La dichiarazione di fallimento non determina la cessazione automatica dei rapporti di lavoro e spetta al Curatore stabilire se sia appropriato o meno procedere al licenziamento dei lavoratori.
Dopo la dichiarazione di fallimento, il Curatore fallimentare è chiamato (nel senso che è obbligato) ad assumere delle decisioni avuto riguardo al personale ancora in forza all’impresa dichiarata fallita.
In linea generale, si è (v. : Fallimento e rapporti di lavoro subordinato) che, ad avvenuta dichiarazione di fallimento, con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato in essere opera automaticamente il principio della sospensione del rapporto di lavoro ex art. 72 L.F.
Solo qualora sia disposto l’esercizio provvisorio di impresa, la regola valida per tutti i rapporti pendenti è nel senso che la prosecuzione è automatica, salva la facoltà del curatore di scioglierli o sospenderli (art. 104, co. 7, L.F.) (Cass. n. 7308 del 2018).
La sospensione è strumento idoneo ad agevolarne la gestione, al momento dell’ingresso della Curatela fallimentare in tutta una serie di rapporti giuridici, che necessitano di tempo per una loro disamina e per consentire di maturare la decisione migliore in rapporto agli scopi ed obiettivi della procedura, anche ai fini di una strategia liquidatoria (Cass. n. 13693 del 2018).
Durante la sospensione, che ne interrompe la sinallagmaticità, il rapporto di lavoro rimane “in vita” pur se in stato di quiescenza: il lavoratore non matura alcun diritto e in capo alla Curatela non sorge alcun obbligo né retributivo né contributivo (Cass. n. 7473 del 2012; Cass. n. 13693 del 2018 cit.).
Il rapporto di lavoro sospeso persiste fintanto che:
a) il Curatore comunica il licenziamento al lavoratore;
b) il lavoratore (se il Curatore non decide), messo in mora il Curatore, viene espressamente licenziato, oppure non riceve alcuna risposta entro il termine di 60 giorni (evenienza da parificarsi a quella del licenziamento espresso).
In tali ipotesi, il rapporto di lavoro avrà termine con effetto dal giorno in cui è iniziata la sospensione automatica del rapporto cioè dalla data della dichiarazione di fallimento dell’Impresa.
Ove il curatore intenda sciogliersi dal rapporto di lavoro dovrà farlo nel rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi, non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in generale previste per la ‘ risoluzione dei rapporti di lavoro (Corte di Cass. Ordin. n. 26671 del 2018).
Queste sono, in linea generale, le modalità di cessazione dei rapporti di lavoro in essere al momento del fallimento.
In funzione di tali adempimenti, sul Curatore grava un obbligo giuridico di valutare in modo diligente e cercare di percorrere una strategia liquidatoria del patrimonio del fallito che risulti proficua ed efficace per i creditori, nel rispetto delle altre esigenze imposte dalla legge, tra le quali, di primo livello, deve considerarsi pure la salvaguardia dei livelli occupazionali.
In particolare, egli deve verificare la possibilità e la convenienza di una prosecuzione dei rapporti di lavoro, in vista della conservazione della potenzialità produttiva dell’azienda e non solo in relazione alla eventualità di un esercizio provvisorio, ma anche in relazione alla possibilità di una cessione/affitto dell’azienda o della ripresa della sua amministrazione da parte del fallito a seguito di concordato fallimentare, tramite accordo tra il fallito o un terzo e i creditori.
L’esigenza di salvaguardare i rapporti di lavoro, seppur entro la dimensione tipica del fallimento e quindi della liquidazione patrimoniale e dell’assenza di pregiudizio, deve essere valutata paritariamente a quella del soddisfacimento dell’interesse dei creditori.
Ciò appare confermato dalla presenza nella riforma del diritto fallimentare di norme tese anche alla salvaguardia della continuità dell’attività produttiva e quindi dell’occupazione, quali l’art. 104-bis ove la legge fallimentare mette in evidenza la necessità di conservare i livelli occupazionali.
