Amministratori di società e sanzione amministrativa

Nel sistema della legge n. 689 del 1981 è sempre la persona fisica che può essere soggetto attivo dell’illecito amministrativo e responsabile diretto della sanzione. L’obbligazione solidale della persona giuridica come della società o dell’ente privo di personalità giuridica prevista dall’art. 6 della I. n. 689 del 1981 è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale.

Sommario:
– Personalità della sanzione;
– Società ed enti collettivi;
Autonomia obbligazioni;
Organi collegiali;
– Condotta commissiva e omissiva;
– Onere della prova;
– Prova a mezzo presunzioni

Personalità della sanzione
Le disposizioni generali in materia di sanzione amministrativa sono contenute nella legge 24.11.1981 n. 689 che, in particolare, all’art. 3 stabilisce il principio della natura personale della responsabilità, prevedendo che ciascuno è responsabile della propria azione o omissione cosciente e volontaria.
Spiega la S.C. che la responsabilità da illecito amministrativo è improntata ai principi di personalità e causalità psichica dell’evento (Cass. n. 10668 del 1996) e, con sentenza Cass. n. 11954 del 2003, ha chiarito:“ a) come il sistema della legge n. 689/81 preservi esso stesso il principio della natura personale della responsabilità, affermatosi nel sistema del codice penale, disciplinando rigorosamente e minuziosamente i profili della “imputabilità” (art. 2), dell’elemento soggettivo della violazione (art. 3), dell’esclusione della responsabilità (art. 4), del concorso di persone (art. 5); b) nonché come lo stesso profilo di deroga apportato attraverso la previsione dell’istituto di derivazione più propriamente civilistico della “solidarietà” (art. 6) resti rigorosamente circoscritto, e naturalmente non tolleri interpretazioni che si discostino dal rispetto del principio della “riserva di legge” (art. 1) che rappresenta esso stesso il cardine del sistema di cui alla legge n. 689/81.”
Quindi responsabile di una violazione amministrativa è solamente la persona fisica a cui è riferibile la condotta materiale o l’omissione che ha dato luogo alla violazione in contestazione.
Si deve, in ogni caso, tener presente, come ricorda la sentenza della Cassazione, Sez. L., n. 12459 del 1998, con riferimento ad un caso in cui si verte su una società in accomandita semplice, che pur essendo a norma dell’art. 3 legge 24 novembre 1981 n. 689 responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, vi è comunque la responsabilità solidale della società (art. 3 e 6 legge n. 689 del 1981).

Società ed enti collettivi
Dato che nel sistema della legge n. 689 del 1981 è sempre la persona fisica che può essere soggetto attivo dell’illecito amministrativo, la persona giuridica come la società o l’ente privo di personalità giuridica non possono essere chiamati a rispondere direttamente come autori di una violazione amministrativa (Cass. n. 3879 del 2012). Il diretto destinatario del provvedimento che irroga la sanzione pecuniaria e ne intima il pagamento può essere soltanto la persona fisica e la circostanza che tale persona fisica abbia agito come organo o rappresentante di una persona giuridica spiega rilievo solo al diverso fine della responsabilità solidale di quest’ultima, ai sensi dell’art. 6 della legge citata.
La distinta responsabilità solidale della persona giuridica per essere fatta valere richiede, a norma dell’art. 14 della legge n. 689/1981, un’autonoma contestazione, operata non nella qualità di autore dell’illecito, bensì di corresponsabile del pagamento della sanzione. Ove il trasgressore persona fisica coincida col rappresentante a norma di legge o di statuto, la contestazione della violazione può anche essere effettuata a costui con riguardo ad ambedue le qualità, senza che occorra la consegna di un doppio esemplare del verbale di accertamento, ma rimanendo indispensabile che il destinatario della contestazione venga considerato nella duplice sua qualità di trasgressore e di responsabile solidale (Cass. n. 17701 del 2016).
Tali principi derivano dal fatto che per l’assoggettamento diretto a sanzione amministrativa sono richieste la capacità di intendere e di volere (art. 2) e l’elemento soggettivo della colpa o del dolo, con la conseguente rilevanza dell’errore (art. 3), dall’inammissibilità agli eredi dell’obbligazione sanzionatoria (art. 7), dalla considerazione che tra i criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative sono previsti elementi riferibili alla persona fisica (art. 11: la “personalità” dell’autore della violazione e le “sue condizioni economiche”) (Cass. n. 9880 del 2006).
La responsabilità solidale dell’entità astratta, società o enti in genere, per gli illeciti commessi dai loro legali rappresentanti o dipendenti risponde anche alla finalità di sollecitare la vigilanza delle persone e degli enti chiamati a rispondere del fatto altrui. Il criterio d’imputazione di tale responsabilità è individuato dalla l. n. 689 cit. all’art. 6, il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto ed il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente ( Cass. n. 12264 del 2007).

