La donazione e la sua revoca.

La definizione normativa, la necessità del rispetto di precise forme di legge per la sua validità, il modico valore, la donazione indiretta e rimuneratoria e i casi in cui può essere revocata

Sommario:
  • Definizione;
  • Forma;
  • Modico valore;
  • Donazione indiretta;
  • Donazione rimuneratoria;
  • Revoca
La donazione

La donazione è definita dall’articolo 769 c.c. che la indica come il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.
L’art. 769 c.c non richiede che l’atto sia semplicemente a titolo gratuito.
E’ necessario, infatti, che vi sia “l’animus donandi” (elemento soggettivo), costituito dalla volontà di arricchire una persona con il conseguente proprio impoverimento e l’arricchimento del donatario che beneficia di un vantaggio di natura economica (elemento oggettivo).

La forma della donazione

La donazione richiede una precisa forma stabilita dall’art. 782 c.c. La stessa deve essere fatta per atto pubblico e in presenza di due testimoni (art. 48 L. 16.02.1913, n. 89), sotto pena di nullità. Tale norma si applica solo alle donazioni dirette. Se ha per oggetto cose mobili essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell’atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. La donazione deve essere accettata dal donatario. L’accettazione può essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione. Il diritto di accettare è oggetto di prescrizione ed in difetto di specifica disposizione di legge a riguardo deve applicarsi il criterio generale posto dall’art. 2946 c.c. dell’ordinaria prescrizione decennale dei diritti (Cass. 15.11.2001 n. 14327).

La donazione di modico valore

La donazione però non sempre necessità di queste rigorose forme.
E’ il caso della donazione di modico valore prevista dall’articolo 783 c.c. che ha per oggetto beni mobili, ed è valida anche se manca l’atto notarile, purché vi sia stata la “tradizione”, ossia la consegna effettiva e manuale che può verificarsi anche in modo simbolico (Cass. 24.01.1979 n. 529).
La donazione di modico valore (art. 783 c.c.) per la quale non si richiede la forma scritta ad substantiam va accertata alla stregua di due criteri. Quello oggettivo, correlato al valore del bene che ne è oggetto, e quello soggettivo per il quale si tiene conto delle condizioni economiche del donante. Ne consegue che l’atto di liberalità, per essere considerato di modico valore, non deve mai incidere in modo apprezzabile sul patrimonio del donante (Cass. n. 11304/1994).

La donazione indiretta

La donazione può, poi, consistere nell’elargizione di una liberalità attuata non attraverso il mezzo appositamente previsto dall’ordinamento giuridico, ma tramite strumenti negoziali aventi uno scopo tipico diverso da quello della liberalità. In tal caso si pone in essere una donazione una indiretta. Con questi atti si raggiunge il risultato di arricchire una persona senza stipulare un vero e proprio atto di donazione. Costituiscono donazione indiretta per esempio i pagamenti di obbligazioni altrui eseguiti con animus donandi.
Più in generale si devono considerare donazioni indirette il contratto a favore di terzo, l’accollo del debito altrui e la vendita ad un prezzo che si possa definire irrisorio rispetto all’effettivo valore del bene.
Non si è tenuti al rispetto della forma del contratto di donazione ossia la stipula per atto pubblico alla presenza dei testimoni. In ogni caso tali atti hanno rilievo dal punto di vista sostanziale e si devono applicare le norme previste per la donazione. In particolare quelle sulla revocazione per ingratitudine o sopravvenienza di figli e sulla riduzione per lesione della legittima.
Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l’acquisto di un immobile in capo ad uno dei figli si deve distinguere l’ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto (Cass. n.18541/2014).
Secondo la S. C., il trasferimento per spirito di liberalità di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario realizzato a mezzo banca, attraverso l’esecuzione di un ordine di bancogiro impartito dal disponente, non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta. Ne deriva che la stabilità dell’attribuzione patrimoniale presuppone la stipulazione dell’atto pubblico di donazione tra beneficiante e beneficiario, salvo che ricorra l’ipotesi della donazione di modico valore (Corte di Cass. Sez. U, n. 18725 del 2017).

