Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Seconda Quater, Sentenza n. 9116 del 2018, pubbl. 01/09/2018

[…]

FATTO

Il ricorrente […] è proprietario di un terreno di 1583 mq sito a […] distinto in catasto terreni di […], nonché al catasto edilizio urbano di […], ricadente, nel vigente PRG, in zona B “Recupero Urbanistico” – sottozona E2.1-“Residenziale di mantenimento e completamento”, interessata dal Piano Particolareggiato di iniziativa pubblica denominato Piano di Recupero Urbanistico n. 2 […], sulla base del quale i predetti asseriscono essere stato realizzato, in conformità con le prescrizioni in esso contenute, su una superficie di 130 mq del terreno di proprietà un fabbricato di tre piani in cemento armato (abitato al piano terra dalla ricorrente […] e famiglia, tra cui il figlio ricorrente […]), senza dotarsi di previo titolo edilizio.

Con ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi n. […] del […]2010 – impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato – il Comune aveva ingiunto al ricorrente la demolizione di tale edificio a destinazione residenziale della volumetria complessiva di circa 1284,00 mc e della superficie coperta di mq. 130. Per la realizzazione di tale manufatto il ricorrente era stato anche condannato in sede penale dal Tribunale di Velletri con sentenza n. 522/2008.

Nel frattempo, successivamente alla comunicazione dell’ordinanza di demolizione, la ricorrente […] aveva proseguito nell’attività costruttiva realizzando un intervento, definito come di manutenzione straordinaria, di cui il Comune di […] ha ordinato la demolizione con ordinanza n. […] del […]2016.

Con ricorso n. 6496/2016 la ricorrente […], in qualità di committente dell’opera e destinataria dell’ordinanza di demolizione ed il ricorrente […], in qualità di proprietario dei beni immobili in questione, impugnano l’ordinanza n. […] del […]2016, con il quale il Comune […] ha ordinato la demolizione delle nuove opere sopraindicate (qualificate come “completamento funzionale del manufatto già oggetto di ordinanza di demolizione n. […]/2007”) entro il termine di 90 giorni, avvertendo, che, in caso di inottemperanza, sarebbe acquisita gratuitamente al patrimonio comunale l’area complessiva così individuata: “Superficie da acquisire o la maggiore consistenza fino alla superficie dovuta pari a quella abusivamente eseguita (1576 mq distinto al nuovo catasto edilizio urbano di […] e del terreno distinto in catasto terreni di […] per una superficie di 1446 mq)”.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di censura:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 33 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. Violazione e falsa applicazione degli arti. 15 e 19 della Legge Regione Lazio n. 15/2008; Violazione del principio di proporzionalità e terzietà;

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380/2001 (sotto altri profili). Violazione e falsa applicazione dell’art. 15, co. 3, della L.R. n. 15/2008 (sotto altri profili). Violazione art. 3 L. n. 241/1990 per difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Violazione del principio di proporzionalità;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e ss. del D.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 15 e ss. della Legge Regione Lazio n. 15/2008 (sotto altro profilo). Violazione e falsa applicazione dell’art. 21-septies della Legge n. 241/1990 per indeterminatezza dell’oggetto e del contenuto;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della Legge n. 241/1990 in relazione alla sanabilità dell’opera. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsità dei presupposti. (In via subordinata) violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.P.R. n. 380/2001.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata con memoria scritta a difesa del proprio operato. Per la discussione cautelare ha depositato una memoria reiterativa.

In vista della trattazione del merito, il Comune ha depositato una “memoria di replica” nella quale ha rappresentato che, siccome nelle more del presente giudizio, parte ricorrente ha depositato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 in data […]2017, riguardante (anche) l’abuso oggetto dell’ordinanza demolitoria impugnata, il ricorso dovrebbe essere dichiaro improcedibile.

Con memoria di replica il ricorrente ha contrastato le difese della resistente, eccependo tra l’altro l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione dell’atto impugnato ove l’Amministrazione rappresenta che, siccome la zona in cui sorge il manufatto abusivo è soggetta a vincolo paesaggistico -ambientale, trova applicazione l’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 sull’autorizzazione paesaggistica a sanatoria (inoltre trattandosi di territorio a rischio sismico è richiesto anche il nulla osta del Genio Civile).

