Le differenti categorie di beni acquistati dal coniuge, prima e in costanza del matrimonio, gli effetti dello scioglimento della comunione legale, necessità o meno di una divisione degli stessi, individuazione del momento in cui vi è lo scioglimento.
La comunione de residuo
Secondo la S.C., la comunione de residuo può considerarsi una “proiezione diacronica” ancorché eventuale della comunione legale, mettendo così in risalto una relazione dinamica ed evolutiva tra i due istituti, in relazione alla quale non viene in rilievo la diversità di quote stante il carattere paritario che la comunione dei beni tra i coniugi, strutturalmente senza quote, assume, per il profilo funzionale, al momento del suo scioglimento ( Cass. n. 13066 del 2008).
E’ formata da tutti quei beni che durante il matrimonio appartengono al coniuge che li ha acquisiti e che, solo se non consumati al momento dello scioglimento della comunione, sono divisi in parti uguali tra i coniugi.
Trattasi dei beni appartenenti ai coniugi che non entrano immediatamente nella comunione. Essi rimangono personali e vi ricadono solo al suo scioglimento.
Per tale ragione ha natura residuale e differita all’atto stesso dello scioglimento del regime legale a condizione che i beni che ne formano oggetto non siano stati consumati prima.
Il valore di tali beni va inteso alla stregua di valore netto, poiché “il concetto di comunione de residuo non può avere riguardo ai beni destinati a confluirvi senza avere contemporaneamente riguardo alle passività che gravano su quei beni, anche solo in virtù della garanzia generica ex art. 2740 cod. civ.” (Corte di Cass. Ordin. n. 4186 del 2018).
Sono oggetto della comunione de residuo: i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati, così come previsto all’art. 177. lett. “b” c.c.; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, non consumati, così come previsto all’art. 177. lett. “c” c.c.; i beni e gli incrementi destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi così come previsto all’art. 178 c.c..
Ricadono invece nella comunione immediata le aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio in forza dell’art. 177 lett. “d” c.c.. (Cass. Ordin. n. 8222 del 2020).
In merito all’azienda coniugale, dovrà preliminarmente valutarsi la gestione congiunta o meno della stessa, ed il momento di costituzione rispetto alla celebrazione del matrimonio.
Se l’azienda è stata costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi questa è oggetto di comunione legale. Diverso se prima del matrimonio la stessa già apparteneva ad uno dei coniugi, ma successivamente è stata gestita congiuntamente. In questo caso la lett. d) dell’art. 177 c.c. e l’ultimo comma dell’art. 178 c.c. specificano che solo eventuali utili ed incrementi andranno in comunione.
L’art. 178 c.c prevede che i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa (Cass. Ordin. n. 28838 del 2017) .
Nel regime della comunione legale fra i coniugi, tutti i beni, inclusi quelli immobili e quelli mobili iscritti in pubblici registri, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all’esercizio d’impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della medesima solo de residuo. Cioè, se e nei limiti in cui sussistano al momento del suo scioglimento. Pertanto, prima di tale evento, sono aggredibili per intero da parte del creditore del coniuge acquirente (il quale, creditore, deduca e dimostri il verificarsi di detta obiettiva destinazione). (Cass. 21 maggio 1997, n. 4533). Questo principio discende dall’art. 178 c.c., che regola, compiutamente, senza distinguere fra mobili ed immobili, gli acquisti di un coniuge per impresa costituita dopo il matrimonio, nonché dalla inapplicabilità a tali acquisti delle disposizioni del secondo comma dell’art. 179 c.c. — prescrivente, per l’esclusione dalla comunione di immobili o mobili iscritti in pubblici registri, che l’esclusione stessa risulti da atto in cui sia parte anche l’altro coniuge — il quale si riferisce solo alle diverse ipotesi contemplate dal primo comma del medesimo art. 179 c.c. (fra cui quella dei beni destinati all’esercizio di professione, non equiparabili ai beni destinati all’esercizio d’impresa). (Cass. n. 7060/1986).
In regime di comunione legale tra coniugi, il fallimento di uno di essi determina la comunione de residuo sui beni destinati post nuptias all’esercizio dell’impresa solo rispetto ai beni residui a seguito della chiusura della procedura. ( Cass. n. 2680/2000).
