Il rilievo dello stato di fatto del progettista

Caratteristiche dello stato di fatto. Inapplicabilità della cd. “soglia di tolleranza” in caso di difformità. Qualifica del tecnico redigente lo stato di fatto  quale esercente un servizio di pubblica necessità. Applicabilità del reato previsto dall’art. 481 c.p. Falsità  ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità. Annullamento dell’atto.

Sommario:
– Stato di fatto;
– Assenza di tolleranza;
– Funzione di certificato;
– Effetti conseguenti;
– Annullamento dell’atto

Stato di fatto
Alla richiesta di rilascio del Permesso di Costruire, oppure alla segnalazione certificata e alle comunicazioni riguardanti l’avvio di un’attività edilizia deve essere sempre unita la documentazione concernente lo stato di fatto attuale dei luoghi oggetto di intervento, vale a dire fotografie, elaborati grafici e relazione tecnico-descrittiva che integrandosi a vicenda hanno lo scopo di fornirne una piena e corretta rappresentazione.
Lo “stato di fatto” deve rappresentare fedelmente la realtà che prevale sempre sulle (eventualmente) diverse risultanze degli atti depositati presso l’A.C., ciò perché oggetto di valutazione, in sede urbanistico-edilizia, è l’immobile nella sua consistenza effettiva, non in quella catastale o urbanistica.
Un falso presupposto di fatto e, cioè, la certificazione solo apparente della conformità tra lo stato dei luoghi preesistente e quello riportato nelle tavole progettuali, dato rappresentato nella relazione tecnica e nei grafici, determinerebbe l’illegittimità del titolo abilitativo conseguente.

Assenza di tolleranza
Non ha rilevanza l’entità dell’eventuale difformità.
In particolare, la cd. “soglia di tolleranza” di cui all’art. 34, comma 2-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, si applica esclusivamente all’intervento e alle opere così come realizzati e costituisce unità di misura percentuale della eventuale variazione tra ciò che è stato assentito (che normalmente corrisponde allo “stato di progetto”) e quel che è stato realizzato, ma tale criterio non si applica anche al modo con cui deve essere confezionato lo “stato di fatto” di progetto (Cass. Sent. n. 15228 del 2017).
Perciò, ad esempio , anche limitate modifiche dell’immobile che, non incidendo sulla rendita catastale, non necessitano di apposita variazione, devono essere riportate dal progettista nello “stato di fatto” del progetto presentato a fini urbanistico-edilizi (Cass. Sent. n. 15228 del 2017 cit.).

Funzione di certificato
Per quanto riguarda gli elaborati grafici, la S.C. ha stabilmente affermato il principio che le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, da un esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi (Cass. Sent. n. 30401 del 2009).
Il tecnico tenuto a disporre gli atti necessari per il rilascio di una concessione edilizia, deve certamente considerarsi persona esercente un servizio di pubblica necessità, a mente dell’art. 359 n. 1), cod. pen., atteso che sia il progetto , sia la relazione ad esso allegata sono atti professionali che per legge devono essere prodotti a corredo della domanda di concessione edilizia – ora del permesso -, che per legge richiedono un titolo di abilitazione e che sono vietati a chi non sia autorizzato all’esercizio della professione specifica ( Cass. n. 39699 del 2018) .
Le caratteristiche del certificato sono delineate dall’art. 1 T.U. in materia di documentazione amministrativa (D.P.R. n. 445 del 2000), secondo cui si tratta di un documento “avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da titolari di pubbliche funzioni”.
Non rientrano nella nozione di “certificati” quegli atti che, nell’ambito di un procedimento amministrativo per il rilascio di un’autorizzazione, non hanno la funzione di dare all’Amministrazione un’esatta informazione su circostanze di fatto e, quindi, di provare la verità di quanto in essi affermato, ma sono espressivi di un giudizio, di valutazioni e convincimenti soggettivi, sia pure erronei, ma che non alterano i fatti ( Cass. n. 6873 del 2017 ).
Per certificato deve, quindi, intendersi un’attestazione concernente uno stato di fatto e non valutazioni, intenzioni o descrizioni di fatti e circostanze futuri riguardanti opere da realizzarsi (Cass., Sent. n. 35615 del 2010).