Con memoria depositata in vista dell’udienza odierna il Comune ha rappresentato che sulla predetta domanda si è formato il silenzio-diniego di cui all’art. 36 comma 3 DPR 380/2001.

Con ricorso n. 6497/2016 il solo ricorrente […] proprietario dell’area su cui è stato realizzato l’immobile, impugna l’atto indicato in epigrafe, prot. N. […] del […]2016, con cui il Comune […], a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione delle opere abusive impartito con ordinanza di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi n. […] del […]2007 (verbali […]), e facendo riferimento altresì alla sentenza penale di condanna del Tribunale di Velletri n. 522/2008, ha dichiarato l’intervenuta acquisizione ope legis al patrimonio comunale del manufatto abusivo in questione e dell’area di sedime, oltre al terreno circostante, “il tutto pari ad una superficie di metri quadrati 1576 dell’immobile distinto al nuovo catasto edilizio urbano di […] e del terreno distinto in catasto terreni di […] per una superficie di 1446 mq”, disponendo la trascrizione dell’atto stesso presso i Pubblici Registri Immobiliari.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008, violazione e falsa applicazione del principio che esclude l’acquisizione gratuita in ipotesi di terzietà rispetto alla commissione dell’illecito edilizio; nonché degli artt. 3 e 6 Legge n. 241/1990, difetto di istruttoria nonché di motivazione, violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008 (sotto altri profili), violazione e falsa applicazione del principio degli artt. 3 e 6 Legge n. 241/1990, difetto di istruttoria nonché di motivazione, violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 Legge n. 241/1990 e dell’art. 31 DPR 380/2001 in relazione alla mancata indicazione dell’area di sedime dell’abuso e all’erroneità dei calcoli. Difetto di istruttoria, perplessità ed indeterminatezza dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies della Legge 241/1990 per mancanza dei requisiti essenziali del provvedimento;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008 sotto il profilo dell’incompetenza del Comune a disporre l’acquisizione gratuita di area paesaggisticamente vincolata;

5) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 co. 9 DPR 380/2001 e dell’art. 15 LR 15/2008 sotto il profilo dell’incompetenza del Comune a dare esecuzione al giudicato penale di condanna; violazione dell’art. 4 prot. 7 CEDU: questione di legittimità costituzionale degli art. 31 co. 3 e 9, TUed, in relazione agli artt. 10, 117 e 27 Cost. (per contrasto con l’art. 4 prot. 7 CEDU), nonché dell’art. 27 Cost (per violazione del diritto di difesa ed alla riabilitazione).

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata con memoria scritta a difesa del proprio operato, alla quale il ricorrente ha replicato con articolata memoria.

Con ordinanza n. 7043/2016 l’istanza di sospensiva è stata accolta.

In vista della trattazione del merito, il Comune ha depositato una memoria riproduttiva di quella già depositata, alla quale il ricorrente ha replicato richiamando il principio di sinteticità con propria memoria-nota d’udienza.

Con “memoria di replica” l’Amministrazione ha rappresentato che, siccome nelle more del presente giudizio, parte ricorrente ha depositato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 in data 12.09.2017, riguardante proprio l’opera oggetto dell’ordinanza demolitoria n° 5 del 27.05.2010, il ricorso dovrebbe essere dichiaro improcedibile.

Con memoria depositata in vista dell’udienza odierna il Comune ha infine rappresentato che sulla predetta domanda si è formato il silenzio-diniego di cui all’art. 36 comma 3 DPR 380/2001.

All’udienza pubblica del 10.7.2018 le cause sono state trattenute in decisione per la decisione congiunta.

DIRITTO

Va innanzitutto disposta la riunione dei ricorsi in esame per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

Ciò posto, si può prescindere dall’esame dell’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune resistente, stante l’evidente infondatezza, nel merito, del ricorso n. 6496 del 2016.

Con il primo mezzo di gravame si lamenta che gli interventi oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata sono di mero completamento funzionale e siano qualificabili come mere opere di “ristrutturazione edilizia” e di “manutenzione straordinaria”, per cui, rientrando nelle previsioni di cui agli artt. 3, co. 1, lett. b) e d), 10, co. 1, lett. c) e 22, commi 1 e 3, del TUED, sono soggette al regime semplificato della DIA/SCIA, con conseguente preclusione della possibilità di ordinarne la demolizione, essendo tale sanzione riservata dall’art. 31 TUED (nonché dell’art. 15 della L.R. 15/2008) agli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire”.

