Aggiornato Genn. 2022
I limiti alla prova testimoniale, la ammissibilità delle richieste di prove per testi, la rilevabilità d’ufficio circa l’inammissibilità delle istanze istruttorie della controparte
Sommario:
– prova costituenda;
– limiti alla prova testimoniale;
– eccezioni ai limiti della prova testimoniale;
– ammissibilità delle richieste di prove per testi;
– indicazione specifica delle persone da interrogare;
– rilevabilità d’ufficio circa i vizi;
– ricorso per Cassazione
Prova costituenda
La testimonianza rientra nella categoria delle prove c.d. costituende perché si forma dinanzi al Giudice chiamato a decidere la controversia, nel contraddittorio delle parti. La testimonianza è una dichiarazione di scienza resa da un soggetto terzo estraneo al giudizio, che fornisce la versione dello svolgimento di un fatto del quale afferma di essere a conoscenza. Deve avere ad oggetto fatti obiettivi e non apprezzamenti o valutazioni richiedenti conoscenze tecniche o nozioni di esperienza non rientranti nel notorio, ed i giudizi espressi dal teste sono rilevanti, cioè idonei a concorrere alla formazione del convincimento del giudicante, solamente quando sono inscindibili dalla descrizione del fatto (Cass. n. 13693 del 31/07/2012).
In ordine ai limiti alla prova testimoniale
I limiti alla prova per le obbligazioni che derivano da un contratto sono previsti dagli artt. 2721 e seguenti del codice civile. L’art. 2721 c.c. afferma che la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede euro 2,58.
Tuttavia l’autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il limite anzidetto, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. L’ammissione della prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti dall’art. 2721 cod. civ. costituisce un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità ove sia correttamente motivato (Cass. Ordin. n. 190 del 2020). La Suprema Corte, per esempio, ha affermato che non integra violazione del primo comma dell’art. 2721 cod. civ. l’ammissione di prova testimoniale, sebbene il valore dell’oggetto della lite ecceda il limite previsto da tale disposizione, allorché il giudice di merito ritenga verosimile la conclusione orale del contratto, avuto riguardo – ai sensi del secondo comma del medesimo articolo – alla sua natura (nella specie, contratto di mutuo per un importo inferiore a 2.000 euro) e alla qualità delle parti (nella specie, legate da vincolo di parentela) (Cass. n. 14457 del 2013).
Nel caso di pagamenti effettuati per contanti, poiché ai sensi dell’art. 2726 cod. civ. le norme stabilite per la prova testimoniale si applicano anche al pagamento e alla remissione del debito, è ammessa la deroga al divieto della prova testimoniale in ordine al pagamento delle somme di denaro eccedenti il limite previsto dall’art. 2721 cod. civ., ma la deroga è subordinata ad una concreta valutazione delle ragioni in base alle quali, nonostante l’esigenza di prudenza e di cautela che normalmente richiedono gli impegni relativi a notevoli esborsi di denaro, la parte non abbia curato di predisporre una documentazione scritta (Cass. n. 7940 del 2020).
Va precisato che la limitazione riguardante il valore dell’oggetto opera solamente in tema di “contratto” e allorché questo sia invocato quale fonte di diritti ed obblighi e non come mero fatto storico. Qualora si tratti di obbligazioni che derivino da un fatto illecito o da altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico (art. 1173 c.c.), sussiste la libertà di prova di questi atti o fatti, qualunque sia il valore degli esisti che da essi possano aver origine (sulla prova per testi dello stato di fatto di un immobile, oggetto di contrastanti pretese: Cass. Ordin. n. 21651 del 2019).
Secondo la giurisprudenza della S,C., “in tema di prova testimoniale, i limiti di valore, sanciti dall’art. 2721 c.c., non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che qualora, in primo grado, la prova venga ammessa oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva (Cass. Ordin. n. 26348 del 2020).
L’art. 2722 c.c. stabilisce come la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea. Il divieto di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, previsto dall’art. 2722 c.c., si riferisce al documento contrattuale, formato con l’intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione e non può quindi operare riguardo atti contenenti dichiarazioni unilaterali (Cass., Sez. 2, Ordin. n. 23414 del 2019).
L’art. 2723 c.c. stabilisce che qualora si alleghi che, dopo la formazione di un documento, è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, l’autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali. Rientra nella previsione della norma di cui all’art. 2723 c.c., la quale si riferisce alle aggiunte o modificazioni apportate al documento posteriormente alla sua formazione, la pattuizione verbale modificativa della durata del contratto risultante dal documento, qualora la proroga sia convenuta verbalmente mentre il rapporto sia ancora in vita (Cass. Sent. n. 8118 del 2013).
