Il Decreto n. 205/2021 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la nota n. 315 del 22/02/2022 dell’INL sotto il profilo operativo sembrano non riservare alcuna rilevanza al contratto di rete in tema di codatorialità e ciò può togliere interesse all’applicazione dell’istituto.
CONTRATTO DI RETE
Sono di comune conoscenza le notevoli le difficoltà che le Piccole e Medie Imprese Italiane si trovano costantemente a fronteggiare a seguito del processo di globalizzazione delle economie e delle società civili e del contesto sempre più competitivo in cui operano.
Uno degli strumenti più interessanti messo in campo dal Legislatore Italiano, con il chiaro scopo di favorire forme aggregative tra realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni, è rappresentato indubbiamente dal contratto di Rete tra imprese (art. 3, co. 4 ter, d.l. 10.02.2009, n. 5, conv. con legge 9.04.2009, n. 33).
Grazie al contratto di rete, realtà piccole o piccolissime (ma sovente flessibili e di grandissima capacità tecnica e operativa) possono “mettersi insieme” per fare “qualcosa di grande” o comunque propizio alla loro attività di impresa, e se ben organizzate tra loro “competere” anche con realtà più strutturate.
Per le imprese che hanno stipulato contratti di rete sovente si manifesta l’esigenza di favorire la mobilità infra-rete dei lavoratori (spesso in primis anche degli stessi titolari o amministratori) ovvero conseguire la condivisione delle migliori professionalità in quanto funzionali al raggiungimento degli obiettivi della rete e delle imprese che la costituiscono.
L’art. 3, comma 4 ter del D.L. n.5/2009 infatti così dispone:
col contratto di rete più imprenditori sulla base di un programma comune di rete:
- Collaborano in forme ed ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese;
- Si scambiano informazioni o prestazioni di natura commerciale tecnica o tecnologica;
- Esercitano in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa
Per i punti 1 e 3 appare quasi una tautologia affermare che si fa rete per “lavorare insieme”.
E’ quindi giusto attendersi che anche le norme preordinate per le reti di imprese in riferimento all’utilizzo dei lavoratori (ovvero il distacco e la codatorialità), per sostenere effettivamente il perseguimento dei fini per i quali sono state costituite, debbano, da un lato, favorirne l’adozione e dall’altro consentire una agevole gestione dei rapporti instaurati.
Il legislatore ha avuto ben chiara questa necessità e ha previsto, si può dire, delle “specialità” che valgono solo per le reti di imprese, nei limiti di seguito indicati.
DISTACCO
Anche se il distacco non è certo un istituto nuovo nel ns. panorama giuslavoristico, nel nostro caso, il legislatore lo ha reso “speciale” prevedendo che, solamente tra imprese sottoscrittrici di un contratto di rete, l’interesse del distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete.
Infatti, in presenza di un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, sussiste la presunzione assoluta dell’interesse del distaccante (Cass., Sez. L, Sentenza n. 33021 del 2018).
Più chiaro di così non si può.
Ordinariamente il tema arduo da affrontare per ogni distacco è poter dimostrare in modo inoppugnabile e senza eccessive complicazioni la sussistenza di un interesse (legittimo) del distaccante.
Ciò in forza del principio generale per cui la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione (c.d. distacco o comando) è consentita soltanto a condizione che essa realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale tale da consentirne la qualificazione come atto organizzativo dell’impresa che la dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e la conseguente temporaneità del distacco, coincidente con la durata dell’interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione del proprio dipendente a favore di un terzo
Questo interesse non può coincidere con la mera fornitura di manodopera all’impresa utilizzatrice in quanto siffatta specifica attività è riservata di regola alle sole imprese di “somministrazione”.
Nelle reti di impresa quindi, se correttamente impostato e gestito, il distacco non dovrebbe destare più tanta preoccupazione dato che l’interesse si considera automaticamente esistente.
Non potrebbe essere diversamente in quanto questi distacchi avvengono tra imprese che, pur rimanendo distinte, hanno obiettivi comuni e sottoscritto un programma specifico, assumendo specifici obblighi per realizzarlo.
Non vi sarebbe di certo coerenza nell’escludere la possibilità dell’utilizzo del personale delle imprese che partecipano alla rete e/o renderlo talmente farraginoso e “rischioso” da disincentivarne l’utilizzo.
