Il procedimento di impugnazione per nullità del lodo arbitrale rituale costituisce un giudizio a critica vincolata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente stabiliti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, co. 3, c.p.c.
Nei confronti del lodo arbitrale rituale è possibile proporre impugnazione esclusivamente per motivi di nullità, per revocazione e per opposizione di terzo (art. 827 c.p.c.).
Rispetto ai mezzi d’impugnazione che si possono utilizzare nei confronti di una sentenza (art. 323 c.p.c.) non sono esperibili: l’appello, il ricorso per cassazione e il regolamento di competenza (Cass. n. 23473 del 2017).
Solo a fronte di una decisione del tribunale declinatoria della propria competenza a favore degli arbitri rituali, poiché l’attività di questi ultimi ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, la relativa questione può essere fatta valere con regolamento di competenza (Cass. n. 6666 del 2018).
In sostanza, il giudizio di impugnazione di lodo arbitrale è strutturato come giudizio di unico grado davanti alla corte d’appello, salvo il successivo ricorso per cassazione, e non come giudizio di appello (Cass. n. 9394 del 2011).
Tutti i mezzi di impugnazione riguardanti il lodo arbitrale vanno azionati avanti la corte d’appello nel cui distretto l’arbitrato ha sede (art. 828 c.p.c. e art. 831 c.p.c.). Anche nell’ipotesi del lodo arbitrale alternativo alla pronuncia del giudice amministrativo di primo grado, l’impugnazione di lodi arbitrali rituali deve essere sempre proposta dinanzi alla corte d’appello nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato, ai sensi dell’art. 828 c.p.c., costituendo essa l’unica disposizione diretta alla determinazione del giudice cui spetta giudicare su detta impugnazione e deve escludersi che la giurisdizione possa spettare al Consiglio di Stato, inteso quale giudice non solo dell’appello rispetto alla pronuncia del giudice amministrativo di primo grado. Con la conseguenza che il giudice ordinario, giudice naturale dell’impugnazione del lodo, qualora accolga l’impugnazione, ha anche il potere-dovere, salvo contraria volontà di tutte le parti, di decidere nel merito, ai sensi dell’art. 830, secondo comma, c.p.c., a nulla rilevando che la controversia sarebbe stata affidata, ove non fosse stata deferita in arbitri, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. n. 16887/2013).
L’impugnazione per nullità si propone con citazione che deve contenere a pena di inammissibilità l’indicazione dei motivi di nullità del lodo che, seppur non specificamente elencati, debbono comunque essere esattamente individuabili dal contenuto complessivo dell’atto.
Difatti, al giudice dell’impugnazione non è consentito prendere in considerazione d’ufficio motivi di nullità non dedotti dalle parti, essendo l’impugnazione a critica vincolata e in cui trova applicazione la regola della specificità della formulazione dei motivi e della loro formalizzazione con l’atto introduttivo della impugnazione, di modo che non sono ammissibili, e non è consentito al giudice prendere in esame, motivi diversi ed aggiunti rispetto a quelli contenuti nel medesimo atto introduttivo (Cass. n. 12165 del 2000).
Il termine è di novanta giorni dalla notificazione del lodo o in mancanza, di un anno dall’ultima sottoscrizione (art. 828 c.p.c.), trattandosi di termini perentori, l’inosservanza produce l’inammissibilità dell’impugnazione rilevabile d’ufficio.
La notificazione dell’impugnazione può essere effettuata nei confronti del difensore costituito nel giudizio arbitrale solo in caso di espressa elezione di domicilio contenuta nella clausola compromissoria o nel compromesso (Cass. Sez. 1, Sent. n. 18196 del 2004).
L’art. 829, cod. proc. civ., nel testo riformato dal d.lgs. n. 40 del 2006, individua, al comma 1, le specifiche ipotesi in cui può ipotizzarsi la nullità del lodo, e prevede, inoltre, al comma 3, che «l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. E’ ammessa in ogni caso l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico».