La Cassazione, con sentenza n. 21443 del 2013, ha chiarito come “L’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 cod. civ., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto, o alla notizia di esso, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. proc. civ., l’una eccezione, quella d’inammissibilità, non dovendo essere confusa con l’altra, quella di nullità, né potendo ad essa sovrapporsi, perché la prima eccezione opera “ex ante”, per impedire un atto invalido, mentre la seconda agisce “ex post”, per evitare che i suoi effetti si consolidino”.
Eccezioni ai limiti della prova testimoniale
I. L‘art. 2724 c.c. descrive i casi in cui la prova per testimoni è ammessa in ogni modo specificando tre ipotesi:
1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto;
2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;
3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
L’art. 2725 c.c. prevede che quando secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell’articolo precedente. Il limite che l’art. 2725 c.c. pone alla prova per testimoni di un contratto che debba essere provato per iscritto non attiene agli effetti sostanziali dell’atto, ma, al pari degli altri limiti legali di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti (quali quelli fissati dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c.), è dettato nell’esclusivo interesse delle parti litiganti, le quali hanno perciò piena facoltà di rinunciare, anche tacitamente, e cioè con il loro comportamento processuale, alla sua applicazione (Cass. Sez. Un. n. 16723 del 2020).
La Suprema Corte con sentenza n. 1944 del 2014 ha stabilito che in tema di prova testimoniale, agli effetti degli artt. 2724, n. 3, e 2725 cod. civ., la perdita del documento non può ritenersi incolpevole solo perché esso è stato affidato a terzi, dovendo risultare, viceversa, in ragione dello sfavore legislativo per la testimonianza su particolari contratti, che il comportamento dell’affidante sia stato adeguato e che l’affidatario sia esente da colpa. L’eccezione ammessa deve essere interpretata con la massima attenzione e del tutto restrittivamente, proprio per non consentire un’agevole elusione della norma.
La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità. La giurisprudenza ha escluso che la prova testimoniale possa sostituire la forma scritta quando la stessa è prevista a pena di nullità, ma non vieta che attraverso la prova testimoniale si accerti la effettiva riferibilità ad un determinato soggetto di un documento esistente. E di cui lo stesso risulti l’autore ( Cass. Civ. n. 5439/2002).
Tale limitazione non è applicabile nel caso previsto dell’art. 1417 c.c. che stabilisce che la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti.
II. I limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento ma a renderne esplicito il significato: in particolare, il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, mentre il divieto non riguarda la prova diretta ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti; in effetti, nel concetto di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, in relazione ai quali opera il divieto di ammissione della prova testimoniale di cui all’art. 2722 c.c., non rientrano quelle pattuizioni il cui contenuto od oggetto non risultino in alcun modo previsti dal contratto e che non possono, perciò, ritenersi comprese nel negozio consacrato dall’atto scritto, ma che non siano in contrasto con la volontà contrattuale precisamente e compiutamente espressa, così che la prova testimoniale deve ritenersi ammissibile quando essa non miri ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale; ne consegue che, in caso di vendita di un immobile, quando il bene sia stato contrattualmente individuato, nella sua localizzazione e struttura, in modo sufficientemente certo, ma non ne sia stata precisata la consistenza e siano da escludere sia la vendita a corpo che quella a misura oppure di specie, è ammissibile la prova testimoniale volta ad accertare l’intervenuta pattuizione circa la misura del bene e la sua entità (Cass. n. 1742 del 2022 ).
In ordine alla ammissibilità delle richieste di prove per testi
I capitoli di prova sono inammissibili quando sono rivolti a far esprimere un giudizio, ovvero valutativi, generici, provati o da provare documentalmente ed anche formulati negativamente, nonché quando sono vertenti su circostanze non indicate né in Atto di citazione o in Comparsa di Cost. e Risposta, né nella Memoria ex art. 183 6° co. n.1 c.p.c..
Il capitolo deve essere teso a riferire al Giudice un fatto specifico, determinato per mezzo di dati propri (data, luogo, ecc.), da cui eventualmente lo stesso possa trarre un proprio giudizio, mai una mera valutazione personale del teste.
