La validità ed efficacia della clausola arbitrale presente negli atti costitutivi e statuti di società anteriormente al 1.01.2004 e non rispondenti ai requisiti richiesti dall’art. 34 D.Lgs. 5/2003.
La teoria del doppio binario e l’orientamento della Cassazione.
La norma
I problemi principali hanno riguardato inizialmente soprattutto il tema della validità delle clausole compromissorie già contenute negli atti costitutivi e statuti di società anteriormente al 1° gennaio 2004, della necessità del loro adeguamento, della applicabilità dell’art. 223 bis e dell’art. 223 duodecies disp, att. c.c. nel periodo transitorio.
L’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003 esplicitamente dichiara che gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Ma precisa al secondo comma che la clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società.
La teoria del “doppio binario”
Parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (Corte d’appello di Genova 7 marzo 2005; Tribunale di Bologna 17 giugno 2008) ha affermato la validità delle clausole statutarie antecedenti alle disposizioni della citata Novella del 2003 secondo un orientamento definito “del doppio binario”. Secondo questa teoria le clausole arbitrali predisposte antecedentemente all’introduzione dell’arbitrato societario, di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 5/2003, sarebbero da ritenersi valide o in ogni caso, secondo l’orientamento della “nullità parziale”, vi sarebbe ai sensi dell’art. 1419 comma II c.c. una sostituzione automatica del soggetto cui spetta la potestà di nomina degli arbitri.
La giurisprudenza ha definitivamente chiarito come la norma dell’art. 34 D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, contempla l’unica ipotesi di clausola compromissoria che possa essere introdotta negli atti costitutivi delle società, restando escluso il ricorso in via alternativa od aggiuntiva alla clausola compromissoria di diritto comune, prevista dall’art. 808 c.p.c.. Ne consegue che se, in violazione di tale prescrizione, l’atto costitutivo preveda invece una forma di clausola compromissoria che non rispetti i requisiti, in punto di nomina degli arbitri indicati dalla norma speciale, la nullità di tale pattuizione comporta che la controversia societaria possa essere introdotta soltanto davanti alla autorità giudiziaria ordinaria.
L’orientamento della Cassazione
L’orientamento per lo più dottrinale detto del “doppio binario” è stato completamente e ripetutamente superato dalla Suprema Corte.
In Particolare l’Ordinanza della Cassazione 10.10.2012 n. 17.287 ha confermato la radicale nullità delle clausole compromissorie non adeguate all’art. 34 cit. e il rifiuto della tesi c.d. del doppio binario, secondo la quale le clausole “non adeguate” potrebbero continuare ad applicarsi accanto a (o invece di) quelle conformi alla disposizione indicata precisando i seguenti principi e indicando le seguenti argomentazioni: “a) il comma 2, art. 34, dispone che se la società, avvalendosi della facoltà riconosciuta dal comma 1, intende inserire nell’atto costitutivo una clausola compromissoria, detta clausola “deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso a pena di nullità il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società”, utilizzando quindi termini che evidenziano la doverosità della previsione del particolare potere di nomina; b) la nullità, che colpisce non solo il conferimento del potere di nomina degli arbitri, ma l’intera clausola compromissoria, è dettata dall’esigenza di garantire il principio di ordine pubblico dell’imparzialità della decisione (Cass. 24.867/2010); se la norma prevedesse un semplice onere di adeguamento la previsione della nullità sarebbe svuotata di ogni forza conformativa della realtà giuridica societaria, che rientra invece nelle finalità dell’intervento normativo; c) d’altra parte la normativa delegata in tema di arbitrato è stata pacificamente dettata per superare le difficoltà applicative e i contrasti giurisprudenziali riguardanti l’applicazione dell’arbitrato alla materia societaria e tale finalità sarebbe certamente frustrata dalla possibilità di avvalersi delle clausole compromissorie diverse da quelle disciplinate dall’art. 34; d) il fatto che il comma 1, art. 34 preveda che gli atti costitutivi delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio “possono” contenere clausole compromissorie che rispondano a determinati