La donazione rimuneratoria

La donazione è rimuneratoria, quando pur in presenza di un atto di liberalità, che costituisce l’elemento soggettivo della fattispecie, questa viene fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario e per speciale rimunerazione così come prevede l’art. 770 c.c..
Per donazione rimuneratoria si intende l’attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale e sociale (Cass. 24.10.2002 n. 14981).
Ricorre, ai sensi dell’articolo 770, comma 1, c.c., qualora l’attribuzione patrimoniale rappresenti un segno tangibile di speciale apprezzamento di servizi in precedenza ricevuti o promessi, senza, però, rappresentarne il corrispettivo, poiché in questo caso verrebbe meno la spontaneità dell’elargizione (Corte di Cass. n. 2106 del 2018).
La stessa è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo della attribuzione patrimoniale correlata specificamente ad un precedente comportamento del donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o, comunque, una speciale remunerazione di un attività svolta, sebbene l’attribuzione non cessi di essere spontanea e l’atto conservi la causa di liberalità.
La sua validità è condizionata dal rispetto della forma di legge previste dalla donazione.
Non costituisce donazione e non deve rispettare le forma di cui all’art. 783 c.c., invece, la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque o in conformità agli usi.
Si ravvisa questa ipotesi, prevista dal secondo comma dell’art. 770 c.c. quando è l’intento di compensare taluno per i servizi resi e di rispettare l’uso che consiglia di effettuare una liberalità in determinate occasioni (variabili da luogo a luogo e di tempo in tempo) e che fa sì che l’attribuzione, pur in assenza di un obbligo (anche se non coercibile perché non giuridico), non sia del tutto libera e spontanea e che la sua causa non sia quella di arricchire il donatore, bensì quella di agire secondo il costume vigente (Cass. n. 1218/1975).
Non si configura una liberalità d’uso, né una donazione indiretta in caso di cointestazione di un libretto bancario su cui erano state in precedenza depositate somme di denaro appartenenti ad uno solo dei cointestatari, allorquando difetti la prova che, all’atto della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità (nella specie, è stata confermata la pronuncia di merito secondo cui la cointestataria non proprietaria del denaro originariamente versato non aveva fornito la dimostrazione di un atto volontario e spontaneo di disposizione patrimoniale in suo favore da parte di chi aveva aperto il libretto, in considerazione dell’assistenza morale e materiale ricevuta) (Cass. n. 26983/2008).
Pertanto, nel caso di cointestazione di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, il ricorrere di una donazione indiretta è legato all’apprezzamento dell’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che, al momento della cointestazione, il proprietario del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità ( Cass. Ordinanza n. 4682 del 2018).

La revoca della donazione

Di norma la revocazione della donazione non è ammessa, ma l’art. 800 c.c. prevede che la donazione possa essere revocata in due casi per ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
La domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell’articolo 463 c.c.. Ossia nel caso di chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale, o di chi ha compiuto altri atti previsti da tale articolo del codice civile la cui gravità è immediatamente percepibile.
Tale domanda può essere avanzata anche nei confronti di chi si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435 e 436, che vertono principalmente in ordine agli obblighi alimentari.
L’ingiuria grave che, ai sensi dell’art. 801 c.c., legittima la revoca della donazione per ingratitudine del donatario, consiste in un qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo rilevante il patrimonio morale del donante, e palesi per ciò solo un sentimento di avversione da parte del donatario (Cass. n. 14093/2008).
Pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l’individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia, dalle previsioni degli artt. 594 e 595 c.p., consiste in un comportamento del donatario che manifesti un sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la comune coscienza, dovrebbe invece improntarne l’atteggiamento e costituisce formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali “che trovino riconoscimento nel succedersi della legislazione” (Corte di Cass. Ordin. n. 20722 del 2018).
La domanda di revocazione per causa d’ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l’anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione (Art. 802 cod. civ.).
Per il decorso del termine non è sufficiente una vaga e sommaria conoscenza del fatto ingiurioso (Corte di Cass. n. 1090 del 18/1/2007).
La revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo dell’ingiuria grave richiede un’azione consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante, risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo comportare dolorose reazioni nell’animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo, non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore (Cass. n. 10614/1990).
La donazione, anche indiretta, tra i coniugi non si sottrae alla revocazione per ingratitudine ex art. 801 c.c. (Cass. n. 2003/1987).
Nel caso di separazione, l’ingratitudine del coniuge donatario non può consistere nel fatto di avere cessato la convivenza pur in presenza di una relazione extraconiugale . In particolare, la ragione dell’ingratitudine non si identifica con l’instaurazione della relazione extraconiugale in sé (Corte di Cass. n. 22013 del 2016).
Si è ritenuto integrato il presupposto dell’”ingiuria grave” nel caso di una donna che aveva tradito e poi abbandonato il marito. In questo caso la relazione adulterina aveva assunto il carattere dell’abbandono, essendo stato il marito lasciato in difficoltà e bisognoso di assistenza, mentre la moglie sarebbe stata economicamente in grado di soccorrerlo (Cass. n. 22936/2011).
La Cassazione con la Sentenza del 28 maggio 2008, n. 14093 ha stabilito che costituisce ingiuria grave l’atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all’insaputa del quale la ricorrente si univa con l’amante nell’abitazione coniugale.
La revocazione della donazione per sopravvenienza di figli è rimessa ad un’iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi (art. 803 cod. civ.).
L’azione deve essere proposta entro cinque anni dal giorno della nascita dell’ultimo figlio nato nel matrimonio o discendente, dalla notizia dell’esistenza del figlio o discendente, dall’avvenuto riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio (art. 804 cod. civ.).
In caso di revocazione della donazione, i beni rientrano nella disponibilità assoluta del donante, che, fatti salvi i limiti derivanti dall’operare delle regole in tema di successione necessaria, può nuovamente provvedere secondo il proprio insindacabile giudizio, senza che quindi gli stessi beni oggetto della donazione revocata siano vincolati in favore dei figli sopravvenuti.
La revocazione della donazione per sopravvenienza di figli o discendenti, risponde all’esigenza di consentire al donante di riconsiderare l’opportunità dell’attribuzione liberale a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio, ovvero della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza, in funzione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione che derivano da tale evento ed è preclusa ove il donante avesse consapevolezza, alla data dell’atto di liberalità, dell’esistenza di un figlio ovvero di un discendente legittimo (Corte di Cass. Sent. n. 169 del 2018). Mira espressamente a favorire i discendenti del donante, a condizione che non siano ancora nati o che la loro esistenza sia ignota al genitore (Corte di Cass. n. 2106 del 2018 cit.).