Può fornire spunti di interesse la tesi, avanzata in dottrina e seguita anche dalla giurisprudenza, secondo cui nel valutare la ricorrenza di un danno grave, in presenza del quale autorizzare l’esercizio provvisorio (art. 104 L.F.), il tribunale non è vincolato a tener conto esclusivamente dell’interesse del ceto creditorio (Cass. n. 22209 del 2013).
In effetti, oltre al fatto che nell’art. 104 dell’attuale legge fallimentare, rispetto alla formulazione del previgente art. 90 L.F., non è più richiamato l’aggettivo irreparabile, circostanza che favorisce un maggior utilizzo dell’esercizio provvisorio, va rilevato che, mentre in precedenza il danno “grave” e “irreparabile” era valutato in rapporto all’interesse dei soli creditori, oggi il danno “grave” va valutato in relazione alla impresa, con l’evidenza che la prosecuzione non ha più solo l’obiettivo di conseguire il migliore risultato liquidatorio concorsuale, ma persegue l’interesse pubblicistico della conservazione dell’impresa.
In questa prospettiva, va ancora considerato che la L. 19 ottobre 2017, n. 155 “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”, promuove una riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali attenendosi ai seguenti principi generali: a) sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati con l’espressione «liquidazione giudiziale», adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità’ delle fattispecie criminose; b) eliminare l’ipotesi della dichiarazione di fallimento d’ufficio, di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270; favorire proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità’ aziendale, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa. In questo modo, il Legislatore cerca di favorire l’emersione dello stato di crisi aziendale il prima possibile, di prevenire il raggiungimento di uno stato di insolvenza conclamato e difficilmente reversibile, al fine di favorire la continuità aziendale mediante procedure di allerta e di composizione della crisi. All’art. 7 “procedura di liquidazione giudiziale”, comma 6, la legge delega testualmente dispone che disciplina dei rapporti giuridici pendenti è integrata: a) limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l’esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura; al comma 7, stabilisce che la disciplina degli effetti della procedura sui rapporti di lavoro subordinato e’ coordinata con la legislazione vigente in materia di diritto del lavoro, per quanto concerne il licenziamento, le forme assicurative e di integrazione salariale, il trattamento di fine rapporto e le modalità’ di insinuazione al passivo.
Questi obiettivi vincolano il Curatore a valutare attentamente le proprie opzioni. Egli non può limitarsi, come forse poteva avvenire in passato, alla scelta di procedere alla liquidazione dell’attivo patrimoniale, con l’automatico licenziamento dei lavoratori ancora in forza, senza specifici e preventivi approfondimenti e indagini
Non può escludersi che, in caso di prolungata inerzia o negligenza o comunque per un uso distorto o colpevole della facoltà riconosciutagli, possa essere fatta valere una responsabilità risarcitoria di diritto comune da parte dei danneggiati, ove ne ricorrano i presupposti (Cass. n. 7308 del 2018 cit.).
Spetterà perciò al Curatore, sotto la vigilanza degli altri organi fallimentari, accertare e stabilire se sia conveniente procedere al licenziamento dei lavoratori in relazione alle suddette eventualità ed anche in relazione al lavoro da espletarsi, il quale potrebbe presupporre necessariamente un’azienda in attività e rendersi opportuno (il lavoro) anche in una fase di sospensione dell’attività medesima (Cass. n. 19308 del 2016).
Le prime opzioni che dovranno essere prudentemente vagliate
tendenzialmente sono:
1.- la possibilità di continuazione temporanea dell’attività aziendale.
La scelta ordinariamente si mantiene nell’ambito del passaggio da una gestione per fini di produzione ad una gestione per fini di liquidazione, con contestuale contemperamento del criterio del mantenimento dei livelli occupazionali e della salvaguardia dei diritti dei lavoratori.
Il Curatore, che pure non è un imprenditore, considerato che in linea di massima con la dichiarazione di fallimento si ferma l’attività d’impresa, dovrà valutare la possibilità o meno di una sua ripresa a breve termine e, ricorrendone i presupposti, la continuazione temporanea.
Potrà essere preso in esame, anche al solo scopo di conservare utilmente l’impresa, il mero mantenimento in vita dei rapporti di lavoro in stato di sospensione, rimanendo ferma la necessità di evitare pregiudizio ai creditori.
