Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Seconda Quater, Sentenza n. 9590 del 2018, pubbl. il 27/09/2018

[…]

FATTO e DIRITTO

1. Il presente contenzioso muove dall’impugnazione, proposta con il ricorso n. 9240/2008 R.G., dell’ordinanza di demolizione prot. n. […] emessa in data […]2008 dal Comune […], avente ad oggetto la realizzazione di una unità immobiliare su due livelli in area vincolata e in assenza di titolo edilizio, nonché, con i successivi motivi aggiunti, del provvedimento prot. n. […] del […]2009 con cui il Comune […] ha respinto l’istanza di condono edilizio presentata dalla odierna ricorrente in data […]2004, sul presupposto della inammissibilità della sanatoria dell’immobile in area paesaggisticamente vincolata ai sensi della normativa del cd. “terzo condono”.
Con l’ordinanza n. 763/2010 del 7.5.2010, il Tribunale ha disposto l’acquisizione di una documentata relazione sulla fattispecie oggetto di causa concernente, tra l’altro, il rapporto tra le opere indicate nella gravata ordinanza di demolizione e quelle oggetto della domanda di condono edilizio prot. n. […] del […]04 presentata dalla ricorrente e, altresì, le ragioni poste a fondamento del diniego di condono impugnato con i motivi aggiunti.
Con la successiva ordinanza cautelare n. 1055/2010 del 2.7.2010 il Tribunale ha rinnovato l’ordine istruttorio non eseguito.
Con nota n. 28556 del 22.7.2010 il Comune […] ha fornito alcuni chiarimenti.
Detta nota è stata impugnata con i secondi motivi aggiunti di ricorso.
Alla Camera di consiglio del 7.10.2010 la ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare.
Con decreto presidenziale n. 5036/2017 in data 11.8.2017, il ricorso è stato dichiarato perento ai sensi dell’art. 82, co. 1, cod. proc. amm., in quanto, a seguito della notifica alle parti costituite, da parte della segreteria del Tribunale, di apposito avviso, non è stata presentata una nuova istanza di fissazione di udienza nel termine e nel modo previsti dalla suddetta disposizione.
Con atto notificato al Comune […] il 3.10 2017 e depositato il 17.10.2017, la ricorrente ha proposto opposizione al decreto di perenzione.

1.1 Con la successiva ordinanza prot. n. 49294 del 21.12.2009, il Comune […] ha ordinato la demolizione delle ulteriori opere consistenti in un ampliamento al piano terra e nell’ultimazione dei lavori di rifinitura del fabbricato, diviso in due unità immobiliari indipendenti.
Tale atto è stato impugnato con il ricorso n. 2633/2010 R.G..
Con l’ordinanza n. 1772 del 23.4.2010, il Tribunale ha respinto la relativa domanda cautelare, ritenendo:
– che “le opere oggetto della gravata ordinanza di demolizione non risultano assistite da idoneo titolo edilizio abilitativo”;
– che “l’istanza di condono edilizio è stata respinta con provvedimento che risulta attualmente efficace nonostante l’avvenuta impugnazione dello stesso”;
– che “l’ampliamento indicato nell’ordinanza di demolizione non rientra nella richiesta di sanatoria”;
– che “la riconducibilità della fattispecie nell’ambito applicativo dell’art. 31 d.p.r. n. 380/01 induce a ritenere irrilevante ogni questione, prospettata nella seconda censura, relativa al dedotto pregiudizio derivante dalla demolizione dell’ampliamento ivi indicato”.

