É considerato manifestamente irragionevole e incompatibile con la complessiva ratio del sistema, ritenere penalmente irrilevante la condotta di chi, pur munito di titolo illegittimamente rilasciato, ha violato la disciplina urbanistico-edilizia con condotta dolosa o gravemente colposa, realizzando interventi non consentiti dalle previsioni normative o contenute negli strumenti urbanistici
Titolo illegittimo
Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo (art. 29, d.P.R. n. 380 del 2001). Tale responsabilità (che costituisce a carico dei soggetti indicati dalla norma una posizione di garanzia diretta sulla quale si fonda l’addebito, di natura anche colposa, per il reato di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001) non è esclusa dal rilascio del titolo abilitativo in contrasto con la legge o con gli strumenti urbanistici (Cass. n. 27261 del 2010).
A maggior ragione non lo è in caso di intervento realizzato direttamente in base a denunzia di inizio di attività, atto non pubblico (Cass. n. 41480 del 24/09/2013) proveniente dal privato e non dalla pubblica amministrazione, e ciò a prescindere dalle determinazioni che quest’ultima possa assumere al riguardo se l’opera realizzata costituisce attuazione del programma progettuale ed è dunque riconducibile all’ideazione del committente. Secondo Cass. n. 56678 del 2018, la materia urbanistica è permeata dal fondamentale principio contenuto nella disposizione generale secondo cui il permesso di costruire deve essere rilasciato «in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» (art. 12, comma 1, d.P.R. 380/2001), che è ribadito in termini ancor più estesi – quanto alla doverosa osservanza della disciplina normativa di fonte primaria e secondaria – dall’articolo successivo («il permesso di costruire è rilasciato dal dirigente o responsabile dello sportello unico nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici»: art. 13, comma 1, d.P.R. 380/2001). Allo stesso modo, pure gli interventi eseguiti con s.c.i.a., quelli assoggettati a c.i.l.a. e quelli riconducibili alle attività di edilizia libera postulano la conformità delle opere alla pianificazione urbanistica ed alla disciplina normativa (v. artt. 22, comma 1, e 23, comma 1, 6 bis, comma 1, 6, comma 1, d.P.R. 380/2001). Per cui sarebbe manifestamene irragionevole – e contrastante con la complessiva ratio del sistema – considerare penalmente irrilevante la condotta di chi, pur munito di titolo illegittimamente rilasciato, ha violato la disciplina urbanistico-edilizia con condotta dolosa o gravemente colposa, realizzando interventi non consentiti dalle previsioni normative o contenute negli strumenti urbanistici.
Accertamento giudiziale
Nella fase di accertamento giudiziale non si pone il problema della disapplicazione dell’atto amministrativo, giacché il giudice penale è tenuto ad accertare la conformità tra l’ipotesi fattuale (opera eseguita o eseguenda) e la fattispecie legale delineata dalle disposizioni legislative statali e regionali vigenti nella materia edilizia (Cass. n. 26144 del 2008). Secondo tale orientamento, nei casi in cui l’atto amministrativo costituisca elemento della fattispecie penale, la sua valutazione da parte del giudice penale non può prescindere dal rispetto dei principi di tassatività e tipicità della norma penale. Infatti, il bene giuridico tutelato dalla norma è ravvisabile nel corretto e armonico sviluppo urbanistico ed edilizio del territorio, nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici, e il giudice deve accertare la conformità dell’intervento edilizio rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, astraendo dalla legittimità/illegittimità del titolo. Se vi è conformità tra gli strumenti urbanistici e l’intervento realizzato, il reato non può configurarsi. Al giudice penale non è affidato uno scrutinio sul titolo edilizio. Egli è tenuto ad accertare la conformità tra il fatto a lui sottoposto (l’opera eseguita o in fase di esecuzione) e la norma che sanziona la violazione delle prescrizioni previste nelle leggi, nei regolamenti edilizi, nei piani urbanistici e nel permesso di costruire. Trattasi di una c.d. norma penale in bianco, poiché ai fini dell’individuazione del precetto viene operato un rinvio a norme di carattere prescrittivo, tecnico e provvedimentale, di natura extrapenale. La fonte secondaria che identifica il precetto identifica un tipo di integrazione c.d. normativa, poiché rappresentata da norme, disposizioni, che s’aggiungono a completamento di altre di carattere generale. Il giudice, nell’apprezzare la conformità dell’opera, dovrà fare riferimento non solo al titolo edilizio, ma all’intero quadro normativo, primario e secondario. In sostanza, il provvedimento amministrativo non è un presupposto formale della sanzione, ma un elemento costitutivo della