La collazione, inquadramento dell’istituto, diversità in ragione della natura immobiliare o mobiliare dei beni oggetto della collazione, imprescrittibilità dell’azione e aspetti procedurali.
Sommario:
– Definizione;
– Norma di riferimento;
– Differenze tra collazione di beni immobili e mobili;
– Dispensa dalla collazione;
– Imprescrittibilità dell’azione;
– Obbligatorietà mediazione.
Definizione e orientamenti dottrinali.
La collazione è un istituto giuridico che comporta un obbligo per chi riceve un’eredità di conferire al patrimonio ereditario tutti i beni che gli erano stati donati in vita dal defunto, in modo da dividerli con gli altri coeredi.
In sostanza l’obbligo di ricostituire l’asse ereditario prima della divisione, facendo conferire nel patrimonio stesso le eventuali donazioni ricevute dal defunto.
Secondo parte della dottrina la collazione comporta, all’apertura della successione, una risoluzione o revocazione legale della donazione con effetto ex nunc, e conseguentemente il bene donato rientra immediatamente (ossia senza atto di trasferimento) nella comunione dei coeredi. Nel caso in cui la collazione avvenga per imputazione, rientra in comunione non il bene donato, ma il suo valore.
Per altra dottrina, nella collazione in natura si avrebbe un trasferimento automatico ex nunc del bene alla massa ereditaria, subordinatamente alla scelta del coerede; invece nella collazione per imputazione il bene donato non è bene ereditario, e la collazione avrebbe struttura di legato ex lege a favore di coniuge e discendenti non donatari.
Altra dottrina più recente ritiene che la collazione costituisca una vera e propria obbligazione a carico dell’erede donatario nei confronti degli altri coeredi.
Norma di riferimento.
L’art. 737 c.c. stabilisce che “i figli legittimi e naturali e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati.”
Il presupposto dell’obbligo di collazione, ai sensi dell’art. 737 c.c., è che il soggetto ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal “de cuius“, direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest’ultimo. Pertanto, non rientra in questa ipotesi l’acquisto di un immobile con prezzo interamente pagato dal coniuge del de cuius in regime di comunione legale, in quanto il de cuius non ha mai acquistato il diritto reale trasferito, né ha sostenuto esborsi affinché fosse acquistato (Corte di Cass. Ordin. n. 1506 del 2018).
L’adempimento del debito altrui può essere suscettibile di collazione, se qualificato in termini di donazione indiretta (Cass. Ordin. n. 14808 del 2018).
Poiché la collazione ha la funzione di assicurare nella divisione della massa attiva del patrimonio del de cuius l’osservanza delle quote spettanti agli eredi — estendendo l’art. 737 c.c. ai figli, ai loro discendenti e al coniuge l’obbligo del conferimento di ciò che hanno ricevuto in vita dal defunto per donazione senza attribuire alcun rilievo alla loro qualità o meno di legittimari — l’istituto opera sia nella successione legittima sia in quella testamentaria. Ciò si desume anche dallo specifico riferimento, contenuto nell’originaria formulazione dell’art. 737 c.c., alla facoltà del testatore di dispensare l’erede dalla collazione (Corte di Cassazione n. 3013/2006).
La collazione di cui all’art. 737 c.c. è un istituto proprio della divisione ereditaria con il quale i soggetti che accettano l’eredità conferiscono nell’asse ereditario,in natura o per imputazione, quanto ricevuto dal defunto in donazione (Corte di Cass. Ordin. n. 9177 del 2018).
È obbligatoria per legge salvo che il donatario ne sia dispensato dal donante.
La dispensa dalla collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile (Corte di Cass. Sent. n. 13243 del 2016).
L’istituto trova il suo fondamento nella presunzione che il “de cuius“, con le donazioni fatte in vita, abbia voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione. Pertanto, al momento della morte del disponente, il bene donato dovrà essere considerato quale acconto, se non addirittura come saldo, della quota ereditaria (Corte di Cassazione n. 6576/2012).
In presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius la collazione ereditaria — in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione — è volta alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, cosi da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote.
Infatti, esse sono da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione.
Con questo strumento giuridico è garantita a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa del de cuius nei limiti in cui sia valida). I beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione (Cass. Sent. n. 8510 del 2018). In tal caso incombe sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti (Corte di Cass. n. 15131/2005).
Differenze tra collazione di beni immobili e mobili.
In merito alla collazione dei beni immobili la stessa è possibile, come previsto dall’art. 746 c.c., o col rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce.
Se l’immobile è stato alienato o ipotecato, la collazione si farà soltanto con l’imputazione.
La donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata come donazione in piena proprietà, atteso che, ai fini della riunione fittizia, il valore dei beni donati in vita dal defunto va determinato con riferimento al momento dell’apertura della successione, per effetto della quale l’usufrutto che il donante si era riservato viene a consolidarsi con la nuda proprietà (Corte di Cass. n. 14747 del 2016).
Il donante, che ha il potere di dispensare il donatario dalla collazione, non può in alcun modo vincolarne la scelta, qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione (Corte di Cassazione n. 4381/1982; Cass. civ. Sez. II, Sent., 20/03/2015, n. 5659).
Trattasi di un’obbligazione alternativa che comunicata agli altri eredi diviene irrevocabile. Il bene, nel caso in cui si opti di conferire lo stesso in natura, cessa di essere di proprietà dell’erede ed entra in comunione tra i discendenti e il coniuge.
La donazione è quindi posta nel nulla solo qualora il donante opti per il conferimento in natura, ai sensi del primo comma dell’art. 746 c.c. , poiché in tal caso il bene donato rientra nella comunione ereditaria, che quindi viene incrementata, ed il beneficiario perde la titolarità di quanto conferito, effetto che non si determina nella collazione per imputazione, in cui il bene resta in proprietà del donatario in forza della donazione ricevuta, salvo l’obbligo di versare alla massa l’equivalente pecuniario (Corte di Cass. Sent. n. 22721 del 2018).