1.2 Con la determinazione dirigenziale del Comune […] n. […] del […]2016, è stata infine accertata l’inottemperanza alla demolizione di opere abusive e disposta la contestuale immissione in possesso con l’acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva.
Questo ultimo atto è stato impugnato con il ricorso n. 7651/2016 R.G..
Con l’ordinanza collegiale n. 7722/2016 del 6.12.2016, il Tribunale ha accolto la domanda cautelare con particolare riguardo agli specifici profili attinenti al periculum in mora, fissando per la trattazione del merito in udienza pubblica la data del 18 luglio 2017.
Con la successiva ordinanza collegiale n. 9612/2017 del 6 settembre 2017, il Tribunale, in esito all’udienza pubblica svoltasi il 18 luglio 2017, ha disposto il rinvio alla data del 27 marzo 2018 per la trattazione congiunta del ricorso n. 7651/2016 R.G. con i ricorsi n. 9420/2008 R.G. e n. 2633/2010 R.G..
Successivamente il Tribunale, per un disguido informatico, ha emanato l’ordinanza n. 2158/2018 pubblicata in data 11.4.2018, formalmente pronunciata sul ricorso n. 7651/2016 R.G., ma nella sostanza riferentesi ad altro – distinto, autonomo e nuovo – ricorso pendente tra le stesse parti (ricorso n. 2548/2018 R.G., chiamato per la discussione della domanda cautelare alla camera di consiglio del 10 aprile 2018, avente ad oggetto due successivi atti del Comune […], il provvedimento n. 44605 del 14 dicembre 2017 e la delibera di C.C. n. 34 del 29.4.2016): con la suddetta ordinanza n. 2158/2018, è stata erroneamente disposta la sospensione di tali due nuovi atti del Comune […], ed è stata fissata per la discussione (sempre per errore, del ricorso n. 7651/2016 R.G.) l’udienza pubblica del 14 maggio 2019.
Con l’ordinanza n. 2270/2018 del 14.4.2018 (correttamente pronunciata sul ricorso n. 2548/2018 R.G., all’esito della trattazione della relativa istanza cautelare alla camera di consiglio del 10 aprile 2018), il Tribunale ha accolto detta domanda cautelare, fissando la trattazione del relativo merito alla data del 14 maggio 2019: nel contempo, avvedutosi del disguido occorso, ha disposto che la precedente ordinanza cautelare n. 2158/2018 (formalmente pronunciata sul ricorso n. 7651/2016 R.G.), fosse da intendersi tamquam non esset, in quanto sostanzialmente attinente al distinto ricorso n. 2548/2018 R.G..

2. Si è costituito nei tre giudizi in epigrafe il Comune […], eccependo profili di rito e di merito.

3. I ricorsi sono stati chiamati per la discussione all’udienza pubblica del 27 marzo 2018 e quindi trattenuti in decisione.

4. Preliminarmente, occorre disporre la riunione dei tre giudizi in esame, per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.

4.1. Sempre in via preliminare, il Collegio deve peraltro rilevare che i ricorsi in epigrafe sono stati trattati nell’odierna udienza pubblica del 27 marzo 2018 e ritualmente spediti in decisione.
A nulla rileva quindi l’ulteriore fissazione del ricorso n. 7651/2016 R.G. all’udienza del 14 maggio 2019, effettuata per mero errore materiale con la menzionata ordinanza n. 2158/2018: nella sostanza, come evidenziato al punto 1.2. che precede, detta ordinanza ha ad oggetto l’impugnativa proposta avverso atti successivi e diversi da quelli impugnati effettivamente con il ricorso 7651/2016 R.G., il quale viene oggi in discussione unitamente ai due ricorsi presupposti.

5. Ciò posto, muovendo dall’esame del ricorso n. 9240/2008 R.G., va preliminarmente trattata l’opposizione alla perenzione.

5.1 Essa può essere decisa in questa sede, in quanto l’art. 87, comma 4, c.p.a., dispone che la trattazione in pubblica udienza delle questioni soggette al rito in camera di consiglio di cui all’art. 87, comma 3 – che si applicherebbe nella specie in virtù del combinato disposto dell’art. 35, comma 2, lettera b), e dell’art. 85, comma 4, c.p.a. – non costituisce motivo di nullità della decisione.