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, i proventi dell’attività separata dei coniugi costituiscono ipotesi di comunione de residuo, la quale si realizza al momento dello scioglimento, limitatamente a quanto effettivamente sussista nel patrimonio del singolo coniuge e non a quanto avrebbe potuto rinvenirsi ritenendo ad essa destinati ex lege i proventi personali che non siano stati impiegati per il soddisfacimento dei bisogni familiari. In altri termini, la comunione de residuo, non fa nascere un vero e proprio diritto di credito in favore della comunione ed a carico del singolo coniuge, ma dà luogo ad una semplice aspettativa di fatto, in quanto solo al momento dello scioglimento della comunione viene ad operarsi un vero e proprio trasferimento, nel senso di una comproprietà differita (Cass. 2597/06; Cass. 13441/03).
Per frutti dei beni propri devono intendersi tanto quelli naturali che quelli civili. Tra questi:gli interessi dei capitali, canoni di locazione, affitti di fondi rustici, le rendite vitalizie.
scioglimento comunione legale
I casi di scioglimento sono indicati nell’art. 191 c.c..
In tale articolo si stabilisce come la comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale , per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.
Si deve precisare che già con la separazione si scioglie la comunione; il richiamo al divorzio concerne i casi in cui essa non abbia preceduto lo scioglimento del vincolo.
L’immediato e automatico scioglimento avviene alla prima udienza del giudizio di separazione innanzi al Presidente del Tribunale, con l’autorizzazione a vivere separati (in caso di separazione giudiziale) o con la firma del verbale di separazione, purché omologato (in caso di separazione consensuale). Tale disposizione trova la sua fonte normativa nel secondo comma dell’art. 191 c.c. così come modificato dalla legge 6 maggio 2015 n. 55.
La riforma è tesa ad una maggior celerità nello svolgimento della procedure, anche patrimoniali, relative all’iter di separazione.
Prima della modifica normativa lo scioglimento della comunione era rimesso al passaggio in giudicato della sentenza, ragione per cui potevano trascorrere anni prima di giungere alla divisione dei beni.
Il citato provvedimento del Giudice è comunicato all’Ufficiale di stato civile che annota lo scioglimento della comunione.
Posto che, ai sensi dell’art. 191 c.c., la separazione personale dei coniugi costituisce causa di scioglimento della comunione dei beni, una volta rimossa con la riconciliazione tale causa si ripristina automaticamente tra le parti il regime originariamente adottato, con esclusione di quegli acquisti effettuati durante il periodo della separazione. ( Cass. n. 11418/1998).
In tema di scioglimento della comunione legale tra coniugi, il credito verso il coniuge socio di una società di persone, a favore dell’altro coniuge in comunione “de residuo”, è esigibile al momento della separazione personale, che è causa dello scioglimento , ed è quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, consentendosi altrimenti al coniuge-socio di procrastinare “sine die” la liquidazione della società o di annullarne il valore patrimoniale. (Cass. n. 6876/2013).
I beni personali
I beni personali sono invece quelli che non costituiscono oggetto della comunione e rimangono sempre di esclusiva proprietà di un solo coniuge.
L’art. 179 c.c. indica con una precisa elencazione quali sono tali beni: a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento; b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori; d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione; e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa; f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
Tale articolo al secondo comma precisa poi come l’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683 c.c., effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge. Vi è dunque la possibilità di escludere dalla comunione determinati beni immobili, o mobili registrati, mediante l’apposizione in sede di atto di acquisto della dichiarazione di esclusione; atto di acquisto cui dovrà necessariamente partecipare l’altro coniuge. L’effetto risultante sarà l’opponibilità ai terzi, ai sensi dell’art. 2647 del c.c.
La Cassazione con sentenza n. 1523/2012 ha precisato che ai sensi dell’art. 179 lett. d – f c.c. per escludere un bene dalla comunione legale è necessario che questo sia acquistato con le somme ricavate dalla vendita di altro bene personale o con lo scambio con un bene personale o che sia destinato all’attività professionale del coniuge acquirente. Inoltre, è necessario che l’altro coniuge confermi tali circostanze con una dichiarazione resa al momento dell’acquisto. In tale sentenza ha affermato che i casi di beni personali sono tassativi e stabilito che per ottenere la qualifica di bene personale sono necessari tutti e due gli elementi: 1) il denaro proveniente dalla vendita di un altro bene personale o la permuta con altro bene personale (o la destinazione del bene all’attività professionale del coniuge); 2) e la dichiarazione dell’altro coniuge che conferma queste circostanze, in mancanza anche di uno solo di questi elementi il bene cade in comunione legale.