Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda Bis, Sentenza n. 3804 del 2013, dep. il 15/04/2013

[…]

FATTO e DIRITTO

1 – Con il ricorso indicato in epigrafe, l’istante censurava il provvedimento – reso dal Comune di […] – di sanatoria delle opere realizzate dai controinteressati, consistenti in un torrino di accesso al terrazzo di pertinenza dell’abitazione e in n. 2 zone d’ombra per il ricovero di autovetture.
Con una prima censura l’istante deduceva che sia un muro del torrino predetto che un palo di sostegno della c.d. zona d’ombra sarebbero stati realizzati sull’area di sua proprietà immediatamente confinante. Ne deriverebbe l’illegittimità del provvedimento gravato per difetto di istruttoria e la violazione degli artt. 22, 23 e 37, d.P.R. n. 380 del 2001.
Altresì, deduceva che nella d.i.a. in sanatoria per la realizzazione della predetta opera non si fa mai menzione della scala a chiocciola realizzata e necessaria per l’accesso al terrazzo, pur se essa era indicata tra le opere abusive nella determinazione dirigenziale di sanzione pecuniaria n. 49 del 20 marzo 2007 (allegato n. 14 all’atto introduttivo del giudizio).
Ancora, l’istante evidenziava che, nella prospettazione dei controinteressati, gli interventi per cui era richiesto accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37, d.P.R. n. 380 cit. si configurano come “pertinenziali” e comportanti la realizzazione di un volume inferiore al 20% del volume dell’edificio, non soggetti in quanto tali al regime del permesso di costruire. Tuttavia, invece, le opere sarebbero da considerare correttamente quali “ristrutturazione edilizia” e quindi soggette al rilascio del permesso, essendo finalizzate allo sfruttamento del manto di copertura dell’immobile come terrazzo non a livello, con conseguente modificazione della destinazione d’uso dello stesso e ampliamento della superficie della sottostante unità abitativa.
L’alterazione dell’aspetto architettonico dell’immobile determinerebbe l’inammissibilità della procedura ex art. 37 d.P.R. n. 380 cit..
Peraltro, l’immobile in argomento risulta sottoposto a vincolo […] di inedificabilità in altezza ai sensi di quanto disposto dalle NTA al PRG di […].
Con il secondo motivo, il ricorrente, peraltro deduceva la violazione delle NTA menzionate con riguardo anche all’art. 9.4 comma 5 che stabilisce che la distanza minima degli edifici dai confini di proprietà deve essere pari alla metà dell’altezza della fronte del fabbricato prospiciente il confine con un minimo di metri 5,00.
Ed inoltre, la c.d. zona d’ombra non sarebbe conforme a quanto previsto dall’art. 27 NTA poiché realizzata come tettoia con utilizzo dell’alluminio anodizzato come emerge anche dalla richiamata determina n. 49.
Il progetto depositato sarebbe poi ulteriormente carente sotto il profilo della mancanza della dettagliata relazione del progettista prescritta dall’art. 23 delle richiamate NTA del Comune di […] e della autorizzazione del medesimo confinante (risultando solo l’autorizzazione della proprietaria di altro immobile confinante peraltro limitatamente alla realizzazione della zona d’ombra).
L’istante, dunque, chiedeva l’annullamento del provvedimento reso in sanatoria ai sensi dell’art. 37, d.P.R. n. 380 del 2001 gravato, con conseguente riduzione in pristino dello stato dei luoghi mediante ordine di demolizione delle opere abusive oggetto dello stesso.
Si costituiva il Comune, chiedendo il rigetto del ricorso e precisando che al ‘torrino’ in esame va riconosciuta la qualità di pertinenza in quanto accessorio all’edificio principale, mentre ne va esclusa la natura di edificio, non risultano, peraltro applicabile la disciplina delle distanze.
