[…]
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 3 maggio 2004 […] ha impugnato l’ordine di demolizione indicato in epigrafe, relativo all’intervento edilizio abusivo, effettuato in assenza di idoneo titolo abilitante, sul lastrico solare dell’appartamento di sua proprietà alla via […] nel Comune di […].
Alla ricorrente è stato contestato, a seguito di due sopralluoghi eseguiti nel settembre 2003, di aver costruito in sopraelevazione “un corpo di fabbrica di circa mq. 190,00 in tufo con copertura a doppia falda alta mt. 3 al colmo e mt. 2,50 alla falda ” (in sostanza, una mansarda di 90 mq), già in costruzione nel 1996 ma ultimato oltre il termine del 31 marzo 2003.
Detta sopraelevazione era già stata oggetto di ordine di ripristino — disposizione dirigenziale n. […] del […]2003 — impugnata con ricorso R.G. 13515/2003 dichiarato improcedibile con sentenza di questa Sezione n. 2320/2004 in ragione dell’avvenuta presentazione della istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. 380/2001, oggetto del presente giudizio.
L’istanza di sanatoria, infatti, è stata respinta in quanto il manufatto ricade in zona F della Variante Generale al PRG adottata con delibera di Consiglio Comunale n. 35 del 19 febbraio 2001 (Parco territoriale e altre attrezzature e impianti a scala urbana e territoriale) sottozona Fb, quest’ultima disciplinata dagli art. 45 e 47 della Variante Generale che, nella zona in oggetto, consentono solo la manutenzione dei volumi legittimamente realizzati.
1.2. La ricorrente ha censurato il provvedimento sotto vari aspetti di violazione di legge (art. 32 l. 326/2003; art. 33 TUED; art. 3 l. 241/90) ed eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti.
2. Con ordinanza cautelare n. 3569/2004 questa Sezione ha respinto la domanda cautelare.
In seguito, il processo è stato dichiarato perento e riassunto nei termini di legge, per cui, stante la reiterazione dell’interesse della parte alla decisione, è stato rinviato all’udienza pubblica del 20 dicembre ed ivi trattenuto in decisione.
3. Il ricorso va respinto.
Con il primo motivo la ricorrente lamenta il mancato rispetto della sospensione dei procedimenti sanzionatori introdotta dalla legge 326/2003 per il periodo, inizialmente, fino al 31 dicembre 2003 e poi prorogato fino al 10 dicembre 2004, entro il quale poteva essere presentata domanda di condono.
Il motivo è di fatto improcedibile stante, da una parte, la mancata presentazione della relativa istanza e, dall’altra, l’avvenuta cessazione dell’efficacia sospensiva connessa alla pendenza del termine previsto dal combinato disposto del comma 25 dell’art. 32 della legge 329/2003 e del comma 3 dell’art. 44 della legge 47/85.
Quest’ultimo, d’altronde, prevede espressamente la perdita dell’efficacia sospensiva dopo lo spirare del termine ultimo per presentare la domanda di condono (decorso il termine del 30 settembre 1986 senza che sia stata presentata domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, la sospensione di cui al precedente primo comma perde efficacia) che, nel caso di specie, era fissato al 31 dicembre 2003/10 dicembre 2004.
L’effetto sospensivo della potestà sanzionatoria previsto dalla legge era finalizzato a permettere ad eventuali interessati di avvalersi della possibilità di presentare domanda di condono, la cui mancanza entro il termine ultimo del 10 dicembre 2004 produce l’effetto di far rivivere l’efficacia del provvedimento sanzionatorio, non essendovi più motivo di bloccare l’operatività della disposizione dirigenziale allorché sia venuta meno la possibilità di salvare le opere abusive, tanto perché la domanda sia stata rigettata quanto perché sia nel frattempo infruttuosamente scaduto il termine per la sua presentazione.