norma penale. Il giudice, quindi, se avrà valutato che l’opera è contrastante con le disposizioni normative di settore, le previsioni degli strumenti urbanistici e le prescrizioni dei regolamenti edilizi, non dovrà fare ricorso alla procedura di disapplicazione, ma limitarsi ad affermare la contrarietà dell’opera rispetto all’elemento normativo della fattispecie. Pertanto, il giudice è tenuto ad esaminare l’atto con poteri e finalità sue proprie, senza riscontrare l’opportunità e il merito amministrativo ne’ la legittimità, ma procedendo a valutare la conformità dell’atto al tipo previsto dalla disposizione penale. In materia, il richiamo al concetto di disapplicazione dell’atto amministrativo non ha ragione di essere perché estraneo alle valutazioni di competenza proprie del giudice penale, il quale, nel valutare la validità dell’atto amministrativo, dove richiesto dalla norma penale, non fa altro che indagare sulla sussistenza o meno di un elemento normativo della fattispecie tenendo presente il bene giuridico tutelato; attività, questa, tipica del giudizio penale, che non può essere dunque delegata ad altro giudice. La consonanza all’ordinamento extrapenale dell’elemento normativo e quindi l’indagine circa la sua validità, rileva in quanto e nella misura in cui ciò sia richiesto dal significato impresso alla fattispecie e ad ogni suo elemento dall’interesse penalmente protetto, con l’effetto che la rilevanza penale dell’atto amministrativo (o civile) viene limitata al substrato di fatto necessario e sufficiente, in combinazione con gli altri elementi che connotano la fattispecie criminosa, per l’offesa del bene tutelato o, se si tratta di elemento costitutivo di segno negativo, per l’esclusione della stessa (Cass. Sent. n. 27261 del 2010 cit.). Chi si appresta ad eseguire un’opera ha il dovere di osservare non solo quanto prescritto dal titolo edilizio, ma anche quanto prescritto dalla normativa urbanistica e di piano. Di conseguenza l’intestatario, il committente e l’esecutore non possono considerarsi esenti da responsabilità per il semplice fatto di avere conseguito il titolo abilitativo se questo è stato rilasciato in contrasto con la legge o gli strumenti urbanistici. Non ogni vizio dell’atto amministrativo o civile potrà essere rilevato dal giudice penale, ma soltanto quello la cui presenza contribuisca a conferire al comportamento contestato significato “lesivo” del bene giuridico tutelato, evitando di costruire beni giuridici ad hoc al fine proprio di scardinare il principio di tassatività (Cass. Sent. n. 27261 del 2010 cit.). In definitiva, l’esame dell’atto amministrativo che sia elemento della singola fattispecie incriminatrice effettuato alla luce del bene giuridico tutelato non è altro che l’espressione della piena ed autonoma cognizione del giudice penale, che non può essere attribuita ad altro giudice o ad organo della pubblica amministrazione.
Elemento soggettivo
Atteso che in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori “sine titulo” sussiste anche nel caso in cui il titolo per costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico – edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione, al fine di un vaglio di responsabilità, assume rilievo decisivo la questione relativa alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo che, nel caso di specie di reato contravvenzionale, è integrata anche dalla colpa. Secondo un indirizzo della S.C., la macroscopicità del vizio che connota il titolo apparentemente formatosi può rappresentare un elemento per poter ritenere la responsabilità per la contravvenzione nella misura in cui risulta suscettibile d’incidere sul piano della valutazione dell’elemento soggettivo. Può dirsi che, in generale, l’esistenza di profili assolutamente evidenti di illegalità potrà costistuire un significativo indice di riscontro riguardo all’apprezzamento della colpa, con le dovute differenziazioni connesse ai diversi ruoli svolti dalle persone chiamate a rispondere. Ad esempio, una particolare valutazione dovrà essere riservata all’impresa esecutrice se l’opera costruita risulta conforme al titolo rilasciato, poiché di norma non può certo esigersi dalla ditta esecutrice delle opere un onere di verificare la conformità allo strumento urbanistico di un titolo regolarmente rilasciato dall’amministrazione comunale, in ordine alla cui richiesta e rilascio la ditta esecutrice non ha dispiegato alcun intervento; dovendo operare anche un principio di affidamento incolpevole nei confronti delle altre figure coinvolte nella realizzazione dell’intervento edilizio, quali il committente, il progettista e il direttore dei lavori che possiede la competenza tecnica a verificare la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica, tanto più se ha curato la procedura di rilascio del titolo edilizio.