La deduzione della prova per testi deve essere fatta mediante l’indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti da provare (art. 244 c.p.c ), al duplice scopo di consentire, al giudice, la valutazione della concludenza della prova, ed alla controparte la preparazione di adeguata difesa (Cass. Ordin. n. 1294 del 2018; Cass. civ. n. 1938/1987). Né la possibilità del Giudice di chiedere precisazioni, pur avendo comunque un proprio rilievo, può di per sé sola essere un motivo di esonero dall’obbligo di redazione di un capitolo di prova con i requisiti di specifica indicazione del fatto. La specifica indicazione dei fatti non attiene al piano della validità della prova, ma a quello preliminare del giudizio di rilevanza: una testimonianza articolata non in fatti specifici, ma in valutazioni, è irrilevante dal punto di vista della sua efficacia probatoria; l’apprezzamento della rilevanza della prova attiene al potere del giudice di direzione del processo e ha carattere ordinatorio processuale (Cass. Ordin. n. 1294 del 2018 cit). Pertanto, non possono essere ammessi, in quanto non aventi ad oggetto fatti specifici, i capitoli di prova diretti ad ottenere dal teste un mero giudizio, privo cioè di riferimenti concreti e appigli obiettivi (Cass. n. 4111/95; Cass. n. 1173/94). In applicazione di questo principio la S.C. , con sentenza n. 13693/2012, ha affermato che la prova per testi non può mai avere ad oggetto l’affermazione o la negazione dell’esistenza del nesso di causalità tra una condotta ed un fatto illecito, ma può solo limitarsi a descrivere i fatti obiettivi, restando poi riservato al giudice stabilire se quei fatti possano essere stati la causa del danno. Inoltre, sono inammissibili i capitoli di prova quando hanno per oggetto questioni tecnico giuridico contabili poiché la prova testimoniale deve avere ad oggetto fatti obiettivi e non può tradursi in una interpretazione del tutto soggettiva o indiretta ed in apprezzamenti tecnici o giuridici (Cass. n. 4370/1996 ).
L’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro minuti dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte di formulare un’adeguata prova contraria, potendo la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli formulati essere condotta non solo alla stregua della loro letterale formulazione ma anche in relazione agli altri atti di causa; perciò l’apprezzamento circa la specificità dei capitoli deve essere valutato dal giudice del merito con motivazione adeguata non solo alla stregua della formulazione letterale dei capitoli articolati dalla parte istante ma ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa e alle deduzioni dei ricorrenti (Cass. Ordin. n. 2149 del 2021), nonché tenendo conto anche della facoltà del giudice di domandare ex art. 253 ,co. l°, c.p.c. chiarimenti e precisazioni ai testi (Cass. Ordin. n. 22254 del 2021).
Ove sussista l’esigenza di dimostrare che un determinato fatto non è avvenuto, la relativa prova dovrà essere fornita mediante uno specifico fatto positivo contrario od anche per mezzo di presunzioni dalle quali possa essere ricavato il fatto negativo.
Infatti, nella giurisprudenza della S.C. è principio consolidato che l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo. Non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova dovrà esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo (Cass. n. 15162/2008). Si deve, dunque, considerare se vi sia un tentativo di provare un fatto positivo o contrario da cui possa trovare conferma il fatto negativo, dovendosi prendere atto in caso opposto, come il capitolo di prova si scontri apertamente con il divieto di formulare capitoli di prova in tale forma e, dunque, deve essere considerato inammissibile.
Va fatto anche un cenno, in linea generale, alla particolare attenzione da riservare alla formulazione dei capitoli di prova, al fine di non introdurre circostanza dannose, poiché non vi è contraddittorietà nella sentenza che, da un lato, non ammette le prove e, dall’altro, trae comunque argomenti di prova dai capitoli, come formulati, a sfavore della stessa parte istante “in quanto il modo in cui sono articolati i capitoli, integra una modalità difensiva, dalla quale si possono ben trarre argomenti di prova” (Cass. Ordin. n. 1594 del 2020), nonché al fatto che, quando sia denunziato un vizio di motivazione della sentenza sotto il profilo della mancata ammissione di una prova per testi, è necessario non limitarsi a generiche doglianze di erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione, ma precisare e specificare, svolgendo critiche concrete e puntuali seppure sintetiche, le risultanze e gli elementi di giudizio dei quali si lamenta la mancata acquisizione, indicando quale ne fosse la rilevanza e la decisività (Cass. n. 981 del 2020).