Successivamente alla dichiarazione di fallimento, qualora non sia già stato disposto l’esercizio provvisorio dal Tribunale (che abbia ravvisato nella interruzione un danno grave e contemporaneamente escluso un pregiudizio ai creditori), su proposta del Curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, potrà autorizzare, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami fissandone la durata.
In tali ipotesi, secondo le forme e i tempi previsti dalla normativa in materia di lavoro, il Curatore sarà tenuto a manifestare la volontà di non succedere nel contratto di lavoro nei confronti di quei lavoratori la cui attività non risulti giustificata dall’esercizio temporaneo e/o provvisorio.
In caso di esercizio provvisorio autorizzato “limitatamente a specifici rami dell’azienda”, il subentro riguarderà soltanto i contratti dei lavoratori addetti a tali rami.
Per i lavoratori coinvolti dall’esercizio, il Curatore succede nel rapporto di lavoro in qualità di vero e proprio Datore di lavoro in luogo del Fallito, con sua piena responsabilità dalla “chiamata” in servizio sino al termine del rapporto, dandone apposita informazione ai lavoratori.
Durante l’esercizio provvisorio, il Curatore conserva potere di sciogliere tutti i contratti che non risultano strumentali all’attività di impresa e ciò in ossequio alla necessità di evitare crediti prededucibili privi di valida motivazione.
In tale situazione, avuto riguardo al rapporto di lavoro ed alle responsabilità ad esso correlate, andrà distinto il periodo anteriore al fallimento da quello post-fallimento, considerando, se del caso, anche l’intervallo di tempo connesso al periodo di sospensione del rapporto ex art. 72 L.F.
Il Fallimento sarà tenuto al pagamento, previa domanda di ammissione al passivo da parte degli interessati, dei crediti retributivi (per i quali vige il regime di privilegio di cui all’art. 2751 bis, n. 1, c.c.), contributivi ed assicurativi maturati dal lavoratore dall’inizio del rapporto di lavoro sino alla dichiarazione di fallimento con esclusione di ogni tipologia di risarcimento danni.
Da quando inizia l’esercizio temporaneo o provvisorio invece, la normativa stabilisce che i crediti siano soddisfatti in prededuzione, ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1, L.F. Essi, perciò, sono esclusi dal concorso e soddisfatti con precedenza assoluta rispetto agli altri, prima di procedere al riparto.
Il Curatore dovrà provvedere alla consegna del prospetto paga, versare le trattenute ed i contributi calcolati sulle retribuzioni corrisposte e dovrà assolvere agli altri obblighi amministrativi legati alla presenza di personale.
Al termine, dovrà procedere alla risoluzione dei rapporti ancora pendenti nel rispetto della normativa in materia di lavoro.
2.- mantenimento in forza di alcuni dipendenti per assistenza al Curatore.
Va anche tenuto conto altresì di un’ipotesi diversa da quella della prosecuzione dell’impresa in toto e/o di una sua parte, seppur provvisoria.
Ricorre il non infrequente caso nel quale il Curatore, magari non appena avvenuta la dichiarazione di fallimento, si renda conto di avere bisogno dell’assistenza ad es. di un’impiegata con particolare esperienza, per portare avanti senza troppi intoppi la procedura di liquidazione, oppure di un dipendente addetto al magazzino, per poter efficacemente procedere alla sua vendita ed evitando la dispersione del suo valore.
Qualora decida di avvalersi del personale, si realizza una riviviscenza del rapporto di lavoro, intesa come capacità di produrre i tipici effetti sinallagmatici, dopo il periodo di sospensione ai sensi dell’art. 72 L.F.
Detti effetti si manifestano con efficacia ex nunc ovvero dalla avvenuta comunicazione di prosecuzione del rapporto, al contrario di quanto accade nell’ipotesi del licenziamento comunicato dopo l’avvenuta sospensione del rapporto di lavoro i cui esiti retroagiscono alla data della dichiarazione di fallimento.
Articolo a cura di:
Dott. C. G.