Autonomia obbligazioni
La solidarietà prevista dall’art. 6 della I. n. 689 del 1981 non si limita ad assolvere una funzione di garanzia, ma persegue anche uno scopo pubblicistico di deterrenza generale nei confronti di quanti, persone fisiche o enti, abbiano interagito con il trasgressore rendendo possibile la violazione, sicché l’obbligazione del corresponsabile solidale è autonoma rispetto a quella dell’obbligato in via principale e, pertanto, non viene meno nell’ipotesi in cui quest’ultima, ai sensi dell’art. 14, ultimo comma, della detta I. n. 689 del 1981, si estingua per mancata tempestiva notificazione, con l’ulteriore conseguenza che l’obbligato solidale che abbia pagato la sanzione conserva l’azione di regresso per l’intero verso l’autore della violazione, il quale non può eccepire, all’interno di tale ultimo rapporto, che è invece di sola rilevanza privatistica, l’estinzione del suo obbligo verso l’Amministrazione» (Cass. sez. un. n. 22082 del 2017). Ne deriva un’interpretazione dell’art. 14, ultimo comma, della legge n. 689/81 del tutto coerente alla sua lettera, che limita l’effetto estintivo alla sola obbligazione del soggetto nei cui confronti sia stata omessa la notificazione tempestiva (Cass. n. 11774 del 2019). L’assoggettamento a sanzione dell’obbligato solidale persona giuridica, ente o imprenditore non presuppone neppure la necessaria identificazione dell’autore della violazione alla quale la sanzione stessa si riferisce (Cass. n. 17701 del 2016).

Organi collegiali
Per gli organi sociali, è stato precisato che, essendo responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne tutti i soci amministratori, “essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale”(Cass. Ordin. 28/11/2018 n° 30766 per una società persone ). Ne deriva che il soggetto attivo dell’illecito, cui è riferibile l’azione o l’omissione che ha determinato la violazione, deve essere identificato anche in presenza di infrazioni avvenute nell’ambito di organi sociali formati da una pluralità di persone. Poiché per la violazione di legge è richiesto un comportamento positivo, la responsabilità della condotta illecita ricade solo su chi materialmente l’ha messa in essere, salvo l’eventuale concorso morale o materiale di altre persone fisiche, e in particolare di altri amministratori, da provarsi da parte dell’autorità irrogatrice della sanzione. Solo qualora, invece, sia in questione un comportamento omissivo, può rilevare il dovere di provvedere incombente personalmente su ciascuno dei soci aventi il potere di amministrare la società (salva l’eventuale prova dell’esistenza di un amministratore preposto in via esclusiva alla gestione dell’adempimento) (Cass., Sez. L., n. 12459 del 1998, cit., relativa ad una S.a.s. in cui i poteri di gestione erano attribuiti ad entrambi i soci accomandatari).

Condotta commissiva e omissiva
Al fine di individuare l’autore dell’illecito, occorre distinguere se la violazione è dovuta ad una condotta illecita di natura commissiva, che indica la presenza di un comportamento attivo idoneo ad offendere l’interesse protetto da una norma, o omissiva, vale a dire un comportamento passivo che consiste nel non compiere l’azione che un soggetto ha il dovere di compiere.
Se è richiesto un comportamento attivo, la responsabilità incide sul soggetto che materialmente lo ha posto in essere, salvo l’eventuale concorso di altre figure, nel qual caso ciascuna di esse dovrà soggiacere alla sanzione, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge (art. 5).
Contemplando il concorso di persone, l’art. 5 della legge n. 689 del 1981 “ recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo così applicabile la pena pecuniaria non soltanto all’autore, o ai coautori, dell’infrazione, ma anche a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, anche se esclusivamente sul piano psichico” (Cass. n. 143 del 2016). Di conseguenza la pena pecuniaria è applicabile a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti, atomisticamente considerati, possono non essere illeciti e sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, cioè la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito .
Nell’ambito delle condotte omissive, anche la c. d. colpa in vigilando per il fatto illecito altrui è fonte di responsabilità, rispondendo secondo la S.C. ai principi di personalità e di causalità psichica dell’evento (formale o materiale) dal momento che nel caso di amministrazione congiunta (pur se di fatto disgiunta) delle società, l’amministratore che deliberatamente si astiene dall’esercizio dei doveri inerenti alla carica (fra i quali rientra anche quello di vigilare sulla correttezza dell’amministrazione non direttamente esercitata) concorre, oggettivamente e soggettivamente, con la propria omissione alla causazione dell’illecito materialmente commesso dal coamministratore e con questi, quindi, ne risponde “per fatto proprio, ancorché a titolo di colpa, supposto che questa sia, nella materia necessaria e non sia, invece, sufficiente, la coscienza e la volontarietà della condotta, omissiva o commissiva” (Cass. 10668 del 1996 cit.).
Con la sentenza n. 11751 del 2004, la S.C. ha poi chiarito che ”l’obbligo solidale per il pagamento della sanzione amministrativa a carico del singolo componente del consiglio di amministrazione, che non ha adempiuto il dovere di vigilanza, deriva non tanto (rectius: non esclusivamente) dalla norma contenuta nel suddetto secondo comma dell’art. 2392 c.c., quanto dal combinato disposto di tale norma e dell’art. 6, secondo comma, della legge n. 689 del 1981”.