Si costituivano, altresì, i controinteressati e, premesso che non vi era stato alcuno sconfinamento nella proprietà del ricorrente, che anzi aveva prima realizzato un muro di delimitazione delle rispettive proprietà, esponevano che:
a) l’accertamento della proprietà del muro è rimessa alla fase del merito nel giudizio instaurato dal ricorrente per danno temuto dinanzi al g.o.;
b) la denunzia di inizio attività presentata sarebbe completa di tutta la documentazione anche inerente alla scala a chiocciola realizzata;
c) la parziale esecuzione delle opere prima della denuncia di inizio attività era stata puntualmente sanzionata dal Comune;
d) la natura pertinenziale delle opere eseguite risulta dalla relazione tecnica asseverata;
e) quanto al vincolo […], l’immobile si troverebbe a distanza di circa mt. 750 dal perimetro dell’[…], sicchè il limite di in edificabilità in altezza sarebbe di diciannove metri nella specie da calcolarsi dalla somma del livello medio dell’[…] (4 mt.) + 6 mt. quale limite stabilito alla distanza di 300 mt. dal perimetro dell’[…] ai sensi dell’art. 715 bis del Codice della navigazione + 9 mt. quale ulteriore aumento per la distanza del fabbricato in questione;
f) in ultimo, essendo stato costruito il muro come prolungamento del preesistente muro di cinta, dovrebbe considerarsi ai sensi dell’art. 878 c.c., non rilevante ai fini della distanza ed essendo le due costruzioni in aderenza, dovrebbe trovare applicazione il principio della prevenzione, potendo essere i due edifici sopraelevati, dunque, in appoggio alla preesistente costruzione.
Contestava, peraltro, la sussistenza di alcun danno in ragione dell’opera effettuata. Chiedeva, pertanto, la reiezione del gravame.
All’udienza di discussione del 4 aprile 2013 a seguito di nuove memorie, la causa era trattenuta in decisione.
2 – Osserva il Collegio che la pretesa azionata da parte ricorrente si compone di due domande, l’una diretta all’annullamento del provvedimento reso dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 37, d.P.R. n. 380 cit., l’altra diretta ad ottenere il ripristino dello stato dei luoghi.
Con tutta evidenza, si verte nella specie in una controversia in cui da un lato si lamenta la lesione di una posizione di interesse legittimo con riferimento al rilascio del titolo in violazione delle norme che regolamentano l’edificazione di cui si chiede l’annullamento; sotto un secondo aspetto, però, è azionata, altresì, la violazione delle cd. limitazioni legali alla proprietà (distanze), che può trovare la sede di tutela anche dinanzi al giudice civile, nelle forme previste dagli artt. 871 e 872 del codice civile (che attribuiscono al privato il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni e, in alcuni casi, la riduzione in pristino).
Tuttavia, non possono non considerarsi le trasformazioni avvenute nel processo amministrativo, sia in forza del principio di “concentrazione di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi” oggi espressamente previsto dall’art. 7, 7° comma c.p.a. sia della generale ammissione di una azione di un giudizio di accertamento atipico. A riguardo basti ricordare la nota Adunanza Plenaria n. 15 del 2011 che ha affermato, tra l’altro i seguenti principi:
– “Nell’ambito di un quadro normativo sensibile all’esigenza costituzionale di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo finale del codice del processo amministrativo, dell’azione generale di accertamento non precluda la praticabilità di una tecnica di tutela, ammessa dai principali ordinamenti europei, che ha un fondamento nelle norme immediatamente precettive dettate dalla Carta fondamentale al fine di garantire la piena e completa protezione dell’interesse legittimo (artt. 24, 103 e 113 – D.Lgs. n. 104/2010)” .
– “Nel codice del processo amministrativo l’azione di accertamento può scaturire da un’interpretazione sistematica delle norme dallo stesso dettate, che prevedono la definizione del giudizio con sentenza di merito puramente dichiarativa agli artt. 31, c. 4, c.p.a. – D.Lgs. n. 104/2010 (sentenza dichiarativa della nullità), 34, c. 3, c.p.a. (sentenza dichiarativa dell’illegittimità quante volte sia venuto meno l’interesse all’annullamento e persista l’interesse al risarcimento), 34, c. 5, c.p.a. (sentenza di merito dichiarativa della cessazione della materia del contendere), 114, c. 4, lett. b, c.p.a. (sentenza dichiarativa della nullità degli atti adottati in violazione od elusione del giudicato), nonché dall’art. 34, c. 2, c.p.a., che, prevedendo che “in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”, non può che riferirsi all’azione di accertamento, per sua natura caratterizzata da tale rischio di indebita ingerenza, visto che le altre azioni tipizzate dal codice sono per definizione dirette a contestare l’intervenuto esercizio (od omesso esercizio) del potere amministrativo”.