La rete, per realizzare i suoi obiettivi, può avere assoluto bisogno di utilizzare “quel personale” e financo le professionalità degli imprenditori retisti, soprattutto in un periodo nel quale non sia assolutamente semplice reperire manodopera qualificata, che spesso è essenziale alle ns. reti di imprese.
L’utilizzo del personale delle retiste potrebbe per ciò solo identificarsi con una mera somministrazione di manodopera? Decisamente no.
Il distacco del personale è, e rimane, nelle reti “genuine”, uno strumento, forse il principale, per realizzare il programma di rete e mai un fine come invece avviene nella mera somministrazione di manodopera.
CODATORIALITA’
Analoghe considerazioni, fatti i debiti mutamenti, dovrebbero valere per il rapporto di codatorialità.
Si pensi ad un impiegato addetto alle vendite oppure a un impiegato amministrativo che si occupa della contabilità delle aziende retiste.
Se non ci fosse l’istituto della “codatorialità”, ciascuna impresa retista potrebbe essere costretta ad assumere in proprio, anche part-time, una tale figura che magari, già in forza presso una retista, non ha nessuna intenzione di “abbandonare” il proprio datore di lavoro pur essendo disponibile a fare attività anche a favore delle altre retiste.
Sarebbe quindi un compromesso accettabile per ciascun retista, potersi avvalere di una tale professionalità, accontentandosi di esercitare in modo condiviso il solo potere direttivo e lasciando che tutte le altre facoltà datoriali restino di esclusiva competenza del datore che ha proceduto ad assumere il lavoratore o che già lo aveva in forza.
Cosa che ovviamente non avviene nella mera somministrazione di manodopera, nella quale l’utilizzatore esercita pienamente tutte le facoltà datoriali.
Non va dimenticato del resto, il notevole livello di fiducia che deve intercorrere tra i retisti, a prescindere dalle regole necessariamente concordate, per consentire a quello stesso lavoratore di venire a conoscenza di parte dei dati (a volte piuttosto “strategici”) di ciascuna delle imprese coinvolte nella codatorialità.
Prima della normativa sulle reti di impresa non esisteva questo istituto che, come spiegato nell’articolo “Reti d’Impresa. L’assunzione congiunta” deve essere tenuto distinto, poiché diverso, dall’assunzione congiunta prevista per lo svolgimento di prestazioni lavorative presso le reti di impresa che coinvolgono imprese agricole.
DM 205/2021 e NOTA n. 315/2022 dell’INL
Il Decreto n. 205/2021 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché la nota n. 315 del 22/02/2022 dell’INL, emanati in ossequio a quanto previsto dall’art. 3, comma 4-septies della L. n. 5/2009, forniscono una lettura operativa che appare “allontanarsi” sia dalla ratio che dalla lettera di una normativa sulla “codatorialità”, come sopra delineata nei tratti essenziali, con il dubbio che in questo modo possa sorgere il pericolo concreto di vanificarne la portata innovativa e, conseguentemente, l’utilizzo nelle reti di impresa.
Il decreto n. 205/2021, all’art. 3, comma 3, espressamente prevede infatti che per i lavoratori in codatorialità, iscritti nel libro unico del lavoro dell’impresa di provenienza (o di quella a cui viene “imputato” il rapporto di lavoro se il lavoratore viene assunto nel corso del contratto di rete), le annotazioni evidenzino separatamente l’impiego orario del lavoratore presso ciascun datore di lavoro.
Una tale previsione però rende non del tutto funzionale la gestione e in pratica “poco competitivo” l’istituto della codatorialità.
Cosa dire infatti del caso in cui il lavoratore renda prestazioni lavorative in regime di codatorialità consistenti ad esempio nella promozione di articoli o prodotti che sono il frutto dell’attività della rete di imprese e non tipici delle singole imprese ?
E’ chiaro che in quel caso il lavoratore lavora simultaneamente a favore di ciascuna impresa retista ? Così come lavora simultaneamente a favore di ciascuna impresa retista anche quando, pur promuovendo un prodotto realizzato da una sola retista, per il solo fatto di presentarsi a nome della rete, indirettamente porta acqua al mulino della stessa provocando l’interesse del cliente a conoscere le altre retiste e quindi anche gli altri codatori che magari più avanti nel tempo verranno contattati da quel cliente grazie all’attività del commerciale utilizzato dalla rete.