Indicazione specifica delle persone da interrogare
Sul grado di precisione con cui la parte debba indicare il proprio teste, con Sent. 26058 del 2013, la S.C. ha specificato che il teste deve essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile e che un’imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi (nome, cognome, residenza ecc.) viola l’art. 244 c.p.c. ed è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa della parte avversa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l’assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l’aspettativa della controparte. Precisa la S.C. che, in materia di prova testimoniale e, in particolare, di indicazione dei testi, devono essere bilanciate le contrapposte esigenze processuali della parte che deduce la prova e di quella che vi si oppone . La prima non sempre è in grado di conoscere il nominativo esatto e completo del teste, specie se la relativa indicazione non è stata preceduta da un contatto preliminare (tutt’altro che necessitato e non sempre raccomandabile dal punto di vista deontologico); la seconda ha diritto di individuare preventivamente la persona chiamata a deporre per valutarne la capacità e comunque per predisporre al meglio un eventuale controesame. La necessità di considerare anche l’esigenza della parte che deduce il mezzo di prova fino a che ciò non pregiudichi il contrapposto interesse della parte avversa, trova eco nella giurisprudenza della Corte lì dove è stata ritenuta ammissibile l’individuazione indiretta del testimone tramite la funzione espletata nell’ufficio o nell’ente di cui questi faccia parte, a condizione che tale modalità di designazione consenta di identificare con sicurezza la persona, onde consentire all’altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare il teste di cui l’istante intende avvalersi. Nelle controversie soggette al rito lavoristico si è più volte affermato che qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere – dovere di cui all’art. 421 c.p.c., comma 1. L’art. 244 c.p.c. stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata. L’introduzione di tale mezzo istruttorio è soggetta ad una formalità unitaria, composta dall’indicazione di persone e di circostanze di fatto, le une e le altre destinate a chiarirsi e integrarsi fra loro. Tale formalità di deduzione, non essendo altrimenti predefinita dal legislatore, deve essere funzionale allo scopo dell’atto, secondo il principio della nullità a rilevanza variabile che si enuclea dall’art. 156 c.p.c., comma 2, in base alla quale la nullità può essere pronunciata quando l’atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili ai raggiungimento dello scopo. Lo scopo dell’atto consiste nel compimento dell’atto processuale successivo. Pertanto, esso è dato dall’assunzione come teste della persona a ciò indicata, una volta superato il vaglio di capacità a deporre in relazione al quale l’altra parte può sollevare le proprie eccezioni. Ne deriva che è inidonea allo scopo solo l’indicazione del teste che, per insufficienza o per altra causa, non consenta all’altra parte tale esercizio del diritto di difesa. Coordinando, dunque, le due regole anzi dette, quella dell’art. 244 c.p.c. e quella dell’art. 156 c.p.c., comma 2 si ottiene che il teste deve essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, e che un’imperfetta o incompleta designazione degli elementi identificativi (nome, cognome, residenza ecc.) è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l’assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da disorientare l’aspettativa della controparte.
Qualora i testi ammessi non possano essere sentiti a causa del decesso o di patologie sopravvenute, la parte non può pretendere di sostituire i testi con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all’art. 244 cit.. Nel caso in cui, prima dell’introduzione (art. 692 c.p.c.) ovvero nel corso del giudizio di merito (art. 699 c.p.c.), vi sia il pericolo che siano per mancare uno o più testimoni, le cui deposizioni possano essere necessarie nella causa da proporre o pendente, la parte interessata può proporre istanza per l’audizione del testimone a futura memoria. Perciò se, nel corso del giudizio di merito, sia sopravvenuta, rispetto alla data della loro proposizione, l’impossibilità di assumere la prova offerta per decesso o incapacità del testimone, ciò dev’essere imputato esclusivamente alla parte che, pur avendone l’interesse, non ne abbia proposto l’assunzione preventiva (Cass. Ordin. n. 8929 del 2019).
In ordine alla rilevabilità d’ufficio circa i vizi
In tema di prova per testimoni, le nullità o decadenze derivanti dalla violazione delle disposizioni contenute negli artt. 244 e seguenti c.p.c. hanno natura relativa e sono sanate per acquiescenza delle parti, in quanto sono stabilite dalla legge a tutela dei loro interessi, e non per motivi di ordine pubblico (Cass. n. 12687/1998). Anche la nullità per incapacità a testimoniare (art. 246 c.p.c.) deve essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall’art. 157, secondo comma, c.p.c. (Cass. civ. n. 20652/2009).
Tale condizione “deve essere contestata subito dopo l’espletamento della prova e, qualora detta eccezione sia respinta o ignorata dal Giudice di prime cure, la parte interessata ha l’onere di riproporla anche nei successivi atti di impugnazione, compreso il giudizio di legittimità nel quale va altresì allegata la dimostrazione della tempestività dell’eccezione (Cass. 23896/2016).
L’art. 157, 2 comma c.p.c. precisa che soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.
Tale irrilevabilità d’ufficio viene comunque meno “quando la prova stessa verta su apprezzamenti e valutazioni del testimone piuttosto che su fatti specifici a conoscenza dello stesso” infatti, poiché il Giudice non può legare il suo convincimento ai giudizi dei testi, la predetta prova resterebbe comunque inutilizzabile anche in assenza di una eccezione di parte (v. Cass. 8620/1996).
Ricorso per Cassazione
L’omessa ammissione della prova testimoniale, o di altra prova, può essere denunciata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto che deve essere decisivo per la controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito (Cass. Ordin. n. 24730 del 2021), avendo cura di trascrivere nei motivi di ricorso, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quali fossero le circostanze oggetto della prova negata, in maniera da consentire alla Corte il controllo della decisività dei fatti da provare (Cass. Ordin. n. 27415 del 2018).