5.2 L’opponente chiede la revoca del decreto di perenzione sostenendo, in sintesi, che l’atto di costituzione di nuovo difensore con allegata procura alle liti, depositato il 1° marzo 2016, costituisce un atto di procedura idoneo a manifestare la volontà e l’interesse della parte alla prosecuzione del giudizio.
La difesa del Comune […] eccepisce:
– che tale atto non contiene la prescritta richiesta di fissazione di una nuova udienza a firma della parte;
– che esso è stato comunque depositato tardivamente, in quanto l’avviso di perenzione ultraquinquennale è stato comunicato con PEC del 28.8.2015 alla ricorrente, la quale avrebbe dovuto presentare una nuova istanza di fissazione di udienza nel termine perentorio di 180 giorni, ossia entro il 27.2.2016 (tenuto conto della sospensione feriale dei termini).

5.3 L’opposizione è infondata.
A prescindere dalla questione della natura dell’atto, effettivamente i centottanta giorni dal dies a quo del 28 agosto 2015 sono scaduti il 27 febbraio 2016, mentre l’atto di costituzione con procura in data 11 febbraio 2016 è stato depositato il 1° marzo 2016, e quindi risulta tardivo (dovendosi aver riguardo alla data di effettiva presentazione).
E’ vero che l’opponente individua in realtà un diverso dies a quo, identificato nella data del 26 novembre 2015, asserendo che l’avviso in questione sia stato consegnato unitamente a quello relativo al distinto ricorso n. 2633/2010 R.G..
Ma dal sistema informatico della giustizia amministrativa risulta:
– che in data 28 agosto 2015 è stato consegnato nella casella dell’originario difensore della ricorrente l’avviso di perenzione per il ricorso 200809240COD#tarrm2015081394110_1;
– che nella successiva data del giorno 26 novembre 2015 è stato consegnato nella casella dell’originario difensore della ricorrente l’avviso di perenzione avente ad oggetto esclusivo il ricorso 201002633COD#tarrm2015111476497_1.
La prospettazione dell’attuale difensore della ricorrente sul punto va quindi disattesa, non essendo al riguardo neppure configurabile un’ipotesi di rimessione in termini per errore scusabile sulla base dell’indicazione contenuta nella lettera (allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore) con la quale il precedente difensore, nel restituire ai ricorrenti i documenti di causa, faceva riferimento ad un unico avviso di perenzione in data 26 novembre 2015: si tratta infatti di un’informazione la quale era agevolmente e tempestivamente verificabile sul sistema informatico della giustizia amministrativa.
Risulta quindi confermata la reiezione dell’opposizione avverso il decreto di perenzione, la quale preclude a questo giudice di pronunciarsi formalmente in questa sede sul merito del ricorso e sui relativi motivi aggiunti, in ossequio al principio del ne bis in idem (salve le considerazioni che saranno comunque svolte nel prosieguo, per completezza, in ordine alla questione della sanabilità del primo abuso, che costituisce l’antecedente fattuale anche dei successivi ricorsi).

6. Va ora esaminato il ricorso n. 2633/2010 R.G., avente ad oggetto l’ordinanza di demolizione prot. n. […] del […]2009, con cui il Comune […] ha ordinato nuovamente la demolizione delle opere preesistenti a seguito del rigetto della domanda di condono edilizio, nonché delle ulteriori opere consistenti in un ampliamento al piano terra e nell’ultimazione dei lavori di rifinitura del fabbricato, diviso in due unità immobiliari indipendenti.

7. Con il primo motivo si lamenta anzitutto la violazione della L. n. 241/1990 sotto diversi profili:
– violazione dell’art. 10 – bis della L. n. 241/1990 (e del corrispondente art. 6, comma 2, della L.R. n. 12/2004), in quanto la motivazione dell’ordinanza di demolizione ha sostanzialmente integrato – senza previa comunicazione all’interessato – la motivazione del diniego di condono, aggiungendo un riferimento a sostegno della non sanabilità delle opere in questione in quanto non conformi alle normative vigenti e agli strumenti urbanistici, perché esse ricadono nella zona agricola del P.R.G. e nella zona agricola di tutela paesaggistica nella variante al medesimo P.R.G. adottata con delibera di C.C. del 16.7.2008;
– violazione degli artt. 3 e 7 della L. n. 241/1990.
La ricorrente lamenta inoltre l’eccesso di potere per sviamento unitamente all’errore nei presupposti e al difetto di istruttoria.