requisiti non significa che possono contenere anche clausole con requisiti diversi, ma solo che è previsto non l’obbligo (che non sarebbe conforme a Costituzione) ma la facoltà di inserire una tale clausola, fermo che, in caso contrario è possibile solo il ricorso al giudice o, dopo che insorga la controversia, la redazione di un compromesso conforme alla disciplina codicistica e quindi senza le peculiarità dell’arbitrato endosocietario; e) i lavori preparatori non contrastano l’interpretazione seguita perchè se è vero che l’arbitrato endosocietario non sostituisce “il modello codicistico (naturalmente ultrattivo anche in materia societaria)”, è anche vero che la stessa relazione afferma che le clausole compromissorie inserite negli statuti “(essendo – peraltro – esclusa la soluzione di compromesso sulla base di una rigorosa interpretazione della legge di delega) devono necessariamente prevedere, a pena di nullità, la designazione del collegio da parte di terzi imparziali”, con ciò confermando che il modello codicistico di arbitrato ultrattivo è solo quello che si ricollega al compromesso, ma non quello che potrebbe collegarsi a una clausola compromissoria; f) l’esclusività della clausola compromissoria conforme a quanto dispone il comma 2, art. 34 è confermato dalla maggioranza qualificata prevista dal sesto comma della stessa disposizione per l’introduzione di tale clausola negli statuti, che altrimenti non avrebbe alcuna giustificazione (Cass. n. 15.892/2011)”.
La sopra indicata ordinanza pone definitivamente fine alla questione riepilogando tutti i principi e le statuizioni precedenti della Corte che, in ogni caso, si era espressa in tale senso.
In ordine a come può ritenersi pacifica l’interpretazione della norma comportante la nullità di una clausola compromissoria difforme dal disposto dell’art. 34 del d. lgs. n. 5/2003 la Cassazione civile , sez. VI, sentenza 13.10.2011 n° 21.202, pronunciandosi sul punto della responsabilità professionale di un notaio afferma “consegue che questa Corte ben può affermare quando un’interpretazione giuridica di una certa norma è pacifica o meno. In merito all’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003, può quindi ritenersi che la nullità di una clausola arbitrale che preveda un arbitrato di diritto comune in atto di costituzione di società, già affermata da Cass. 24.867/2010, si è ulteriormente consolidata a seguito della successiva statuizione della Corte del 20.7.2011, n. 15.892.”
Proprio con la sentenza della Suprema Corte n. 24.867 del 2010, la Cassazione aveva già risolto la questione nel senso di negare ogni giustificazione alla tesi del doppio binario, dichiarando la nullità di ogni patto che non sia conforme alla normativa della legge speciale, e giudicando l’inciso di cui al comma 5 dell’art. 35, d.lgs 5/2003, come riferimento alla conferma della validità dell’arbitrato irrituale di diritto comune, ma solo se costituito ex post, non invece se costituito in sede statutaria e in via generale e preventiva, con impossibilità quindi di riqualificare un’erronea clausola compromissoria per arbitrato speciale societario, in un arbitrato di diritto comune.
La sentenza della Suprema Corte Cass. civ. Sez. III, 9 dicembre 2010, n. 24.867 ribadisce come una clausola compromissoria inserita negli atti societari, difforme da quella prevista dall’art. 34, D.Lgs. n. 5 del 2003, nella parte in cui preveda il deferimento delle eventuali controversie al giudizio di arbitri nominati anche dalle parti, deve ritenersi nulla. In ipotesi siffatte incorre in sanzioni disciplinari il notaio che abbia provveduto ad inserire nei summenzionati atti una clausola avente il precisato contenuto, laddove ai suddetti fini disciplinari è del tutto irrilevante la circostanza che la clausola compromissoria, nulla per contrasto con norma imperativa, possa essere eventualmente sostituita di diritto dalla norma stessa, ai sensi dell’art. 1.419 c.c., in quanto rimedio previsto dal legislatore unicamente per garantire la conservazione dell’atto ai fini privatistici. Pur non conducendo un tale vizio alla nullità dell’intero negozio, trattasi in ogni caso di nullità parziale assoluta. Peraltro tale sentenza ha per oggetto la responsabilità professionale del notaio e nel caso specifico afferma la responsabilità dello stesso, sia che si applichi o meno l’art. 1419 c.c., applicabilità che le successive sentenze della Cassazione escludono categoricamente.