Per la collazione dei beni mobili si applica l’art. 750 c.c.. La norma prevede che questa sia effettuata soltanto per imputazione sulla base del valore che essi avevano al tempo dell’aperta successione.
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo dell’aperta successione.
Se si tratta di cose che con l’uso si deteriorano, il loro valore al tempo della aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
E’ soggetta a collazione per imputazione, prevista dall’art. 750 c.c. per i beni mobili, la quota di società, in quanto – non conferendo ai soci un diritto reale sul patrimonio societario riferibile alla società, che è soggetto distinto dalle persone dei soci – attribuisce un diritto personale di partecipazione alla vita societaria; va compiuta, invece, secondo le modalità previste dall’art. 746 c.c. per gli immobili, la collazione della quota di azienda, che rappresenta la misura della contitolarità del diritto reale sulla “universitas rerum” dei beni di cui si compone, sicché – ove si proceda per imputazione – deve aversi riguardo al valore non dei singoli beni ma a quello assunto dall’azienda, quale complesso organizzato, al tempo dell’apertura della successione (Cassazione Sent. n. 10756 del 2019).
La determinazione del valore dei titoli di stato, degli altri titoli di credito quotati in borsa e delle derrate e delle merci il cui prezzo corrente è stabilito dalle mercuriali, si fa in base ai listini di borsa e alle mercuriali del tempo dell’aperta successione.
La collazione del danaro donato avviene attraverso un minor prelievo rispetto a quanto altrimenti spetterebbe pro quota al donatario sull’intero asse (art. 751 c. c.).
Da ciò consegue l’impossibilità di scindere i momenti della collazione e della formazione delle quote ereditarie spettanti a ciascun coerede. Perciò è necessario che la collazione si compia all’interno dell’operazione di divisione dell’asse ereditario (C. Cass. n. 18054/2004).
Dispensa dalla collazione.
La dispensa dalla collazione è il negozio giuridico con il quale il donante esonera il donatario dall’obbligo di conferire ai coeredi ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione. In questo caso, il donatario non dovrà né restituire il bene in natura né riversare nell’asse il valore in denaro.
Si deve considerare però che il secondo comma dell’art. 737 c.c. prevede che la dispensa da collazione non produca effetto se non nei limiti della quota disponibile.
La dispensa dalla collazione del bene donato in vita dal de cuius ad un proprio discendente attribuisce il bene stesso al donatario, nell’ipotesi in cui questi concorra alla successione con altri discendenti del de cuius, fino alla concorrenza della quota disponibile (Corte di Cassazione n. 913/1974).
L’art. 748 c.c. prevede che, in tutti i casi, si deve dedurre a favore del donatario il valore delle migliorie apportate al fondo nei limiti del loro valore al tempo dell’aperta successione. Devono anche computarsi a favore del donatario le spese straordinarie da lui sostenute per la conservazione della cosa, non cagionate da sua colpa.
Il donatario dal suo canto rimane obbligato per i deterioramenti che, per sua colpa, hanno diminuito il valore dell’immobile.
Il coerede che conferisce un immobile in natura può ritenerne il possesso sino all’effettivo rimborso delle somme che gli sono dovute per spese e miglioramenti.
Il coerede che ha goduto di un immobile del de cuius prima ancora di riceverlo in donazione, ha diritto, nella collazione per imputazione delle rendite relative, alla detrazione — dal valore imputabile — di quanto corrispondentemente da lui sborsato per tributi e spese di manutenzione (Corte di Cassazione n. 2453/1976).
E’ consentita la rinuncia agli effetti della collazione e, perciò, i coeredi possono procedere alla divisione tra loro dell’asse ereditario senza applicare le disposizioni che regolano l’istituto.
Deve infatti rilevarsi il carattere dispositivo delle norme che lo regolano e la correlativa mancanza di un divieto giuridico, per cui la collazione non può essere considerata espressione di un principio di ordine pubblico, come indirettamente confermato dalla espressa previsione della facoltà di dispensa dalla collazione ex art. 737 comma 2 c.c. (Corte di Cass. n. 22911 del 2017).
Imprescrittibilità dell’azione.
L’azione di collazione è imprescrittibile analogamente all’azione di divisione ereditaria.
Si deve però tener conto che presupposto necessario dell’azione di collazione è che il donatario sia pure erede. In ragione di questo, decorso il termine decennale di cui all’art. 480 c.c. non sarà possibile esercitare l’azione di divisione e di conseguenza della collazione, in quanto non vi è il presupposto necessario consistente nella qualità di erede in capo al donatario.
Questo ove non si verifichi da parte del donatario l’accettazione tacita dell’eredità.
Altro presupposto ritenuto necessario da parte della giurisprudenza per procedere alla collazione, anche se parte della dottrina discorda sul punto, è la presenza di un relictum da dividere.
Infatti, l’applicabilità dell’istituto della collazione presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere. Se l’asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con gli uni e con gli altri insieme, sì che manchi un relictum, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione (Cass. n. 15026 del 2013).
Obbligatorietà della mediazione.
Ai fini della procedibilità ed ammissibilità della domanda, prima di avviare una causa relativa ad una successione ereditaria è necessario esperire il tentativo di mediazione avanti a un organismo riconosciuto dal Ministero della Giustizia, con l’assistenza di un avvocato. Nel caso in cui non si provvedesse in questi termini e la causa venisse incardinata avanti il Giudice, entro la prima udienza il Giudice può rilevare la “non procedibilità” della causa giudiziale. Tale “non procedibilità” può essere eccepita anche dalla controparte nei termini di legge.