Ne consegue che la controversia in esame deve essere intesa da un lato ad ottenere l’annullamento del provvedimento e dall’altro alla tutela del bene della vita sotteso, tramite l’accertamento della violazione della proprietà, con la conseguente domanda di risarcimento in forma specifica. Tuttavia, per quanto concerne la controversia in esame, la pretesa risarcitoria nei confronti della p.a. non può che derivare da un preventivo accertamento dell’illegittimità – per i motivi prospettati – del provvedimento gravato.
3 – Orbene, sul primo punto, deve essere richiamata – sia pur con riferimento all’accertamento di conformità di cui all’art. 37, d.P.R. n. 380 – la consolidata giurisprudenza (cfr. TAR Toscana, III, 11.3.2004 n. 675; Cons. St., V, 19.3.1999 n. 277; id., IV, 16.10.1998 n. 1306; Cass., II, 23.11.1999 n. 12984; id., 2.12.1995 n. 12459; id., 11.5.1994 n. 4577), formatasi in ordine alla disciplina sul condono edilizio di cui agli artt. 31 e segg. della legge n. 47/1985, in forza della quale non è precluso il rilascio della concessione in sanatoria per gli edifici realizzati in violazione delle distanze dai confini.
Ciò nella considerazione che il condono edilizio è volto a disciplinare i rapporti tra privato costruttore e Pubblica Amministrazione – con l’effetto di sanare l’opera abusivamente realizzata dal punto di vista amministrativo, penale e fiscale e di sottrarre l’autore dell’abuso alle sanzioni previste – ma non è idoneo ad incidere sui diritti soggettivi dei terzi, tanto è vero che il provvedimento di condono edilizio viene rilasciato, come avvenuto nella specie, “fatti salvi diritti di terzi”. Ne consegue che i proprietari dei fondi contigui possono sempre far valere la violazione delle distanze e chiedere la demolizione delle opere realizzate in violazione di dette distanze, ovvero il risarcimento dei danni.
La conclusione di cui sopra trovava conferma nella considerazione che anche in relazione al successivo condono edilizio di cui all’art. 39 della legge 23.12.1994 n. 724 – il cui testo originario, al secondo comma, precludeva espressamente (diversamente dal condono di cui alla legge n. 47/1985) la sanabilità delle opere in relazione agli abusi comportanti limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime – la violazione di dette distanze non è più preclusiva per il suo rilascio, in quanto il citato secondo comma è stato sostituito dall’art. 2, comma 37, della legge 23.12.1996 n. 662 (ora art. 11 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380), secondo il quale “il rilascio della concessione o autorizzazione in sanatoria non comporta limitazione ai diritti dei terzi”
4 – Pertanto, sotto un primo deve verificarsi se le opere effettuate, al di là dell’incisione sulla proprietà del ricorrente, risultassero assentibili ai sensi dell’art. 37 menzionato.
Posto che le eventuali pretese tra privati dovranno eventualmente trovare la loro naturale tutela dinanzi al giudice ordinario e che l’abusività – nei termini della parziale esecuzione prima della presentazione della denuncia di inizio attività costituisce dato presupposto della fattispecie in esame, tant’è che il Comune ha applicato due sanzioni pecuniarie di euro 616,46 ciascuna, in tale quadro, ai fini dell’esame della legittimità dell’atto impugnato, assumono rilievo le censure tese a contestare:
la difformità tra i lavori riportati nei progetti e quelli effettuati, con particolare riguardo alla mancata indicazione della scala a chiocciola, anche ai fini della rilevanza dell’intervento strutturale ed incisione sulla stabilità del solaio, del muretto e della nuova pavimentazione;
la erronea definizione di pertinenza degli interventi, invece rilevanti al fine dello sfruttamento e dell’ampliamento della sottostante unità abitativa, tali da qualificare gli stessi in termini di ristrutturazione per la quale è richiesto il permesso;
la sussistenza del vincolo […] di inedificabilità in altezza;
la qualificabilità come zone d’ombra dell’intervento sui posti auto.
Dalla documentazione in atti (in particolare relazione tecnica del CTU nella causa dinanzi al Tribunale civile di Civitavecchia n. 2492/07) si evince che – come rilevato dall’Amministrazione resistente – gli odierni controinteressati realizzavano “una scala di accesso alla copertura piana della terrazza della propria abitazione con relativo caposcala e un parapetto di protezione in muratura lungo il perimetro della terrazza”, nonché effettuavano “un nuovo manto di copertura della terrazza stessa, posando un pavimento in gres porcellanato di color terracotta”.