Depurata dai profili inerenti la responsabilità del notaio per violazione dell’art. 28 l. not., che non rilevano ai nostri fini, la motivazione della Corte si fonda essenzialmente sui seguenti profili: (i) l’art. 34 prevede letteralmente una sanzione di nullità; (ii) la norma vuole consolidare i principi di imparzialità ed indipendenza degli arbitri; (iii) l’uso del sintagma «possono» nel primo comma dell’art. 34 non si deve intendere siccome riferito ad un’alternatività fra modello arbitrale comune e modello arbitrale societario; (iv) l’art. 35 conferma la natura inderogabile del modello arbitrale societario; (v) infine, gli artt. 34 ss. si riferiscono anche agli arbitrati irrituali, come confermerebbe l’inciso contenuto nell’art. 35 medesimo, con riferimento alla potestà cautelare degli arbitri.
La sentenza 15.892/2011 della Cassazione si sofferma con più attenzione in ordine alla previsione di nullità, la quale “- come s’è già rilevato – non è riferita alla clausola relativa alla nomina degli arbitri secondo un criterio non rispettoso della prescrizione che essi non siano nominati all’interno della società, ma è riferita alla clausola compromissoria come tale, nel senso che vitiatur et vitiat la stessa previsione dell’arbitrato: se la disciplina concorresse con la lex generalis sarebbe stato ragionevole prevedere che la clausola difforme dal modello dell’art. 34 fosse quantomeno riconducibile ad essa. Ma sarebbe stato necessario dirlo e non invece proclamare in termini secchi la nullità. L’esegesi proposta sarebbe rafforzata, se ve ne fosse bisogno, dalla previsione nell’art. 34, comma 6 di una maggioranza particolarmente qualificata per l’introduzione di clausole compromissorie, evidentemente secondo il modello della norma: se tale modello non fosse esclusivo non si comprenderebbe l’interesse del legislatore delegato ad affermare la necessità di tale maggioranza. Di nessun rilievo contro l’idea dell’esclusività è, invece, l’argomento – prospettato in dottrina e da parte della giurisprudenza di merito – della permanenza della applicabilità della disciplina del codice di rito a proposito del compromesso: compromesso e compromissoria sono fenomeni distinti, perché l’uno suppone che la lite sia già sorta, l’altro che non lo sia. L’avere il legislatore delegato ristretto il modello speciale alla sola clausola compromissoria d’altro canto era imposto dalla legge delega, che solo ad essa riferiva la delega con facoltà derogatoria della lex generalis. E d’altro canto è palese che la previsione nello stesso atto costitutivo o nella sua modifica della clausola compromissoria si presenta di particolare importanza rispetto alla stipulazione episodica di un compromesso.
Sulla base delle esposte ragioni si devono a questo punto affermare i seguenti principi di diritto, sostanzialmente già sostenuti – sia pure con percorso argomentativo non del tutto identico – da Cass. n. 24.867, nel senso che la norma del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 con riferimento agli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’art. 2325-bis c.c., prevede l’unica ipotesi di clausola compromissoria stipulabile nell’ambito di detti atti, restando, dunque, esclusa la possibilità che essi possano prevedere sia una clausola compromissoria ai sensi dell’art. 808 c.p.c., cioè della norma di diritto comune, sia quest’ultima in via alternativa alla clausola secondo l’art. 34. Ne consegue che, ove l’atto costitutivo preveda una forma di clausola compromissoria che non rispetti la prescrizione in punto di nomina degli arbitri di cui a detta norma, la nullità della clausola comporta che la controversia possa essere introdotta soltanto davanti all’a.g.o., restando escluso che possa trovare applicazione la disciplina generale della clausola compromissoria prevista dal codice di procedura civile.” Tale clausola compromissoria è affetta, sin dalla data di entrata in vigore del citato d.lgs. 5 del 2003, da nullità sopravvenuta rilevabile d’ufficio (Cass., Sez. 2, Sent. n. 23550 del 2017).