7.1 Le censure sono infondate.
Sotto il profilo procedurale e motivazionale, va anzitutto osservato che, a prescindere dalla qualificazione che si voglia dare in ordine all’avviso di avvio posto in calce al provvedimento in relazione al contestuale contenuto ingiuntivo e dispositivo dello stesso, deve considerarsi assorbente l’impostazione della dominante giurisprudenza in materia.
Al riguardo, essa ritiene in linea di principio che l’ordine di demolizione non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con riferimento al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario, ed i cui presupposti sono costituti unicamente dalla constatata esecuzione dell’opera in totale difformità o in assenza del titolo abilitativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16/03/2018, n. 1688). Si tratta infatti di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime; ricorrendo i predetti requisiti, il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo “in re ipsa” l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione.
Non vi è dubbio che in concreto i presupposti siano stati riportati esaustivamente nel provvedimento.
E neanche è dubbia la congruenza della determinazione dell’Amministrazione con detti presupposti: il che rileva anche ai fini del rilievo della condizione prevista dall’art. 21 – octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990 per determinare la non annullabilità del provvedimento impugnato.
Il profilo centrale della compatibilità del manufatto con le caratteristiche urbanistiche della zona, sottolineato dalla parte ricorrente come questione rilevante in ordine alla sanabilità dell’immobile, non consente comunque di superare la determinazione negativa del Comune sulla domanda di condono, che sorregge anche il successivo ordine di demolizione, il quale per una parte rinnova il precedente quanto alla preesistenza, per altra parte riguarda le successive connesse opere di ampliamento e rifinitura.
Parte ricorrente non contesta che il manufatto ricada in area paesaggisticamente vincolata.
Ora, la questione dell’ammissibilità del cd. “terzo condono edilizio” in area vincolata attiene in primo luogo all’esegesi dell’art. 32, comma 26, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326:
“26. Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1:
a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio”.
Detto comma va letto in combinato disposto con le previsioni dell’Allegato 1:
– Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
– Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento;
– Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;
– Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444;
– Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio;
– Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come definite all’articolo 3, comma 1, lettera b) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.
Va anzitutto rilevato che nella specie si verte inequivocabilmente (e incontestabilmente) in un caso di nuova costruzione ricadente nella Tipologia 1 (come risulta dalla stessa domanda di condono), o al massimo – ove si volesse seguire la prospettazione della ricorrente – nella Tipologia 2.
Sono quindi del tutto irrilevanti le questioni prospettate con riferimento alla previsione di cui al comma 27, lettera d) dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003 e alla conformità urbanistica: esse vengono in rilievo solamente con riferimento a quelle tipologie di abuso astrattamente sanabili in area vincolata e quindi – secondo l’interpretazione accolta da questo Tribunale – non con riferimento alle opere rientranti in tipologia 1, come quelle di cui si discute (cfr. TAR Lazio, sez. II – quater, 6 dicembre 2017, n. 12094; cfr. altresì ex multis 25 ottobre 2017, n. 10673; 24 gennaio 2017, n. 1284), o anche in Tipologia 2.
Questa Sezione, con la recente sentenza 17 aprile 2018, n. 4220, ha ulteriormente confermato il proprio orientamento, anche con riferimento a possibili letture alternative della normativa statale di riferimento, volte a interpretare il comma 26 del menzionato art. 32 nel senso della sanabilità in ambito nazionale degli abusi rientranti nelle tipologie da 1 a 3 nonché di quelli rientranti nelle tipologie dal 4 al 6 nell’ambito degli immobili soggetti ai vincoli di cui all’art. 32 L. 47/1985 (di inedificabilità relativa); mentre gli abusi relativi alle tipologie dal 4 al 6 su aree non soggette ai vincoli di cui all’art. 32 L. 47/1985 sarebbero suscettibili di sanatoria solo se previsto dalla legge regionale e con le modalità e nei limiti dalla stessa previsti.
