T. A. R. per l’Umbria Sez I – 590-2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

[…]

5.2. Accanto alla sanatoria legale di cui all’art. 36 del d.P.R. 327/2001, parte della giurisprudenza ha riconosciuto in via puramente pretoria la possibilità di sanatoria anche in presenza della sola conformità urbanistico edilizia con riferimento alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità, evidenziando l’evidente contrasto con i principi di buon andamento, economicità e ragionevolezza dell’attività amministrativa che si verificherebbe dando ingresso nell’ordinamento alla demolizione di opera solo formalmente abusiva ma sostanzialmente riedificabile nella stessa forma e consistenza dietro presentazione di istanza di rilascio di titolo edilizio ordinario.
La ratio sottesa alla c.d. sanatoria giurisprudenziale, è dunque da individuarsi nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera abusiva che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica in atto, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di istanza di rilascio in tal modo evitando uno spreco di attività inutili, sia per l’Amministrazione, che per il privato autore dell’abuso (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 6 luglio 2012, n.3961).
La tesi dell’ammissibilità di una sanatoria edilizia giurisprudenziale, era stata sostenuta in passato anche da talune pronunce dell’adito Tribunale (T.A.R. Umbria 14 gennaio 2011, n.9; vedi ex multis anche T.A.R. Abruzzo – Pescara 30 maggio 2007, n.583) oltre che del supremo consesso di Giustizia amministrativa (Consiglio di Stato sez. V, 28 maggio 2004, n.3431; id. sez. V, 21 ottobre 2003, n.6498; id. sez. VI, 7 maggio 2009 n.2835).
Anche l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (parere n. 52/2001) aveva espresso parere favorevole in ordine all’ammissibilità, entro certi limiti, di tale ulteriore forma di sanatoria, fermo restando la sanzione penale per l’illecito commesso nonché il pagamento di una oblazione maggiore rispetto all’ipotesi di doppia conformità.
5.3. Trattasi però di tesi oggi ampiamente minoritaria in giurisprudenza, se non del tutto recessiva.
Infatti, secondo l’orientamento oggi dominante, predicare l’operatività della sanatoria giurisprudenziale, consentendo la legittimazione postuma di opere originariamente e sostanzialmente abusive, significa tradire il principio di legalità, rinveniente dagli art. 24, 97, 101 e 113 cost., oltre che dall’art. 1 comma 1, L. n. 241 del 1990 (secondo cui “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”) sia in quanto svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e vincolante la disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della commissione degli illeciti, sia in quanto, estendendosi l’ambito oggettivo di applicazione del permesso di costruire in sanatoria, se ne violerebbe la tipicità provvedimentale, ancorata dalla norma primaria che lo prevede (art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001) alle sole violazioni di ordine formale. Inoltre, si finirebbe per premiare gli autori degli abusi edilizi sostanziali, a discapito di tutti coloro che abbiano correttamente eseguito attività edificatorie, nel doveroso convincimento di rispettare prescrizioni da altri, invece, impunemente violate e risulterebbe attenuata, se non addirittura neutralizzata, la forza deterrente dell’apparato sanzionatorio posto a presidio della disciplina di governo del territorio (ex multis T.A.R. Campania Napoli sez. VIII, 3 luglio 2012, n.3153; T.A.R. Toscana sez. III, 13 maggio 2011, n.837; Consiglio di Stato sez. V, 6 luglio 2012, n.3961).
5.4. Secondo poi una ulteriore tesi “mediana” – del tutto minoritaria – la pur riconosciuta impossibilità a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, di autorizzazione postuma senza la “doppia conformità” potrebbe “bilanciarsi” in sede sanzionatoria, potendosi in tal segmento procedimentale – del tutto autonomo seppur connesso – valutare l’irrazionalità della demolizione (T.A.R. Piemonte 18 ottobre 2004, n. 2506) ai fini dell’applicazione di una diversa sanzione.
5.5. Osserva il Collegio come, in linea di principio, l’istituto della sanatoria giurisprudenziale possa rispondere effettivamente ad esigenze di buon andamento dell’azione amministrativa, dal momento che sarebbe obiettivamente in contrasto con il principio di ragionevolezza ed economia dei mezzi giuridici oltre che di giustizia sostanziale e di proporzionalità, procedere alla demolizione di manufatto abusivo realizzabile dall’interessato con la stessa forma e consistenza immediatamente dopo, mediante la presentazione di istanza di rilascio di titolo ordinario.
