La separazione dei beni nel matrimonio

Il regime di separazione dei beni, la tempistica in cui può essere operata la scelta della separazione e la rilevanza della stessa nei rapporti con i creditori.

Sommario:
– Il regime di separazione dei beni;
– Rapporti con i terzi creditori;

Il regime di separazione dei beni.
La separazione dei beni nel matrimonio è il regime patrimoniale in cui ciascuno dei coniugi ha la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio, il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo e i redditi derivanti da tali beni.
La stessa è contemplata dall’art. 215 c.c. che prevede come i coniugi possano convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.
Il regime patrimoniale della famiglia, in assenza di diversa convenzione tra i coniugi, è quello della comunione dei beni ex art. 159 c.c. e comporta la contitolarità e cogestione da parte dei coniugi dei beni acquistati, anche separatamente, in costanza di matrimonio. Pertanto, salvo diverso accordo tra i coniugi, il regime patrimoniale stabilito dalla legge durante il matrimonio, è quello della comunione legale dei beni.
La scelta della separazione dei beni può essere operata prima del matrimonio a mezzo di una convenzione redatta innanzi al notaio per atto pubblico; al momento della celebrazione del matrimonio con indicazione nell’atto stesso, sia che si tratti di matrimonio civile sia di matrimonio concordatario. Può essere, inoltre, convenuta anche durante il matrimonio sempre con atto pubblico avanti il notaio, con atto che produrrà i propri effetti ex nunc, ossia dal momento dello scioglimento della comunione legale. In tale ipotesi l’atto deve essere redatto in presenza di due testimoni ed annotato a margine dell’atto di matrimonio, conservato presso l’ufficio di stato civile del Comune nel quale è stato celebrato il matrimonio.
La separazione dei beni può anche essere originata da un’azione giudiziale nei casi indicati dal legislatore quali l’interdizione o l’inabilitazione.
L’art. 191 c.c. elencando i casi di scioglimento della comunione prevede che la comunione dei beni nel suo complesso si sciolga anche in caso di separazione giudiziale, pronunciata dal giudice in presenza dell’interdizione o dell’inabilitazione di uno dei coniugi ovvero di cattiva amministrazione della comunione o, ancora, quando il disordine negli affari di uno dei coniugi o la condotta tenuta da uno di questi nell’amministrazione dei beni rischi di pregiudicare gli interessi dell’altro o, ancora, quando uno dei coniugi non contribuisca proporzionalmente ai bisogni della famiglia; a seguito del mutamento del regime patrimoniale della comunione per effetto della scelta della separazione compiuta dai coniugi; nell’ipotesi di fallimento di uno dei coniugi. Il comma 2 stabilisce che, nel caso di separazione personale, la comunione tra coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato.
Con Sent. n. 8803/2017), la S.C. – dopo aver confermato che se una coppia di coniugi è in comunione dei beni e uno dei due viene dichiarato «fallito» dal tribunale, si scioglie automaticamente la comunione nel momento stesso del deposito della sentenza di fallimento e la coppia di coniugi si considera in regime di separazione dei beni – si è soffermata sulla peculiarità della comunione legale, che, a differenza di quella ordinaria, è definita “senza quote” per un artificio tecnico – giuridico, utile ad affermare il diritto del coniuge a difendere il patrimonio familiare da intromissioni di terzi e a non entrare in rapporti di comunione con estranei alla stessa, per cui ciascun coniuge risulta solidalmente titolare di un diritto sull’insieme dei beni in comune e non vi è la possibilità della partecipazione di estranei. In caso di scioglimento della comunione legale, i beni e i diritti che ne fanno parte cadono in comunione ordinaria tra i coniugi, ciascuno dei quali diventa esclusivo titolare della sua quota del diritto, vale a dire della metà di ogni bene,  anche nei rapporti con i terzi (Cass. n. 33546 del 2018).
Nell’eventualità dell’acquisto di beni immobili,  al fine di escludere l’applicazione del regime legale della comunione, le trascrizioni devono sempre contenere le dichiarazioni dell’acquirente di essere legalmente separato/a dal/la coniuge (Cass. Ord. n., 376 del 2021) e, quindi, nella nota di trascrizione è necessaria l’indicazione del regime patrimoniale delle parti coniugate, quale risulta dalle dichiarazioni rese nel titolo o da certificazione dell’ufficiale di stato civile.

Rapporti con i terzi creditori
Il regime di separazione di comunione o di separazione dei beni comporta degli effetti anche in relazione al rapporto con i creditori.
Nessuna norma prevede che i debiti di un coniuge in regime di separazione dei beni debbano essere pagati dall’altro coniuge, anche se contratti “nell’interesse della famiglia”.
La Cassazione, con Sent. n. 25026/2008, ha evidenziato che : “Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, l’obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l’altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il suddetto principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell’invocabilità da parte del creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c.” (Cass. n. 3471 del 15/02/2007).
Nel caso di coppia che abbia optato per la comunione dei beni, la regola generale prevede che il creditore di uno dei due coniugi (anche se si tratti di un credito derivante da attività lavorativa, d’impresa o di società di persone) possa agire in via esecutiva e pignorare, oltre al patrimonio di quest’ultimo, anche il 50% dell’altro coniuge. Va poi precisato che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, ha ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in ipotesi di assegnazione (Cass. n. 6575 del 2013).
Diversa, invece, la soluzione nel caso di separazione dei beni, in cui il creditore può aggredire esclusivamente i beni del coniuge debitore.
Discorso a parte merita l’eventualità in cui il creditore proceda con un pignoramento mobiliare.
A riguardo,  l’art. 58 del D.p.r. n. 602 del 1973 consente al fisco di pignorare i beni del parente, fino al terzo grado, che lo ospita, per via della presunzione di comproprietà dei beni mobili. Il parente o l’affine del debitore fino al terzo grado, può certamente cercare di dimostrare la proprietà dei beni mobili pignorati nella casa del debitore solo con atto pubblico o scrittura privata di data certa anteriore a determinate epoche in cui è sorto il presupposto dell’iscrizione a ruolo.
Al di là della specifica norma avente efficacia nei rapporti con il fisco, comunque, nel caso in cui sia provata la coabitazione del terzo opponente con il debitore, il primo, al fine di evitare il pignoramento dei propri beni, stante il rapporto di convivenza, deve fornire comunque la prova della proprietà dei beni.
Infatti, per un consolidato orientamento della Corte di Cassazione “qualora in una casa convivano più persone, tutti i beni ivi esistenti possono essere pignorati per il debito di ciascuno, salvo il diritto dei conviventi non debitori di proporre opposizione a norma dell’art. 619 cpc, con le limitazioni di prova stabilite dal citato art. 621, ancorché l’opponente sia un parente” (Cass. n. 10287 del 2006).