Effetti conseguenti
Alla predetta funzione consegue che il professionista che redige le planimetrie e la parte committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele possono rispondere del delitto previsto dall’articolo 481 cod. pen. (Cass. n. 30401 del 2009).
Quel che conta è l’esatta rappresentazione e descrizione grafica degli ambiti su cui insiste l’intervento.
In proposito è stato però puntualizzato che  “anche un giudizio o una previsione possono essere ideologicamente falsi, al pari di un enunciato in fatto, quando i parametri di valutazione cui si riferiscono costituiscono ‘misure’ obiettivamente verificabili, normativamente determinate o tecnicamente accertabili, e quando tali giudizi – che si definiscono perciò tecnici o in termini classici di misura per distinguerli da quelli considerati di valore in senso stretto in quanto sviluppati su parametri che non sono né universali né esatti – provengano da soggetti cui la legge riconosce una determinata competenza e perizia e ai quali per tale ragione ne riserva la formulazione. In tali casi, fondandosi il giudizio o la previsione sulla postulazione di criteri predeterminati, esso si risolve in una rappresentazione della realtà analoga alla descrizione o alla constatazione ed è nello stesso modo suscettibile di essere considerato un falsa certificazione quando perviene a risultati artefatti perché basati su dati predeterminati, o predeterminabili, falsati. ” (Cass. n. 39699 del 2018 cit.).
Invece, le valutazioni che compie il professionista di per sé non sono assistite da alcuna presunzione di veridicità, essendo sempre riservata al dirigente o al responsabile dell’ufficio comunale, nel contesto dell’attività di vigilanza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 27, ogni valutazione sulla conformità dell’opera progettata alle norme di legge e di regolamento e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, ivi compresa la qualificazione stessa dell’intervento ed il suo regime edilizio (Cass. n. 6873 del 2017).
L’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato di falso è il dolo generico, il quale non può essere considerato in re ipsa, in quanto deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo. Per questa ragione sarebbe erroneo un processo valutativo che, ai fini di ritenere provato l’elemento soggettivo del reato di falso in certificazioni, faccia leva sulla difformità tra realtà effettiva e realtà attestata, rimanendo in tal modo del tutto inesplorato, salvo a far coincidere inammissibilmente l’elemento oggettivo del reato con quello soggettivo, il tema dell’atteggiamento psicologico necessariamente doloso dell’autore del fatto (Cass. n. 5509 del 2020).
Qualora il pubblico ufficiale adotti un provvedimento a contenuto descrittivo o dispositivo dando atto in premessa, dell’esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, nella convinzione soggettiva di operare rettamente, non dovrebbe incorrere in responsabilità.
Il provvedimento del pubblico ufficiale si presenta ideologicamente falso, in quanto adottato sulla base di un presupposto inesistente; tuttavia del falso non risponde il pubblico ufficiale, tratto in inganno, ma il soggetto che lo ha indotto in errore, non essendo configurabile, per difetto dei presupposti, il diverso reato di cui all’art. 483 cod. pen. e ciò non solamente perché non si è in presenza di un atto pubblico, non rivestendo tale qualifica la concessione edilizia, nel quale sono confluite le false dichiarazioni del privato su fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, ma per la considerazione che il fatto materiale è commesso dal pubblico ufficiale, ma di questo egli non risponde in virtù del disposto di cui all’art. 48 cod.pen., secondo cui del fatto materiale illecito altrui risponde colui che ha indotto in errore (Cass. Sez. III n. 10917 del 1 aprile 2020).
La S. C., con Sent. n. 15228 del 2017, ha confermato che commettono il delitto di falsità ideologica in certificati (previsto dall’art. 481 cod. pen.), e non quello più grave di falsità ideologica in atto pubblico (previsto dall’art. 483 cod. pen.), il professionista che redige planimetrie finalizzate alla domanda per il rilascio del permesso di costruire non corrispondenti alla realtà, ed il committente che le allega alla domanda stessa, giacché dette planimetrie non sono destinate a provare la verità di quanto rappresentatovi, ma svolgono la funzione di dare alla P.A. – la quale resta pur sempre titolare del potere di procedere ad accertamenti autonomi – un’esatta informazione sullo stato dei luoghi.
Occorre ancora precisare che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 20, co. 13, punisce con pena più severa di quella prevista dall’articolo 481 c.p., la condotta di “chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni di cui al comma 1, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al medesimo comma e’ punito con la reclusione da uno a tre anni”. In questo caso, oggetto materiale della falsità non e’ il progetto allegato alla domanda di permesso di costruire, bensì la specifica dichiarazione del progettista abilitato “che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività’ edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie, alle norme relative all’efficienza energetica”. E’ evidente il diverso ambito applicativo delle due fattispecie poiché’ alla prima (articolo 481 c.p.) è estraneo l’ambito valutativo; la seconda fattispecie, invece, incrimina una specifica falsa attestazione che presuppone necessariamente un giudizio di conformità (Cass. n. 6873 del 2017, cit.).

Annullamento dell’atto
Il provvedimento amministrativo adottato sulla scorta di una falsa rappresentazione della realtà può essere annullato d’ufficio.
Infatti, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente, tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, e la circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento d’annullamento (Cons. Stato n. 8410 del 2019; Cons. di Stato n. 230 del 2021).
La non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare alcuna posizione di affidamento legittimo. In questi casi, l’interesse pubblico all’eliminazione del provvedimento rilasciato sulla base dell’errato presupposto è in re ipsa, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.
Inoltre, l’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, secondo il quale “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo …, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici [..]” , andrà interpretato nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi è consentito:
a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerenti i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l’(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte: nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco (Cons. Stato n. 3940 del 2018).