Con il terzo mezzo di gravame i ricorrenti eccepiscono la radicale nullità, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, dell’ordinanza di demolizione n. 8/2016 in quanto, a loro avviso, manca degli elementi essenziali prescritti dagli artt. 31 e 34 del TUED – che impongono l’individuazione degli interventi e delle opere ritenute abusive al fine di ingiungerne la rimozione o la demolizione – in quanto non contiene un’analitica definizione delle opere abusivamente realizzate (secondo i ricorrenti l’ordinanza n. […]/2016 non descrive le opere che avrebbero costituito il “completamento” degli interventi di “ristrutturazione ed ampliamento” dell’immobile per cui è causa, ma si riferisce unicamente a quelli contestati nel 2010), non rendendo “possibile individuare quali siano, in concreto, tali opere di “completamento” e quindi non consentendo loro di ottemperare spontaneamente all’ingiunzione, né di conoscere l’area che verrebbe ad essere acquisita di diritto in caso di inottemperanza.

I due motivi di ricorso sono infondati.

Innanzitutto va ricordato che le opere in contestazione sono state eseguite in area vincolata, per cui l’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 ed art. 22 LR 15/2008 non avrebbe potuto essere accolta, stante l’espressa esclusione sancita dal richiamato art. 22 che, al 5, sancisce che “Per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico resta comunque salvo quanto previsto dall’art. 146, comma 4, del d.lgs. 42/2004 e successive modifiche”

L’art. 146 del d.lgs. 42/2004, nella versione ratione temporis applicabile al caso in esame, prevede al comma 4 che “Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi” ed, appunto, il richiamato art. 167, a sua volta, limita l’accertamento della compatibilità paesaggistica ai soli interventi minori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati o comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

Ma l’intervento in contestazione non è qualificabile in tale maniera.

Le opere nuove di cui l’ordinanza impugnata intima la demolizione sono state eseguite su un immobile che, a sua volta, avrebbe già dovuto essere demolito, in esecuzione dell’ordinanza del 2010 (opere per le quali la domanda di sanatoria non era neppure stata presentata al momento della proposizione del gravame) sicchè si deve ritenere che tali nuove opere “ripetano la medesima caratteristica d’illegittimità dell’opera principale alla quale accedono, e come tali siano sottoposte alla medesima sanzione”, come chiarito dall’orientamento giurisprudenziale formatosi sul regime condonistico, che ha precisato che “Al riguardo, giova richiamare il principio secondo il quale, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori, sia pure riconducibili, nella loro oggettività alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione o della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale cui ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento e/o modifica di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del comune di ordinarne la demolizione” (vedi, da ultimo, tra tante, TAR Campania Napoli, Sez. VI, n. 1407/2018 e 1178/2017).

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente contesta l’ordinanza di demolizione nella parte relativa all’acquisizione al patrimonio comunale dell’area ulteriore rispetto a quella di sedime nella misura massima prevista dalla legge, anziché in “quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive”, senza fornire la benché minima motivazione al riguardo.

La censura non può essere condivisa, essendo sufficiente, in questa sede, ricordare che secondo il pacifico orientamento giurisprudenziale, la mancata indicazione, nell’ordinanza di demolizione, della delimitazione dell’area da acquisire al patrimonio pubblico non determina un vizio di legittimità dell’ordinanza di demolizione dato che “tali dati potranno essere indicati negli eventuali successivi provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza e di acquisizione del bene” (vedi, tra tante, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 755/2018).

Con il quarto mezzo di gravame si lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento, con lesione dell’esercizio dei diritti partecipativi sanciti dalla Legge n. 241/1990, che avrebbe impedito ai ricorrenti di rappresentare al Comune che il carattere (a loro avviso) meramente formale degli abusi contestati, dato che gli interventi sarebbero “coerenti con il piano di recupero e le altre previsioni urbanistiche della zona”, con conseguente inapplicabilità dell’art. 21 octies della medesima L. n. 241/1990.

