difettando palesemente di alcuni presupposti imprescindibili.
Per completezza, si evidenzia che il D.P.R. n. 380 del 2001 disciplina due differenti categorie di varianti: quelle “essenziali”, ai sensi degli articoli 31 e 32, e quelle “leggere”, ai sensi dell’articolo 22, comma 2; mentre le prime riguardano interventi che incidono su parametri urbanistici e sulle volumetrie, modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, alterano la sagoma dell’edificio e violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire, le seconde sono inerenti ad interventi di minore entità.
Per quanto qui d’interesse, si rileva altresì che le istanze per la realizzazione di varianti essenziali (tra le quali rientrano senza dubbio le opere di demolizione e ristrutturazione eseguite nel caso di specie) sono da considerarsi sostanzialmente quali richieste di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e sono soggette, quindi, alle disposizioni vigenti nel momento in cui viene chiesto al Comune di modificare il progetto originario, perché in effetti non si tratta solo di modificarlo, ma di realizzare un’opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.
Ne consegue che necessariamente le suddette istanze debbano essere presentate prima della realizzazione dei lavori oggetto delle stesse, data l’incisività delle opere da eseguire.
Ebbene, con riferimento al caso di specie, se, da una parte, come già precisato, le opere di demolizione e ricostruzione realizzate rientrano senza dubbio nel novero delle c.d. “varianti essenziali”, integrando appieno tutti i profili sopra elencati, dall’altra, non si può non rilevare come l’istanza sia stata inoltrata all’Amministrazione comunale dopo aver già eseguito parte delle opere per le quali era stata appositamente presentata.
Alla luce di quanto sino ad ora affermato, dunque, il Collegio ritiene che nulla possa essere contestato all’operato dell’Amministrazione comunale, in quanto effettivamente i ricorrenti hanno dapprima realizzato le opere di demolizione e ricostruzione senza un valido titolo a supporto e poi hanno presentato una DIA “in variante” all’originario permesso di costruire, in realtà attinente ad opere in parte già eseguite e, nonostante ciò, non corredata da alcuna istanza di sanatoria. A ciò si aggiunga altresì la mancata compatibilità urbanistica delle opere, come necessariamente verificato dal Comune intimato.
Ne discende dunque l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno censurato la legittimità del provvedimento di diniego impugnato in quanto l’Amministrazione comunale avrebbe omesso di comunicare agli stessi i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza presentata.
La censura è infondata, avendo il comune di […] comunicato più volte ai ricorrenti i profili di criticità attinenti agli interventi edilizi oggetto della DIA, rappresentati dal contrasto degli stessi rispetto alla disciplina relativa al Piano Particolareggiato del PLIS […], ciò appositamente attraverso il telegramma del 23 dicembre 2004, le richieste di integrazioni documentali e il richiamo all’istruttoria non conclusa in tutti i provvedimenti adottati successivamente.
Ne discende, dunque, che i ricorrenti fossero a conoscenza dei motivi ostativi ben prima dell’adozione del provvedimento di diniego.
Inoltre, prescindendo dalle suesposte considerazioni, al Collegio preme precisare che, in ogni caso, la mancata comunicazione dei motivi ostativi non avrebbe potuto comportare ex se l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto “la norma sancita dall’ art. 10 bis, L. 7 agosto 1990 n. 241 va interpretata alla luce del successivo art. 21 octies comma 2 il quale, nell’imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle disposizioni sul procedimento o sulla forma dell’atto, allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2017, n. 1001).
Ed invero, alla luce della citata giurisprudenza, la suddetta censura di natura procedimentale, anche se accolta, non avrebbe potuto incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento stesso, determinandone l’illegittimità, avendo il Collegio sopra confermato la legittimità delle motivazioni che sono state poste a sostegno del diniego dell’istanza.
Non coglie nel segno nemmeno il terzo motivo di ricorso, a mente del quale i ricorrenti ritengono che l’Amministrazione comunale abbia errato nella scelta del provvedimento conclusivo adottato al termine dell’istruttoria, che avrebbe dovuto consistere in un annullamento della DIA e non in un provvedimento di diniego.
Al riguardo, se da una parte la legge effettivamente non specifica il tipo di provvedimento che l’Amministrazione comunale deve adottare per l’esercizio del potere inibitorio rispetto ad una DIA, dall’altra, entrando nel merito della natura del provvedimento, il Collegio non comprende come possa essere adottato un provvedimento di annullamento nei confronti di un’istanza che, erroneamente qualificata come una DIA in variante al permesso di costruire e riguardante opere già eseguite (denunciate come da realizzare ex novo), non ha mai dato origine ad un permesso edilizio produttivo di effetti, potendo essere annullato un provvedimento solo qualora risulti illegittimo ma produttivo di effetti.
Infatti, presupposti indefettibili affinché una DIA possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, requisiti non compiutamente soddisfatti nel caso di specie.
Infine, con il quarto motivo di ricorso, gli istanti sostengono che l’inizio dei lavori non avrebbe dovuto essere inibito dall’Amministrazione comunale, in quanto gli stessi non sarebbero stati incompatibili con le NTA del PLIS.
A parere del Collegio, anche tale censura è infondata, non rientrando i lavori di demolizione e ricostruzione della muratura perimetrale (insieme all’inserimento di una rampa di accesso) nella categoria di interventi ammissibili in relazione alle costruzioni esistenti, ossia “manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo”, così come espressamente previsto dalle NTA del PLIS.
Con riferimento al ricorso per motivi aggiunti, il Collegio ritiene che il rigetto del ricorso principale assorba in via derivata l’esame delle successive censure dedotte avverso il consequenziale ordine di ingiunzione di demolizione delle opere abusive, frutto di un nuovo sopraluogo della Pubblica Amministrazione che ha rilevato la permanenza dei profili di abusività con riferimento all’immobile in questione.
Ciò nonostante, il Collegio non si esime dal rilevare come, oltre all’infondatezza derivata di tutti i profili di illegittimità già denunciati con il ricorso principale, debba essere altresì esclusa qualsiasi violazione delle norme procedurali di cui alla L. n. 241 del 1990 . Infatti, in generale, l’ordine di demolizione costituisce provvedimento che non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, ed i cui presupposti sono costituti unicamente dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3834, nonché T.A.R. Campania, sez. VIII, 4 settembre 2015, n. 4322); né, per lo stesso motivo, si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, senza che sussista alcuna violazione dell’art. 3 e 10 bis della L. n. 241 del 1990 , ciò in quanto, ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (cfr, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955).
Né in ogni caso, con riferimento al caso di specie, può essere contestata la genericità del suddetto ordine di demolizione, essendo lo stesso chiaro nell’indicare le opere da demolire, facendo espresso riferimento all’immobile “posto in via Milano a […], distinto in catasto con il mapp. n. (…) del fg. (…), ricadente in zona “CSP8″ del P.R.G.” e motivando sulla base del fatto che le opere sono rimaste “invariate rispetto ai precedenti sopralluoghi e completate dalle finiture (parapetto in ferro, portone di ingresso)”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto, unitamente al ricorso per motivi aggiunti.[…]