Quale suddivisione dovrà essere indicata nel LUL ,ovvero nel libro unico del lavoro nel quale vengono annotati i lavoratori in forza e l’orario svolto da ciascuno?
E quale suddivisione nel caso del lavoratore tecnico specializzato che, ad esempio, effettua controlli sulla macchina acquistata con le finanze della rete e che serve per lo svolgimento di attività previste dal progetto di rete ?
A chi e come verrà imputato il tempo impiegato dal lavoratore ?
Tutto questo comporta un carico di adempimenti disorganici che non sarà agevolmente assolto in molti casi e che, soprattutto, potrà scoraggiare le imprese dall’utilizzo della codatorialità.
Molto più conforme potrebbe essere consentire ai retisti di suddividersi i costi in base alle regole di ingaggio che hanno ritenuto opportuno darsi, magari prevedendo forme di garanzia degli adempimenti connessi, evitando così di implicare semplicemente la riferibilità della prestazione di lavoro ad un soggetto sostanzialmente unitario, come nell’ipotesi in cui sia stata accertata l’esistenza di più imprese ma di un’unica sottostante organizzazione, intesa come unico centro decisionale (Cass. Ordin. n. 13207 del 2022), non esteriorizzata dalle stesse.
Il fine è che il lavoratore sia retribuito per il lavoro svolto e che la contribuzione venga versata.
Se, come crediamo, si può sostenere che la codatorialità può essere identificata con una sorta di distacco a parte complessa, con una condivisione del solo potere direttivo tra i retisti (in questo solo ed unico senso co-datori) (v. Codatorialità e Distacco, alcune differenze), allora il carico di adempimenti richiesti dovrebbe presentarsi più contenuto e lineare e quello ora previsto considerarsi inadeguato, poiché tante e diverse tra loro possono essere le ipotesi di concreta declinazione della codatorialità.
L’impressione è che il Ministero, nella pur comprensibile preoccupazione di evitare fenomeni “distorsivi” nell’utilizzo della codatorialità, possa togliere all’istituto ogni carattere di innovazione e di spinta propulsiva.
Un conto è prevedere che, in caso di utilizzo improprio della codatorialità, via siano conseguenze a carico dei codatori, altro è stabilire in automatico una responsabilità solidale dei retisti, come emerge dal testo del suddetto decreto e dalla correlata circolare dell’INL, estesa anche a situazioni che non rientrano nell’area di competenza e controllo della singola azienda.
Sembra non priva di ragione l’aspettativa di riscontrare una differenziazione per le imprese unite da un contratto di rete rispetto ad altre situazioni.
Nei gruppi di imprese fortemente integrati, ad esempio – in cui, secondo la S.C., “è giuridicamente possibile concepire un’impresa unitaria che alimenta varie attività formalmente affidate a soggetti diversi (il che non comporta sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica, né di negare la pluralità di quei soggetti), ben può esistere un rapporto di lavoro che veda nella posizione del lavoratore un’unica persona e nella posizione del datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l’obbligazione del datore di lavoro” (Cass. n. 267 del 2019).
Anche in questo caso, però la “codatorialità” non rientra nel quadro di un preesistente contratto di rete e non risulta disciplinata da formali “regole di ingaggio” legittimate da una previsione legislativa. E’ piuttosto il risultato di un accertamento giudiziale. E’ comunque da intendersi, come interpretata dalla S.C., molteplicità di soggetti dal lato datoriale cui corrisponde una indistinta solidarietà nelle obbligazioni connesse al rapporto di lavoro.
Alla codatorialità delle reti di impresa ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, invece, così come avviene per il caso del distacco, dovrebbe riconoscersi un carattere “speciale”, che ben può essere individuato nel principio della condivisione del solo potere direttivo, perché appunto qualificabile come forma di distacco cd. a parte complessa.
Il codatore delle reti di impresa non è un datore di lavoro dotato di tutte le facoltà datoriali (es: disciplinare, direttivo, etc.), condividendo con l’unico ed effettivo datore di lavoro il solo potere direttivo, con le modalità previste dalle c.d. regole di ingaggio.