Il Collegio ha ritenuto, al riguardo, che vada invece confermato l’orientamento giurisprudenziale dominante, secondo il quale l’art. 32, comma 26, lettera a), della legge n. 326 del 2003, ha distinto le tipologie di illecito di cui all’allegato 1, numeri da 1 a 3 (opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in difformità dal titolo edilizio), per cui è possibile la sanatoria in tutto il territorio nazionale, mentre nelle aree sottoposte a vincolo ha ammesso la sanatoria solo per le “le tipologie di illecito di cui all’allegato 1 numeri 4, 5 e 6”, opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). In particolare, il condono edilizio di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 della legge n. 326 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Consiglio di Stato Sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4007). Non possono essere sanate quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2016 n. 1664; 17 marzo 2016 n. 1898, Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Consiglio di Stato Sez. IV, 27 aprile 2017, n. 1935).
Questa impostazione è stata recepita anche dalla giurisprudenza penale, la quale afferma che il condono edilizio del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016 n. 40676).
Analogamente si è pronunciato il TAR Campania – Napoli sez. III, 7 giugno 2017, n. 3074, che ha richiamato anche la giurisprudenza costituzionale nei seguenti termini:
“Inoltre è opportuno osservare che la legge contempla globalmente tutti gli immobili vincolati, tant’è che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che avevano ampliato l’area degli interventi ammessi a sanatoria attribuendo effetto impeditivo della sanatoria ai soli vincoli che comportino inedificabilità assoluta (cfr. Corte cost., 27/2/2009, n. 54; 6/11/2009, n. 290). Per contro altre disposizioni si sono sottratte alla declaratoria di incostituzionalità solo in quanto interpretate in senso coerente con la normativa statale che nel citato art. 32, co. 27, lett d), comprende la salvaguardia anche dei vincoli di inedificabilità relativa (cfr. Corte cost., 10/2/2006, n. 49).
Orbene la Corte Costituzionale, con ordinanza 8/5/2009, n. 150, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, co. 26, lett. a), del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, sulla base della pretesa erroneità, ritenuta dal giudice remittente, dell’interpretazione costantemente seguita dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo confermata cfr. Cass. pen., sez. III, 26/3/2012, n. 11603)”.
Questa interpretazione è anche conforme alla Relazione governativa al D.L. n. 269/2003, la quale si esprime nel senso che “… è fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili tra le quali si evidenziano … quelle realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici … Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilità di ottenere la sanatoria edilizia negli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggetto a vincolo, l’ammissibilità alla sanatoria è rimessa ad uno specifico provvedimento regionale” (cfr. Cass. pen., sez. III, 4 maggio 2004, n. 37865).
Per completezza il Collegio, nel riconoscere che le argomentazioni puramente letterali sono insufficienti a rendere conto del complesso “incastro” delle previsioni risultanti dai commi 26 e 27 dell’art. 32 del D. L. n. 269/2003, con i relativi riferimenti incrociati, ha anche osservato che nella specie occorre comunque dar rilievo alla prioritaria tutela del paesaggio ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, disattendendo ipotesi di lettura meno coerenti con tale aspetto.
L’applicazione di tale principio al caso di specie conduce a disattendere quindi la prospettazione di parte ricorrente, in quanto le opere oggetto dell’ordine di demolizione sono opere di nuova costruzione, da considerarsi unitariamente alle relative rifiniture e opere di completamento e non possono rientrare nelle tipologia 4, 5 o 6 del menzionato Allegato 1.

8. Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta, in primo luogo, che l’amministrazione abbia disposto la demolizione delle opere realizzate in ampliamento, senza considerare il possibile pregiudizio per la struttura preesistente, in vista dell’applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

8.1 La censura va disattesa per l’assorbente considerazione che nella specie il provvedimento configura (legittimamente) la demolizione totale e non parziale dell’immobile: non vengono quindi concretamente in rilievo i profili di rischio prospettati dalla parte ricorrente.

8.2 La parte ricorrente contesta altresì che rientrino nella categoria degli interventi soggetto a permesso di costruire e quindi alla sanzione demolitoria la realizzazione di una recinzione e di un cancello in ferro.
La censura è infondata per l’assorbente considerazione che la recinzione dell’area esterna del lotto “con muretti in mattoni cementiti e sovrapposti paletti in ferro, rete metallica e l’installazione di un cancello a due ante in ferro” , anche a prescindere dalla possibilità di una considerazione unitaria dei lavori, ricade in area paesaggisticamente vincolata e configura comunque un’opera di impatto strutturale e visuale notevole; e al riguardo è importante rilevare che anche sotto il profilo edilizio gli abusi di questo tipo sono soggetti a essere rimossi ai sensi dell’art. 27, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001.

9. Il ricorso n. 2633/2010 R.G. deve conclusivamente essere respinto.

10. Va infine esaminato il ricorso n. 7651/2016 R.G., avente ad oggetto la determinazione dirigenziale del Comune […] n. […] del […]2016, recante l’accertamento dell’inottemperanza alla demolizione di opere abusive e contestuale immissione in possesso e acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva.

11. Con il primo motivo la parte ricorrente richiama le censure già proposte con i precedenti ricorsi in ordine al presupposto diniego di condono edilizio, prospettando al riguardo un ulteriore profilo concernente il fatto che il vincolo paesaggistico sarebbe sopravvenuto rispetto all’anno di realizzazione dell’abuso (2002); dal che discenderebbe l’impossibilità di applicare un regime più restrittivo sopravvenuto.

11.1 Per quanto riguarda le censure già proposte (da intendersi qui richiamate in via derivata), esse vanno disattese alla stregua dell’esito dei due ricorsi presupposti.
Quanto alla censura nuova, a prescindere dalla rilevata inammissibilità scaturente dall’evidente tardività, e anche dal fatto che parte ricorrente nega la preesistenza del vincolo sulla base del semplice richiamo del D.Lgs. n. 42/2004 senza considerare la normativa preesistente, in proposito è sufficiente ribadire la non sanabilità di questo tipo di abuso in area vincolata. E ciò in applicazione della menzionata normativa correttamente interpretata, la quale prescinde, sotto questo profilo, dalla data di introduzione del vincolo: in tal senso dispone espressamente l’art. 3, comma 1, lett. b), della L.R. n. 12/2004.

12. Con il secondo mezzo di impugnazione, parte ricorrente lamenta la disparità di trattamento con le situazioni concernenti manufatti limitrofi: situazioni coeve e sanate, in coerenza anche con la completa urbanizzazione della zona nonché della compromissione della stessa sotto il profilo paesaggistico.

12.1 La censura, anche a prescindere dai rilevati profili di inammissibilità attinenti al diniego di condono, è comunque infondata alla stregua della consolidata giurisprudenza che esclude il rilievo del vizio di disparità di trattamento con riferimento agli atti strettamente vincolati, quale quello di cui si controverte in questa sede.

13. Con il terzo motivo di impugnazione, parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 15, comma 5, della L.R. Lazio n. 15/2008, in quanto il signor […], proprietario dell’area, sarebbe estraneo al compimento dell’opera abusiva: infatti né l’ordinanza di demolizione, né il diniego di sanatoria, né infine la nuova ordinanza di demolizione del 21.12.2009 sono stati notificati allo stesso.
Inoltre parte ricorrente fa riferimento all’impossibilità di configurare un difetto di vigilanza, al momento della realizzazione dell’abuso, del signor …] in ragione della patologia con invalidità 100% della quale lo stesso era affetto all’epoca.