Nella relazione tecnica asseverata e depositata per la denuncia di inizio attività si la finalità di “accesso al terrazzo” della realizzazione del torrino. Ne deriva l’evidenza della presentazione del ‘torrino’ medesimo quale ‘copri scala’. Esso assume, conseguentemente una natura funzionalmente pertinenziale rispetto all’abitazione dei contro interessati.
Di poi va rilevato che, in ordine al vincolo […], la collocazione dell’edificio – come contro dedotto dai contro interessati – comporta il rispetto dell’altezza massima prevista.
Per quanto attiene ai posti auto, l’intervento è diretto al miglioramento in termini di impermeabilizzazione della copertura degli stessi.
Ne consegue che il provvedimento risulta immune dai vizi dedotti.
5 – Sotto il secondo profilo, il primo dato che assume rilievo è la verifica della proprietà dell’immobile su cui si è verificato l’abuso – non ai fini dell’esperibilità della domanda, quanto piuttosto della necessità di far salva la posizione del terzo – partendo dall’assunto di parte istante secondo cui:
un lato del parapetto e un muro del torrino sopra scala sul lastrico solare siano stati realizzati sulla proprietà del ricorrente medesimo;
un palo di sostegno della zona d’ombra dei posti macchina sia stato realizzato sulla proprietà confinante.
che vi sarebbe stata la violazione delle norme NTA sulle distanze
che si sarebbe verificato un pericolo per la stabilità del fabbricato.
Tuttavia l’accertamento della proprietà esula da questo giudizio.
Per quanto qui rileva, si deve precisare che con riferimento al ‘torrino’ – al di là della qualificazione datane in sede urbanistica – le norme che disciplinano le distanze, ancorché inserite in strumenti urbanistici, assolvono inevitabilmente anche allo scopo di disciplinare i rapporti di vicinato, incidendo sui limiti di utilizzazione dei suoli privati. Ne consegue (cfr. Cassazione civile, sez. II, 7 luglio 2004, n. 12464) che ciascun privato è obbligato all’osservanza ed ha interesse a che tali norme siano osservate anche dal vicino, e detto interesse assurge a rango di diritto soggettivo che integra la disciplina specifica dettata dal codice civile, pur se le dette norme siano inserite in un P.R.G. ed assolvano quindi, contemporaneamente, anche alla tutela di interessi generali.
Per quanto invece riguarda il muretto, esso costituisce un prolungamento di quello esistente, già elevato dal ricorrente. Di talchè va richiamato il consolidato principio dell’ordinamento, secondo il quale chi è abilitato a costruire in aderenza può farlo senza essere in alcun modo vincolato dall’altezza della preesistente costruzione posta sul confine del fondo finitimo.
In altre parole, se il ricorrente non avesse voluto lasciare al vicino la possibilità di costruire in aderenza non avrebbe dovuto egli per primo costruire sul confine.
Secondo le comuni regole, a chi edifica per primo su un fondo contiguo spettano due diverse facoltà, e cioè in primo luogo quella di costruire sul confine e in secondo luogo quella di costruire con distacco dal confine, osservando la distanza minima imposta dal codice civile ovvero quella maggiore distanza stabilita dai regolamenti edilizi locali.
Una volta operata la scelta, però, non può più essere sindacato il comportamento del vicino prevenuto che edifichi successivamente esercitando la facoltà di avanzare il proprio manufatto fino a quella preesistente.
In altra sede, semmai il ricorrente potrà azionare la pretesa al pagamento del 50% del valore del muro e della porzione di suolo eventualmente occupata.
Da ultimo va rilevato che la censura attinente alla eventuale alterazione della stabilità dell’edificio, tramite la costruzione sul terrazzo del ‘torrino’ ed il mutamento della pavimentazione non potrà che trovare apposito esame dinanzi al giudice civile.
6 – Per le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere respinto, fatte salve le azioni che il ricorrente potrà svolgere in sede civilistica a tutela della proprietà ed eventualmente tese a prevenire i danni alla stabilità dell’edificio o conseguentemente risarcitorie. […]