La censura va disattesa alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, condiviso dal Collegio, secondo cui la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non consente l’annullamento giurisdizionale dell’ordine di demolizione – stante l’effetto della dequotazione introdotta dall’articolo 21- octies, l. 7 agosto 1990, n. 241 – in quanto quest’ultimo costituisce un atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, presupponente un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime per cui l’omissione di tale garanzia procedimentale non assume rilievo determinante, specie quando emerga che il contenuto dell’ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato” (vedi, tra tante, da ultimo, T.A.R. Napoli, Campania, sez. III, n. 4048/2018, con richiamo a Consiglio di Stato, sez. VI , 12 agosto 2016, n. 3620).

Questo è proprio il caso della controversia in esame, in cui, se anche ove non fosse stato precluso l’esercizio dei diritti partecipativi sanciti dalla Legge n. 241/1990, l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso, con conseguente piena applicabilità dell’art. 21 octies della medesima L. n. 241/1990, dato che la sanatoria dell’intervento in contestazione, realizzato su territorio soggetto a rischio sismico, presuppone l’approvazione del Genio Civile, e l’opera risulta comunque insanabile dato che è stata realizzata su un’area vincolata, per cui l’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR 380/2001 ed art. 22 LR 15/2008 non avrebbe potuto essere accolta, stante l’espressa esclusione sancita dal richiamato art. 22 che, al comma 5, sancisce che “Per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico resta comunque salvo quanto previsto dall’art. 146, comma 4, del d.lgs. 42/2004 e successive modifiche”. L’art. 146 del d.lgs. 42/2004, nella versione ratione temporis applicabile al caso in esame, prevede al comma 4 che “Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi” ed, appunto, il richiamato art. 167, a sua volta, limita l’accertamento della compatibilità paesaggistica ai soli interventi minori, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati o comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

Non può essere seguito, infatti, il ricorrente, ove ritiene che l’opera in questione possa essere ricompresa in quelle sopraelencate, dato che “Il concetto di utilità del volume può divergere nelle valutazioni urbanistiche e in quelle paesistiche. Ai fini urbanistici, è utile il volume (o la superficie) che consuma gli indici edificatori. Si tratta, quindi, di un concetto esclusivamente giuridico, che può talvolta contrastare con la realtà di fatto (ad es., un osservatore può percepire un volume fuori terra che per la disciplina urbanistica non esiste, perché accessorio o tecnico, e al contrario non percepire i volumi interrati, ma questi ultimi, in certi casi, devono essere computati negli indici edificatori). Ai fini paesistici è, invece, rilevante la percepibilità dell’opera come volume collocato in uno scenario. L’utilità del volume sotto il profilo paesistico non è, quindi, definibile solo in via astratta mediante categorie giuridiche, ma richiede anche l’accertamento in concreto di alcuni elementi materiali” (vedi, tra tante, T.A.R. Lombardia- Brescia, sez. I, 08/01/2015, n. 14).

Peraltro, non si può neppure convenire con il ricorrente sul rilievo che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento gli avrebbe precluso di rappresentare al Comune che si tratterebbe di abusi solo formali, in quanto gli interventi sarebbero “conformi con le previsioni urbanistiche di zona”: tale possibilità non è affatto preclusa dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, dato che gli artt. 36 DPR 280/2001 e 22 LR 15/2008 consentono di conseguire il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (o di effettuare la denuncia di inizio attività in sanatoria), presentando l’istanza di accertamento di conformità fino alla scadenza dei termini assegnati per l’ottemperanza spontanea all’ingiunzione (e, comunque, fino all’irrogazione delle relative sanzioni amministrative); facoltà di cui il ricorrente si è avvalso presentando l’istanza di accertamento di conformità in data 12.9.2017.

In conclusione, l’atto di demolizione impugnato risulta pertanto immune dai vizi dedotti con il ricorso in esame che pertanto va respinto.

Si passa ad esaminare il ricorso n. 6497/2016, con cui si deducono autonomi vizi di legittimità dell’atto dichiarativo dell’intervenuta acquisizione dell’area in contestazione, lamentando, con la prima censura, l’estraneità del ricorrente […] all’abuso commesso.

La censura è fondata.