13.1 Con riferimento alla prospettata insussistenza di una della responsabilità omissiva per difetto di vigilanza in ragione delle condizioni di salute del signor […], e comunque all’asserita qualificazione del medesimo quale soggetto non responsabile, occorre distinguere due profili.

13.1.1 Il primo attiene alla responsabilità dell’abuso. Al riguardo va anzitutto rilevato:
a) che in realtà l’ordine di demolizione del 21.12.2009, che costituisce il presupposto immediato del provvedimento di acquisizione qui contestato, e che si riferisce all’intero immobile sul presupposto della definizione negativa della procedura di condono, è stato notificato a entrambi i comproprietari odierni ricorrenti in data 30.12.2009;
b) che in detto provvedimento il ricorrente è indicato quale “comproprietario ed esecutore”.
La qualifica di responsabile dei lavori è sicuramente ascrivibile al signor […], per quanto riguarda le vicende successive alla condanna in sede penale di […]: ossia per quanto riguarda l’ampliamento e la rifinitura dell’immobile, anche alla stregua delle risultanze della comunicazione dell’Ufficio della P.M. in data 8.4.2009 e del successivo verbale di accertamento del 9.4.2009 in cui il medesimo è indicato quale responsabile della prosecuzione dei lavori.
Con riferimento complessivo all’intera vicenda, comprensiva della fase anteriore, comunque, occorre porre in essere un’interpretazione della normativa regionale la quale sia coerente con i principi enunciati dalla giurisprudenza.
L’art. 15, comma 5 della L.R. n. 15/2008 così dispone: 5. “Non si procede all’acquisizione dell’area ai sensi del comma 2 ma esclusivamente alla demolizione dell’opera abusiva nel caso in cui il proprietario della stessa non sia responsabile dell’abuso”.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che il proprietario dell’area, “fino a prova contraria”, deve ritenersi corresponsabile dell’abuso (Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4913; Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2014, n. 3565; Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2027). Infatti, le finalità di interesse pubblico di tutela del territorio impongono al proprietario di beni immobiliari sia di non dare luogo a illegittime trasformazioni del territorio stesso, sia di attivarsi – ricorrendone i presupposti – per il ripristino della legalità violata (TAR Lazio, sez. I-quater, 13 luglio 2016, n. 8005). Ciò in conformità con i principi enunciati dalla Corte costituzionale, secondo cui l’acquisizione non può operare nei confronti del proprietario dell’area solo “quando risulti, in modo inequivocabile, la sua completa estraneità al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento” (Corte cost., 15 luglio 1991, n. 345).
Nel caso di specie, il Collegio ritiene che non sia stata inequivocabilmente provata una completa estraneità del signor […] alla realizzazione dell’abuso, avuto riguardo alle caratteristiche dello stesso (edificio su due livelli in area vincolata), alla situazione di coniugio con la comproprietaria […], e all’insieme della documentazione in atti.

13.1.2 Il secondo profilo concerne la stessa ipotizzabilità di una rilevanza del comportamento omissivo (con i connessi profili soggettivi), nella fase di ottemperanza all’ordine di demolizione regolarmente notificato.
Ad avviso del Collegio detta rilevanza non sussiste.
Al riguardo, è decisivo richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in questa materia si parla di sanzioni in senso improprio, non aventi carattere “personale” ma reale, essendo adottate in funzione di accrescere la deterrenza rispetto all’inerzia conseguente all’ordine demolitorio e di assicurare ad un tempo la effettività del provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi e la soddisfazione del prevalente interesse pubblico all’ordinato assetto del territorio. In particolare, l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’area sulla quale insiste la costruzione, pur differenziandosi dalla stretta e immediata misura ripristinatoria insita nell’ordine di demolizione, partecipa della stessa natura reale di tale sanzione, in quanto concorre a rendere effettiva l’efficacia ripristinatoria dell’ordine giuridico violato. È evidente che non si tratta di sanzione di un comportamento (omissivo), perché se così fosse lo schema procedimentale applicativo dovrebbe essere quello della legge n. 689 del 1981: la quale invece non si applica alle misure ripristinatorie reali, nel cui alveo questa stessa ablazione va iscritta (Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1951; Cons. Stato, VI, 15 aprile 2015, n. 1927).