Il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale, dunque, costituisce un giudizio a critica vincolata, proponibile soltanto per determinati errores in procedendo specificamente previsti, nonché per inosservanza, da parte degli arbitri, delle regole di diritto nei limiti indicati dall’art. 829, comma 3, cod. proc. civ.. La valutazione dei fatti dedotti e delle prove acquisite nel corso del procedimento arbitrale non può essere contestata , in quanto tale valutazione è negozialmente rimessa alla competenza istituzionale degli arbitri (Corte di Cass. Sent. n. 13968 del 2011). Di conseguenza è da considerare inammissibile un’impugnazione ove sia esposto direttamente ed immediatamente il merito della controversia, come nel caso di un appello vero e proprio, di merito e a motivi liberi. Non è nemmeno consentito al giudice dell’impugnazione sindacare la logicità della motivazione dell’interpretazione data dagli arbitri al contratto, ove tale motivazione sia esistente e non totalmente inadeguata da non permettere la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere ad una determinata conclusione (Cass. Sent. n. 2717/2007).
La regola della specificità della formulazione dei motivi trova applicazione in ragione della natura rescindente di tale giudizio e del fatto che solo il rispetto di detta regola può consentire al giudice, ed alla parte convenuta, di verificare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente ai casi di impugnabilità stabiliti dalla menzionata norma (Cass. Ordin. n. 19807 del 2018).
Inoltre, pur non essendo indispensabile che l’impugnazione contenga la specifica indicazione delle disposizioni di legge in tesi violate, è necessario che dall’atto di impugnazione risulti quale sia stata la norma disattesa dagli arbitri ovvero il principio di diritto leso, posto che tali oneri competono a colui che impugna il lodo (Cass. Sent. n. 3383 del 2004).
L’impugnazione per violazione delle regole di diritto con i limiti di cui all’art. 829, comma 3, c.p.c., come riformulato dall’art. 24 del d.lgs. n. 40 del 2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella. Soltanto in caso in caso di convenzione stipulata anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, invero, nel silenzio delle parti deve ritenersi in ogni caso ammissibile l’impugnazione del lodo per motivi di diritto, in quanto la legge – cui l’art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia – va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato. L’art 829, comma 2, c.p.c., nel testo previgente, così disponeva, fatta salva l’ipotesi che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile (Cass. Sez. U., 09/05/2016, nn. 9284 e 9285; Cass., 13/07/2017, n. 17339) (Cass. Ordin. n. 13443 del 2018).
Il giudizio si articola in due fasi: la prima, rescindente, finalizzata all’accertamento di eventuali nullità del lodo e che può concludersi con l’annullamento del medesimo; in questa fase, non è consentito alla Corte d’Appello di procedere ad accertamenti di fatto, dovendo limitarsi all’accertamento delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri.
La seconda, rescissoria, solo eventuale, che fa seguito all’eventuale annullamento ed in cui il giudice ordinario procede alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte (Cass. Ord. n. 9387 del 2018).
E’ in sede rescindente che il giudizio è diretto all’accertamento di una delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri tassativamente elencate dall’art. 829 c.p.c. e pronunciabili esclusivamente per determinati errori in procedendo nonché per inosservanza delle regole di diritto ma nei limiti previsti dal comma 3. Solo superato questo stadio, potrà aversi luogo alla fase rescissoria con facoltà per il giudice dell’impugnazione di riesame del merito delle domande e comunque nei limiti del petitum e delle causae petendi dedotte dinanzi agli arbitri. Con la conseguenza che la sua natura ed i suoi limiti non consentono non solo domande nuove rispetto a quelle proposte agli arbitri e contenute nei quesiti, ma neppure censure diverse da quelle specificamente individuate e tipiche consentite dall’art. 829; e che il giudizio circa la loro ammissibilità devoluto al giudice dell’impugnazione deve necessariamente concretarsi nell’apprezzare se le contestazioni formulate corrispondano esattamente o meno ai casi di impugnabilità stabiliti dall’art. 829 cit. ( Cass. sent. n. 20880/2010; Cass. sent. n. 12199/2012).
La novella di cui al D. Lgs. 40/06 ha poi ridotto le ipotesi in cui alla pronuncia rescindente debba conseguire la fase rescissoria, direttamente ad opera del giudice adito con l’impugnazione di nullità. Infatti l’attuale testo dell’art. 830, comma 2, c.p.c., stabilisce che nei casi di accoglimento della domanda per i motivi previsti dall’art. 829, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, la Corte non debba dar luogo alla ulteriore fase rescindente.