Onere della prova
In sede di opposizione, il giudizio è regolato dal principio della domanda o della disponibilità della tutela giurisdizionale, che attua sul piano processuale la regola della disponibilità dei diritti soggettivi. Pertanto, la cognizione giudiziale è circoscritta ai profili dedotti dall’opponente onerato della allegazione dei fatti che fondano l’opposizione, mentre limiti non meno pregnanti trovano le allegazioni dell’amministrazione, la quale non può dedurre fatti diversi da quelli posti a fondamento del provvedimento. Ne’ il sanzionato può modificare la domanda, ne’ l’autorità può introdurre fatti diversi rispetto a quelli che hanno fondato la sanzione.
L’onere che grava su ciascuna parte si connota, non diversamente che nel giudizio ordinario, regolato dal rito del lavoro (art. 6 d. lgs. n. 150 del 2011), con un “duplice aspetto: l’applicabilità dell’art.2697 c.c. in ordine alla parte gravata della demonstratio di quanto affermato, l’utilizzabilità dell’art. 115 c.p.c. sull’ingresso dei mezzi di prova in giudizio, rimessi alla disponibilità delle parti”(Cass. Sez. U. n. 20930 del 2009).
L’oggetto del giudizio consiste non solo nell’accertamento della legittimità dell’atto amministrativo impugnato, ma anche della stessa pretesa sanzionatoria esercitata attraverso l’emissione del provvedimento e quindi ne verifica la legittimità formale e sostanziale.
All’Amministrazione, che viene a rivestire – dal punto di vista sostanziale – la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione (Cass. Ord. 1921 del 2019).
A mente dell’art. 6, comma 11, del d. lgs. n. 150 del 2011, il giudice è tenuto ad accogliere l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente.

Prova a mezzo presunzioni
Sulla generale premessa per cui la responsabilità va provata dall’amministrazione, la S.C. ha affermato la legittimità del ricorso con ampiezza a presunzioni idonee in ordine alla prova, da parte dell’amministrazione, dell’elemento oggettivo della condotta.
Ritiene, infatti, che, sebbene la prova della condotta illecita debba esser fornita dall’autorità, essa, peraltro, possa sempre essere desunta anche da semplici presunzioni (Cass. n. 17615 del 2007, che ammette il ricorso a presunzioni, ogni volta che “i fatti sui quali esse si fondano siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come la conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità”).
In particolare, in ordine alla “condotta omissiva – e dunque in presenza di una norma di comando che imponga un facere – due sono i dominanti orientamenti nella giurisprudenza di legittimità, in relazione sinergica tra loro: a) la condotta omissiva del responsabile è dimostrabile, da parte dell’autorità, mediante presunzioni; b) l’onere di provare la condotta attiva dovuta grava sul responsabile, il quale può, altresì, provare la sussistenza di elementi tali da rendere inesigibile il comportamento attivo (Cass. 22 agosto 2006, n. 18235; Cass. 24 giugno 2004, n. 11751 cit., in tema di obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione di una società di capitali) (Cass. Sez. U. n. 20930 del 2009 cit.).
La prova della condotta positiva di adempimento di un obbligo attivo spetta, a fronte della contestata omissione, al soggetto tenuto ad attivarsi, anche secondo il principio della vicinanza della prova, nel senso che l’onere grava, in ogni caso, sul soggetto tenuto ad un comportamento positivo nella cui sfera si è prodotto l’illecito, e che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la contestazione in atto, fornendo la prova dell’avvenuto adempimento, per cui l’onere della prova va posto a carico del soggetto nella cui “sfera di controllo” si è prodotta la violazione.
Diverso il caso di inadempimento di obbligazioni negative, perché laddove venga dedotta la violazione di una obbligazione di non fare, la prova dell’inadempimento è sempre a carico dell’amministrazione ( Cass. Sez Un. 20930 del 2009 ).
La responsabilità gravante sugli autori materiali richiede sempre almeno la colpa.
Per quanto riguarda la prova, una volta integrata e provata la fattispecie tipica dell’illecito, il trasgressore viene gravato dell’onere di dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza. La S.C. ha, difatti, affermato che spetta a colui che ha trasgredito la norma dimostrare di aver agito senza colpa o dolo con riguardo all’illecito amministrativo in generale, poiché alla luce del disposto della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, “per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva e omissiva, sia essa dolosa e colposa, ed il principio deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, nel senso che dalla norma si desume altresì una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, incombendo a questi l’onere di provare di avere agito senza colpa” ( Cass. Sez Un. 20930 del 2009).
In definitiva, sussiste una presunzione di responsabilità sotto il profilo della colpa in capo a colui cui viene attribuito il comportamento vietato una volta accertata in fatto la fattispecie contestata ( Cass. Ord. Sez. L. n. 28287 del 2019).