Il predetto ricorrente era minorenne, sia al momento della notificazione (alla sola genitrice) dell’ordinanza di demolizione n. […] del […]2007, sia al momento dello scadere dei 90 giorni intimati per l’esecuzione spontanea dell’ingiunzione ed è divenuto proprietario ed ha acquisito l’area in questione solo in virtù della sentenza di affrancazione pronunciata dal Tribunale di Velletri in data 13.10.2010, sicché non può ritenersi responsabile della mancata ottemperanza dell’ordinanza di demolizione sanzionata, con l’atto impugnato, con la confisca del terreno di sua proprietà.

Al riguardo si richiama la giurisprudenza consolidata che, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale, n. 345/1991, ha ribadito costantemente che in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario, la posizione del proprietario si ritiene neutra rispetto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene, quando risulti, in modo inequivocabile, la completa estraneità del proprietario stesso al compimento dell’opera abusiva (oppure che, essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento).

Non solo, nel caso in esame l’ordinanza di demolizione non è stata mai notificata al ricorrente, né al momento del raggiungimento della maggiore età, né a seguito dell’intervenuto acquisto della proprietà. Ne consegue che l’omessa notificazione dell’ingiunzione al predetto rende inapplicabile la sanzione della confisca del terreno di sua proprietà, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, condiviso anche da questa Sezione con sentenza n. 12796/2017, nella quale viene ribadito che “La mancata notifica di tale ordinanza al proprietario del terreno determina l’illegittimità della successiva acquisizione disposta nei confronti di quest’ultimo (….) poiché si tratta comunque di conseguenza oggettivamente incidente sul diritto di proprietà (estesa al sedime ed eventualmente all’area per opere analoghe) e postulante un volontario inadempimento da parte dell’obbligato, occorre – in omaggio a un elementare criterio di conoscenza ed esigibilità – che la persona del proprietario, tenuto al pari del responsabile alla rimozione dell’abuso (o comunque a subire le conseguenze della demolizione), abbia avuto piena conoscenza dell’abuso ed abbia avuto modo di collaborare con l’Amministrazione per ripristinare la legalità violata a mezzo dell’intervento abusivo non direttamente a lui ascrivibile. Nell’ipotesi in cui il proprietario sia del tutto ignaro dell’abuso e dell’ordine demolitorio adottato dalla amministrazione quale misura sanzionatoria, si configura quindi l’illegittimità del provvedimento di acquisizione del bene al patrimonio comunale quale conseguenza dell’inadempimento rispetto all’ordine di demolizione. Più in generale, la mancata notifica del provvedimento demolitorio al proprietario del fondo non incide sulla legittimità del provvedimento stesso, attenendo la notificazione dell’atto non già alla fase di perfezionamento ma alla fase di integrazione dell’efficacia, sicché l’unica conseguenza derivante dalla mancata notifica dell’ordinanza di demolizione al proprietario sarà l’impossibilità di pretenderne l’esecuzione da parte di quest’ultimo e di procedere in suo danno all’acquisizione gratuita in caso di mancata spontanea ottemperanza dell’autore dell’abuso. Il responsabile dell’abuso, quindi, è comunque tenuto ad eseguire la demolizione anche nel caso in cui l’ordine sia stato rivolto solo nei suoi riguardi, fermo restando che, in caso di inerzia, l’amministrazione non potrà acquisire l’area al proprio patrimonio in danno del proprietario ignaro del provvedimento. Essendo l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale una misura prevista per l’ipotesi di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, essa postula comunque un’inottemperanza da parte di chi va a patirne le pur giuste conseguenze”.

I principi sopra richiamati si applicano alla fattispecie in esame, in cui, appunto, l’ordinanza di demolizione era stata notificata solo alla madre del ricorrente, in quanto autrice dell’abuso edilizio, e non è stata mai notificata al ricorrente, nemmeno a seguito dell’acquisto della proprietà, per affrancazione, tre anni dopo l’adozione dell’atto impugnato e la scadenza del termine intimato per la sua spontanea esecuzione; sicchè egli non può essere ritenuto responsabile dell’inottemperanza alla stessa..

Ne consegue che il ricorso in esame, concernente l’atto di acquisizione gratuita, assorbita ogni altra censura, deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato. […]