Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 29 aprile 2013

[…]

Con atto depositato in Cancelleria in data 10 aprile 2013, il minore […] rappresentato dalla propria madre ex art. 273 comma I c.c., propone azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, evocando in giudizio il presunto genitore […]. L’atto introduttivo del procedimento riveste la forma del ricorso. La forma introduttiva del rito non è corretta.
In virtù della nuova formulazione dell’art. 38 disp. att. c.c., per effetto della legge 10 dicembre 2012 n. 219, la competenza sull’art. 269 c.c., anche in caso di minori, è del Tribunale ordinario.
Quanto al rito da seguire dinanzi al giudice di nuova designazione, secondo Trib. Varese, sez. I, ordinanza 22 marzo 2013 […] e Trib. Velletri, sez. civ., ordinanza 8 aprile 2013 […], deve optarsi per il modello processuale di cognizione ordinaria.
L’opinione espressa dai primi giudici di merito è confortata anche dai primi commenti di dottrina in cui si è osservato che «la nuova legge, là dove non riproduce nel catalogo delle controversie affidate al giudice specializzato le controversie di cui all’art. 269, comma 1, c.c., restituisce al tribunale ordinario i giudizi dichiarativi della paternità o della maternità naturale di figli minori e il relativo procedimento si svolge ora, anche quando si tratta di figli minori, nelle forme del processo ordinario di cognizione». Altri Autori hanno affermato che «per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità (già) naturale, quand’anche riguardi un minore (art. 269, comma 1°, cod. civ.), dovrà per forza di cose seguire il rito ordinario, poiché ha ad oggetto l’accertamento con autorità di giudicato di uno status soggettivo».
Questo Tribunale condivide l’opinione della Dottrina e dei giudici di merito già intervenuti.
Originariamente, la competenza per la dichiarazione giudiziale di paternità era concentrata interamente dinanzi al Tribunale ordinario. L’art. 68 della legge 184-1983 ha, successivamente, modificato il primo comma dell’art. 38 disp. att. c.c., attribuendo la competenza per materia al Tribunale per i minorenni sulle controversie di paternità e maternità naturale previste dall’art. 269, comma 1 c.c., relativi a minori. L’innovazione additiva del citato art. 68, comma I, ha introdotto una deroga all’art. 9, comma II c.p.c. (Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 19 giugno 1996 n. 5629) che, come detto, attribuiva indistintamente alla competenza del Tribunale ordinario tutte le cause relative allo stato delle persone. La legge 10 dicembre 2012 n. 219 ha eliminato la innovazione a suo tempo introdotta dall’art. 68 legge adozioni e, conseguentemente, rimosso la «deroga» che quella norma aveva previsto. Ne consegue che è stato ripristinato il regime giuridico anteriore all’entrata in vigore della legge 184/1983. Orbene, prima della modifica dell’art. 38 disp. att. c.c., ad opera dell’art. 68 l. 184/83, il procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità riguardo ai minori, seguiva le norme del rito ordinario e si concludeva con sentenza suscettibile di passare in giudicato (v. ad es., Cass. Civ., sez. I sentenza 18 gennaio 1980 n. 430). La conseguenza fisiologica è, allora, che – per effetto della Legge 21972012 – adesso l’azione ex art. 269 c.c., anche in caso di minori, deve seguire il modello processuale ordinario e non anche quello camerale.
Affermata la necessità del rito ordinario, occorre interrogarsi circa le sorti del giudizio che sia stato introdotto con ricorso invece che con citazione. I primi giudici di merito hanno già offerto soluzione al quesito, reputando possibile e necessaria la conversione del rito ex officio. Si tratta, a ben vedere, dell’applicazione del principio (ormai) generale scolpito nell’art. 4, comma I, del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 dove è regolato il cd. switch procedimentale (mutamente del rito) con una norma applicabile anche dove, in luogo di uno dei modelli processuali tipici, si sia optato – per errore – per il rito camerale. L’art. 4, comma I, del decreto 150/2011, pur regolando la conversione, non ne esplicita le modalità, soprattutto là dove come, nel caso di ricorso camerale ex art. 737 c.p.c. in luogo della citazione ex art. 163 c.p.c., l’atto presenti delle omissioni che non lo rendono conforme al modello introduttivo previsto dal processo applicabile. In casi del genere, il giudice non può limitarsi a pronunciare la conversione ma deve provvedere a disporre la integrazione degli atti per ripristinare l’architettura procedimentale applicabile.

PER QUESTI MOTIVI

Visti gli artt. 269 c.c., 38 disp. att. c.c.,
DISPONE ex officio il mutamento del rito da camerale a ordinario;
ONERA il ricorrente di integrare il procedimento mediante deposito in cancelleria, entro la data del […], dell’atto di citazione ritualmente notificato al convenuto, unitamente all’originario atto introduttivo del giudizio ed all’odierna ordinanza;
FISSA l’udienza ex art. 183 c.p.c. […]