3.1. In ogni caso, la parte aveva presentato un’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 TUED, per cui, valutata la non conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici, il competente Servizio ha conseguentemente e debitamente irrogato la relativa sanzione prevista dalla disciplina urbanistica per il tipo di abuso realizzato.
4. Anche il secondo motivo di ricorso va respinto.
La ricorrente lamentava una presunta illegittimità del provvedimento conseguente, a suo dire, al fatto che il Comune non avesse preventivamente valutato ed accertato se le parti abusive potessero essere demolite senza pregiudizio per le preesistenti, trattandosi di “ ristrutturazione edilizia” ex art. 33 TUED.
La censura è palesemente infondata e del tutto generica, perché indimostrata oltre che, fondamentalmente, non verosimile.
La parte ha costruito ex novo una mansarda sopra un terrazzo, che non è quindi una parte integrata dell’edificio ma una superfetazione aggiunta e, come tale, in astratto eliminabile senza pregiudizio.
Nessun dubbio che si tratti di nuova cubatura e nuova edificazione che in nessun modo può assimilarsi alla nozione di ristrutturazione edilizia (art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001).
Acclarato ciò deve, pertanto, ritenersi del tutto fuori sesto la censura in argomento siccome riferita ad un’ipotesi (id est ristrutturazione abusiva), qui non in rilievo.
In ogni caso, mancherebbero le specifiche condizioni che, nelle fattispecie normative di seguito passate in rassegna, e come detto qui non configurabili, rendono predicabile una preliminare verifica di fattibilità rispetto all’esecuzione della disposta misura demolitoria.
Segnatamente, per giurisprudenza pacifica il privato sanzionato con l’ordine di demolizione per la costruzione di un’opera edilizia abusiva, non può invocare l’applicazione in suo favore dell’art. 12 comma 2, 1. n. 47 del 1985 (oggi, art. 34 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001), che comporta l’applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso in cui l’ingiunta demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, se non fornisce seria ed idonea dimostrazione del pregiudizio stesso sulla struttura e sull’utilizzazione del bene residuo, a nulla valendo che la demolizione implicherebbe una notevole spesa e potrebbe incidere sulla funzionalità del manufatto, perché per impedire l’applicazione della sanzione demolitoria occorre un effettivo pregiudizio alla restante parte dell’edificio, consistente in una menomazione dell’intera stabilità del manufatto.” (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 05 agosto 2013, n. 4056; nello stesso senso Cons. St., sez. VI 08 luglio 2011 n. 4102, per il quale in caso di opere eseguite in assenza di concessione edilizia e non in mera difformità, e in carenza di prova di elementi di fatto in ipotesi giustificativi dell’applicabilità della sola sanzione pecuniaria, non può trovare applicazione l’art. 12 comma 2, l. 28 febbraio 1985 n. 47, che prevede l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, se la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità).
Nel caso di specie nessuna prova in merito è stata fornita.
Per giurisprudenza pacifica e costante, inoltre, la valutazione di un tale ipotetico pregiudizio per le parti legittimamente realizzate è conseguente solo all’eventuale fase esecutiva, ossia successivamente alla mancata ottemperanza spontanea da parte dell’interessato: “L’impossibilità tecnica di demolire il manufatto abusivamente realizzato senza grave pregiudizio per l’assentito non incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, per cui la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive, quando ciò sia pregiudizievole per quelle legittime, costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinato alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.” (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 27 febbraio 2015, n. 717).
5. Infine, è priva di pregio la doglianza circa la mancata valutazione dell’interesse pubblico, da parte del Comune, in relazione all’ordine di rimessione in pristino, come pacificamente stabilito in giurisprudenza (ex plurimis, Cons. St.,sez. IV, 9 settembre 2017 n. 1313; T.A.R. Napoli Campania, sez. IV, 17 ottobre 2017 n. 4871; sez. VI, 20 marzo 2014, n. 1616).
6. Il ricorso, in conclusione, va respinto. […]