Si tratterebbe, come osservato da parte della dottrina, di una mera causa di legittimazione postuma delle opere, sotto il profilo esclusivamente amministrativo, diversamente dalla sanatoria legale che come è noto ha effetto estintivo (pur se non automatico cfr. Cassazione penale sez. III, 5 luglio 2010, n.25387) dei correlati reati edilizi.
E’ però vero che risulta arduo, anche sul piano sistematico, ammettere un’istituto con valenza sanante non previsto dalla legge ed anzi in contrasto con la espressa previsione dell’art. 36 T.U. edilizia, in considerazione della stessa eccezionalità degli strumenti di sanatoria (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 13 febbraio 2013, n.894) per i quali sembrerebbe incompatibile la stessa predicabilità di forme atipiche, avendo il principio di legalità e tipicità dell’attività autoritativa in questa materia valenza ancor più stringente. Non si tratta, infatti, di autotutela con funzione di conservazione di pregressa attività illegittima, bensì di sanatoria del tutto atipica inerente l’attività illecita dei soggetti privati quale la realizzazione di manufatto privo del necessario titolo abilitativo, non rinvenendosi nell’ordinamento un generale ed indistinto principio di sanabilità dell’attività illecita (ex multis T.A.R. Piemonte 18 ottobre 2004, n. 2506).
5.6. Potrebbe in ipotesi allora porsi d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art 17 della legge regionale umbra e del corrispondente art. 36 t.u. edilizia nella parte in cui limitano o non prevedono con carattere di generalità tale forma di sanatoria “minore” – con la doverosa sottoposizione al pagamento di oblazione in misura maggiore, in ossequio al principio di uguaglianza – poiché parrebbe porsi in contrasto con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza (art. 3 Cost.) l’identica sanzionabilità di situazioni obiettivamente diverse, quali la realizzazione di opera toutcourt abusiva e la realizzazione di opera originariamente abusiva ma poi divenuta conforme ai successivi strumenti urbanistici.
La Corte Costituzionale ha più volte ribadito al riguardo la natura di principio, tra l’altro vincolante per la legislazione regionale, della previsione della “doppia conformità” (sent. nn. 31 marzo 1998 n. 370; 13 maggio 1993 n. 231; 27 febbraio 2013, n. 101) seppur con precipuo riferimento inizialmente ai soli profili penalistici (sent. 370/1998 e 231/93).
Con tale ultima pronuncia, in riferimento a giudizio di costituzionalità di legge regionale della Toscana, ha affermato che il rigore insito nel principio della “doppia conformità” trova la propria ratio ispiratrice nella “natura preventiva e deterrente” della sanatoria in questione, “finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’ istanza per l’accertamento di conformità.
La Consulta ha dunque già vagliato anche sotto il profilo amministrativo la costituzionalità della disciplina in questione, nel senso della assoluta inconciliabilità tra l’istituto legale e quello pretorio, ragion per cui ritiene il Collegio di non dover sollevare d’ufficio questione di legittimità costituzionale, da ritenersi manifestamente infondata alla luce delle precisazioni del giudice costituzionale – come peraltro incidentalmente già rilevato (Consiglio di Stato sez. V, 11 giugno 2013, n.3220) – se non inammissibile.
In disparte per tanto ogni considerazione, sul piano della opportunità, in merito al mancato riconoscimento in via normativa di tale forma di sanatoria, è da escluderne la creazione per via ermeneutica, come vorrebbero i ricorrenti.
5.7. In definitiva, non è possibile l’estensione del permesso di sanatoria al di fuori dei presupposti della cosiddetta “doppia conformità”, di cui all’art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con la conseguenza che non può trovare applicazione l’istituto della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, poiché il principio di buon andamento, che fa ritenere illogico che si demolisca ciò che, al momento stesso, potrebbe essere autorizzato in base allo strumento vigente, deve recedere di fronte a quello, di pari rango costituzionale, di legalità che vuole che, anche in questa materia, siano osservate le disposizioni del legislatore (ancora T.A.R. Puglia Lecce sez. III, 9 dicembre 2010 n. 2816).
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/12/2014