13.1.3. Il motivo è quindi complessivamente infondato.

14. Con il quarto mezzo di gravame parte ricorrente lamenta l’avvenuta violazione dell’affidamento generato negli interessati dal decorso del tempo e dalla prolungata inerzia dell’amministrazione, unitamente alla mancanza di un’adeguata comparazione degli interessi implicati.

14.1 La censura è infondata, alla luce della giurisprudenza nomofilattica secondo la quale la demolizione di una opera abusiva è un atto a contenuto vincolato (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 dicembre 2017, n. 5788; Adunanza Plenaria n. 9 del 2017), nel quale non si può dare corso a valutazioni di tipo discrezionale in ordine agli interessi in gioco: da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893, secondo cui “il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione e, pertanto, deve escludersi che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato in relazione al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria”. Criterio, questo, che vale ovviamente anche per gli ulteriori effetti dell’ordine di demolizione nella complessiva sequenza sanzionatoria.

15. Con l’ultimo motivo di ricorso parte ricorrente invoca l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., in relazione al danno grave alla persona del signor […] in considerazione del suo stato di salute, da un lato, e alla rilevanza costituzionalmente primaria del diritto all’abitazione. Essa invoca al riguardo, oltre che il fondamentale parametro costituzionale, anche la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

15.1 Il Collegio, a prescindere dalla tardività della doglianza, non tempestivamente proposta in sede di impugnazione dell’ordine di demolizione, e pur nella consapevolezza delle situazioni di patologia che involgono, alla stregua della successiva documentata memoria depositata in atti il 1° dicembre 2016, anche la persona della ricorrente, nonché della situazione familiare abitativa del figlio parimenti residente in loco, ritiene che questa censura debba essere del pari disattesa alla stregua della giurisprudenza, la quale ha affermato:
– che tale tipo di situazioni non esonerano l’interessato dalla presentazione al Comune di una apposita richiesta di rilascio di titolo edilizio, in linea di principio (T.A.R. Abruzzo, sez. I, 5 giugno 2014, n. 522);
– comunque lo stato di necessità quale esimente penale non ha rilevanza nell’ambito del procedimento amministrativo di contrasto all’abusivismo edilizio: le valutazioni ordine alle motivazioni personali che hanno indotto il privato al comportamento censurato non possono assumere alcuna valenza giuridica nell’ambito del procedimento di repressione degli abusi edilizi (T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 27 luglio 2009, n. 7586; TAR Basilicata, sez. I, 24 ottobre 2016, n. 951);
– che la Sezione, con la sentenza 30 agosto 2018, n. 9090, ha già avuto modo di disattendere la prospettata censura, richiamando al riguardo anche la giurisprudenza penale secondo cui <<In tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato>> (Cassazione penale, sez. III, 7 giugno 2016, n. 41498), nonché T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 21 marzo 2018, n. 401 che, richiamando i principi affermati dalla Corte EDU nella sentenza 29 ottobre 2013 (Varvara e/Italia), ha affermato che << La misura amministrativa dell’acquisizione al patrimonio comunale, in quanto prevista da norma espressa, è senza dubbio compatibile con il requisito di legalità previsto dalla norma convenzionale [di cui all’articolo 1 del protocollo addizionale alla Cedu]>>;
– che tale compatibilità sussiste anche con l’art. 17, par. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, secondo cui “Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà”, in quanto l’atto impugnato costituisce applicazione di una procedura conforme a legge.

16. Conclusivamente il ricorso n. 7651/2016 R.G. deve essere respinto […]